- Le mosse di Draghi costringono il Movimento a scegliere: o rimanere parte della “maggioranza Draghi”, per governo e Quirinale, dunque sostenendo sia il passaggio del premier al Colle sia la prosecuzione dell’esecutivo e della legislatura, o consegnarsi all’opposizione.
- Sulla carta, Conte potrebbe anche valutare la seconda opzione, per capitalizzare un po’ dell’antico consenso di protesta prima delle prossime elezioni politiche. Ma tutta la sua esperienza di leadership va in un’altra direzione.
- Rimanere con Draghi sembra l’unica soluzione, anche se questo aumenterà i malumori interni al Movimento e indebolirà la sua presa, a tutto beneficio del solito Luigi Di Maio.
Giuseppe Conte in questi mesi non è riuscito a imporre una linea chiara al Movimento 5 stelle sui principali dossier e neppure sulla presidenza della Repubblica. Nel 2013 il M5s aveva prodotto un candidato forte, con la mossa spregiudicata ma geniale di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio di scegliere un nome autorevole e proveniente da sinistra: Stefano Rodotà. Nel 2015 avevano tentato la stessa operazione ma con meno successo, suggerendo opzioni ardite per il Movimento, da Romano Prodi a Pier Luigi Bersani fino a Nino Di Matteo e Raffaele Cantone.
Calma piatta
Questa volta calma piatta, a parte qualche effimero entusiasmo per la proposta del Fatto Quotidiano di un candidato di bandiera, Liliana Segre, che però ha subito declinato. Conte ha poi messo in imbarazzo molti degli ultimi “grillini” con le sue aperture al dialogo con il centrodestra che sconfinavano nella riabilitazione del grande nemico, cioè Silvio Berlusconi, aspirante almeno a entrare in partita.
Adesso le mosse di Draghi costringono il Movimento a scegliere: o rimanere parte della “maggioranza Draghi”, per governo e Quirinale, dunque sostenendo sia il passaggio del premier al Colle sia la prosecuzione dell’esecutivo e della legislatura, o consegnarsi all’opposizione.
Sulla carta, Conte potrebbe anche valutare la seconda opzione, per capitalizzare un po’ dell’antico consenso di protesta prima delle prossime elezioni politiche. Ma tutta la sua esperienza di leadership va in un’altra direzione, cioè l’alleanza strategica con il Pd che tutto può permettersi tranne che impallinare Draghi (o quantomeno potrebbe forse affondarlo nel segreto dell’urna quirinalizia, ma poi vedrebbe svanire anche il governo e precipiterebbe a elezioni anticipate da posizione sfavorevole).
A Conte non restano molte altre scelte che rimanere con Draghi, anche se questo aumenterà i malumori interni al Movimento e indebolirà la sua presa, a tutto beneficio del solito Luigi Di Maio. Draghi ha dimostrato così ancora una volta che Conte è formalmente un capo, ma di sicuro non è padrone dei destini dei Cinque stelle.
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