Dopo le regionali, la premier è intenzionata a fare da sola sulle poltrone delle società pubbliche, da Cdp a Fs. A Palazzo Chigi non sono intenzionati a fare concessioni a Salvini sempre più debole
Nell’eterna sfida tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini si prepara un nuovo atto. Non sarà l’ultimo duello, ma rientrerà tra i più cruenti, nel senso politico del termine. La leader di Fratelli d’Italia vuole relegare all’angolo l’alleato-avversario. Ci sono infatti decine di consigli di amministrazione di società partecipate in scadenza.
Qualche poltrona di istituti pubblici ancora da assegnare. E il puzzle dei servizi segreti, con l’imminente scadenza dei vertici che richiede una ricollocazione delle pedine. Le regionali in Abruzzo hanno provocato un effetto collaterale, ma non proprio secondario: il posizionamento in vista del prossimo giro di nomine, previste in primavera. E ogni operazione deve passare da Meloni.
La vittoria del fedelissimo, Marco Marsilio, è una spinta per le ambizioni della premier, determinata a decidere le sorti del cda e dell’intelligence, senza badare alle richieste degli alleati, Salvini in testa, confrontandosi solo con l’inner circle di palazzo Chigi: i sottosegretari, Giovanbattista Fazzolari, per la partita sulle partecipate statali, e Alfredo Mantovano, supervisore di ogni sommovimento nell’ambito dei servizi segreti.
Briciole alla Lega
La Lega dovrà accontentarsi delle briciole per due motivi. I calcetti negli stinchi tirati dal suo segretario hanno infastidito molto Meloni. E poi le ultime tornate hanno ridimensionato la forza leghista. Chi invece ha intenzione di reclamare un posto d’onore al tavolo delle trattative è Antonio Tajani, ringalluzzito dalla performance di Forza Italia in Abruzzo, ora pronto a passare all’incasso in Basilicata con la conferma Vito Bardi alla presidenza della regione.
L’intreccio delle poltrone riguarda pure un fattore temporale: alla Lega conviene sbrigare la pratica prima del voto delle europee, mentre fonti qualificate non escludono un rinvio a dopo le elezioni con la mini-proroga degli organi in scadenza.
Una soluzione-Armageddon per Meloni che conta di uscire ulteriormente rafforzata dalla tornata di giugno. E ammutolire i leghisti. Una delle nomine più ambite è quella dell’ad di Cassa depositi e prestiti, forziere pubblico, prezioso per gestire le privatizzazioni e fondamentale per gli investimenti pubblici. Il dossier, durante la campagna elettorale abruzzese, è stato congelato.
Ma sta prendendo quota l’ipotesi della conferma dell’amministratore delegato uscente, Dario Scannapieco, voluto dal governo Draghi in una casella delicata. Alla chiusura delle urne, nel settembre 2022, il manager era nella lista nera della destra. In questo anno e mezzo, però, Meloni ha iniziato ad apprezzarlo e nel vuoto di nomi spendibili nell’ambito di Fratelli d’Italia sta valutando di tenerlo.
Anche per evitare un cambio di governance che richiederebbe un assestamento dei nuovi arrivati. L’opzione è un dito nell’occhio a Salvini, che vuole cancellare qualsiasi traccia riporti a Draghi, creando un’asse con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, scettico su Scannapieco.
Per questo il leader della Lega sta spingendo per Alessandro Daffina, proveniente dai vertici di Rothschild e quindi con il pedigree di uomo di banca d’affari. Il terzo incomodo potrebbe essere Stefano Donnarumma, ex ceo di Terna e da sempre vicino a FdI, rimasto scottato lo scorso anno, quando era il favorito per guidare Enel ed è stato sopravanzato da altri profili.
Il nome di Donnarumma si adatta un po’ a tutto: le indiscrezioni lo danno anche come possibile candidato alla poltrona di ad della holding di Ferrovie dello stato. Anche in questo caso, comunque, il ceo uscente, Luigi Ferraris, voluto da Draghi, non è dato per spacciato.
In materia di trasporti, Salvini vuole dire la sua da ministro, promuovendo Luigi Corradi, attuale ad di Trenitalia, con cui i rapporti si sono comunque raffreddati dopo la fermata ad hoc del treno per il ministro Francesco Lollobrigida. Meloni non vuole assecondare le richieste leghiste. La conferma di “tecnici” draghiani potrebbe accreditarla presso i mondi imprenditoriali.
Per Anas, società che orbita nella galassia Fs, dalla Sardegna rimbalza l’ipotesi Christian Solinas, un “risarcimento” della mancata ricandidatura. Sembra un fanta-nomine, ma è sicuro che Salvini voglia una figura di fiducia che faccia da cinghia di trasmissione con il suo ministero.
Forza Italia, però, valuta di prendersi quella posizione, forte del risultato in Abruzzo, in sinergia con FdI. Sui candidati è in corso una valutazione. E poi ci sono altre società ancora, per esempio Cinecittà, dove si gioca un match per interposte persone.
La sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, salviniana doc, sponsorizza la “sua” Chiara Sbarigia, già presidente della società, come amministratrice delegata. Ma l’attuale ad Nicola Maccanico beneficia dei buoni uffici del ministro Gennaro Sangiuliano e punta alla conferma. Facile immaginare chi preferisca Meloni nel derby a destra.
Servizi blindati
Il voto in Abruzzo ha blindato la discussione sui vertici dei servizi. Meloni vuole fare da sola, si limita ad ascoltare giusto Mantovano, di cui si fida, ancora di più su un tema così delicato. La nomina a sherpa del G7 di Elisabetta Belloni, capa del Dis, ha confermato come palazzo Chigi si muova in autonomia.
Per l’Aisi (l’Agenzia per la sicurezza interna) il favorito resta Giuseppe Del Deo, a lungo capo del nucleo economico-finanziario, con cui la premier vanta un rapporto eccellente, anche se il sottosegretario spinge per l’attuale numero due dell’Agenzia, Bruno Valensise.
Le pretese altrui cadranno nel vuoto. E dal governo non è passato inosservato il pasticcio-Istat, rimasto paralizzato per l’inamovibilità di Salvini sul nome di Gian Carlo Blangiardo. Adesso l’Istituto ha avviato una procedura di selezione. E al momento del dunque potrebbe arrivare un profilo diverso: un tecnico di area meloniana. Per far capire a Salvini che il tempo delle bizze è finito.
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