Il debutto della manovra alla Camera è stato un lungo elenco di cose che non vanno. Dall’edilizia al volontariato, è stato un coro di lamentele snocciolato nella sala del mappamondo di Montecitorio. Con la Cgil che ha messo il dito nella piaga delle pensioni. «È scomparso dall'orizzonte il superamento, promesso in campagna elettorale, della legge Monti/Fornero», ha attaccato il sindacato di Corso d’Italia, definendo la legge di Bilancio: «La fiera dei tagli ai servizi».

Sullo sfondo c’è poi una questione tutta politica: l’apertura del fronte «sovietico» di Forza Italia, con Antonio Tajani in prima linea che ha riportato alla vecchia Urss alcune norme del testo. «Siamo contrari all’obbligo di imporre un sindaco del Mef alle imprese che ricevono contributi statali», ha ribadito Maurizio Casasco, deputato di FI e mente economica del partito berlusconiano, promettendo di voler cambiare la norma nel corso dell’iter parlamentare. Mentre la Lega ha sventolato una vecchia bandiera di Matteo Salvini: la riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro. «Presenteremo un emendamento», hanno annunciato i deputati leghisti. Un affronto ancora una volta a Forza Italia, che ha bocciato l’idea.

Supplizio audizioni

Durante il calvario delle audizioni, la bacchettata più dolorosa per il governo è arrivata dalla fondazione Gimbe che ha fatto i conti sulla sanità: per il prossimo quinquennio «mancano 19 miliardi di euro». «Le misure previste dalla manovra per il periodo 2025-2030 hanno un impatto complessivo di oltre 29 miliardi di euro, mentre le risorse stanziate ammontano a circa 10,2 miliardi di euro», ha spiegato Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe. Parole che hanno dato fiato alle richieste delle opposizioni. «È il colpo di grazia al servizio sanitario nazionale», ha attaccato la segretaria del Pd, Elly Schlein.

Viene meno la narrazione meloniana del «governo che ha messo il record di investimenti in sanità». A mettere il carico ci ha pensato il sindacato dei medici, Anaao-Assomed: un aumento di «15 euro netti al mese per i medici, ancora poi da discutere in un contratto che non c'è e non so se firmeremo. Sono stanziate briciole­», ha denunciato il segretario dell’organizzazione Pierino Di Silverio. Da qui l’idea di uno sciopero probabilmente il 20 novembre.

E se sulla salute era comunque prevedibile l’alta tensione, sono tanti altri i casi di malcontenti di vari settori. Compresi quelli che hanno posizioni di apertura, se non di benevolenza, verso l’esecutivo.

Le aziende edili guardano con preoccupazione al contenuto della manovra, che ha usato la scure sui bonus, punto fermo del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «Fissare una percentuale di agevolazione inferiore al 50 per cento, come quelle previste al 36 per cento e al 30 per cento, rischia di dare impulso al lavoro in nero, innescando un circolo vizioso a danno della sicurezza dei lavoratori, dell’efficacia degli interventi e anche delle stesse entrate erariali», ha osservato la presidente dell’Associazione nazionale costruttore edili (Ance), Federica Brancaccio.

Il combinato disposto con il «caro materiale» può rivelarsi poi micidiale causando «il blocco di migliaia di cantieri» nel 2025. Una beffa per chi si professa il «governo del fare». I problemi dell’edilizia si fanno sentire a cascata. Confcommercio ha parlato di congiuntura in «forte rallentamento». La previsione del Pil per l’anno in corso è dello 0,8 per cento, un dato più basso dell’1 per cento stimato dal governo, ma «con rischi orientati al ribasso», ha affermato il segretario generale, Luigi Taranto.

Una visione affine a Confindustria, che ritiene difficile addirittura il raggiungimento del +0,8 per cento. «L’economia è in stallo. Preoccupa soprattutto l’andamento della produzione industriale, caduta del 7,4 per cento negli ultimi 24 mesi», ha detto il dg di viale dell’Astronomia, Maurizio Tarquini, che ha sfatato il mito del taglio al cuneo fiscale come panacea di tutti i mali: «Gli effetti possono essere annullati dal taglio delle detrazioni».

Volontari abbandonati

La frenata della crescita richiederebbe un robusto potenziamento degli ammortizzatori sociali. Anzi si va nella direzione opposta. Confprofessioni, con il presidente Gaetano Stella, ha messo in risalto la mancanza di «copertura per il potenziamento delle misure di welfare riconosciute ai professionisti e in particolare a quelli iscritti alla gestione separata dell’Inps, già deficitarie». Per i professionisti non sono previsti paracadute.

La manovra di Meloni è riuscita a mettere d’accordo mondi distanti. Dal volontariato viene lanciato un ulteriore allarme: «Il sistema di welfare nel Paese si sta indebolendo. Se da una parte è prevista una misura di sostegno al reddito del ceto medio, dall’altro si riducono i servizi ai cittadini, attraverso i tagli a ministeri, regioni e comuni», ha denunciato la presidente del Forum terzo settore, Vanessa Pallucchi.I cahiers de doléances sono destinati a far crescere i malumori dentro la maggioranza, che potrebbero quietarsi solo di fronte all’ennesima sanatoria, un concordato preventivo bis. Che per la Uil è «l’esempio di una misura pensata per far cassa, ma che va sempre incontro agli evasori».

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