08 maggio 2022 • 07:00Aggiornato, 08 maggio 2022 • 20:17
Da tempo sosteniamo che all’inizio della pandemia di Covid-19, tra marzo e aprile 2020, i ricercatori italiani dell’Istituto Spallanzani hanno consegnato gratis il coronavirus “vivo”, che erano riusciti ad isolare e mettere in coltura tra i primi al mondo, agli scienziati russi, che così hanno potuto sviluppare i due vaccini russi di stato - Sputnik V e EpiVacCorona.
Nel Material Transfer Agreement sottoscritto dai dirigenti russi dell’istituto Vector, che stavano richiedendo il virus, e dai dirigenti italiani dell’Istituto Spallanzani, che glielo stavano fornendo, c’è scritto nero su bianco che gli scienziati russi potevano utilizzare il virus isolato allo Spallanzani per “sviluppare mezzi per la diagnosi, la prevenzione, e il trattamento del Covid-19”, cioè per sviluppare farmaci e vaccini, al fine di “migliorare la sorveglianza e la risposta contro il Covid-19 nella Federazione Russa”.
In altre parole, i russi hanno utilizzato il materiale virale dello Spallanzani per produrre vaccini al fine di combattere meglio la pandemia nel loro paese. E cosa abbiamo ottenuto in cambio noi italiani? Semplice: nulla.
È medico, giornalista e autore tv. Ex docente universitario ed ex ricercatore di neuroscienze alla Columbia University di New York, ha partecipato agli studi sulla memoria che hanno permesso a Eric Kandel, capo del laboratorio, di ottenere il premio Nobel per la Medicina nell'anno 2000. Ha collaborato come inviato e autore televisivo a varie trasmissioni (Turisti per caso, Sciuscià, Velisti per caso, Annozero, Servizio pubblico, Piazzapulita).