Salvini: «Si spenderà e si sprecherà meno». Ma una Protezione civile “devoluta” può funzionare molto peggio. Nessuna richiesta dai presidenti forzisti Occhiuto e Bardi. Giovedì la consegna delle firme sul referendum
A prima vista la nomina a commissaria per l’alluvione di Irene Priolo, la vicepresidente dell’Emilia-Romagna facente funzioni di presidente, può sembrare un ramoscello d’ulivo, uno straccio di pace fra palazzo Chigi e la regione dopo i giorni dell’alluvione, degli sfollati e delle polemiche velenose. Ieri il capo del dipartimento della Protezione civile Fabio Ciciliano ha firmato un’ordinanza per gli interventi urgenti, e fra questi c’è che Priolo «potrà avvalersi delle strutture e degli uffici regionali, provinciali e comunali, oltre che delle amministrazioni centrali e periferiche dello stato, nonché individuare soggetti attuatori che agiranno sulla base di specifiche direttive». In realtà per il governo si tratta di una discreta ma intellegibile ammissione di colpa sulla scelta fatta un anno fa di nominare il generale Francesco Paolo Figliuolo come commissario straordinario alla ricostruzione, al posto del candidato “naturale” e cioè l’allora presidente della regione Stefano Bonaccini. Priolo comunque da ieri è commissaria. E in queste ore di emergenza, gli amministratori emiliani non accettano di parlare d’altro se non dei soccorsi.
Protezione civile regionale
Nel frattempo però a Roma l’ingranaggio della legge Calderoli è innescato. In un futuro non lontano in alcune regioni la Protezione civile, protagonista delle emergenze, potrebbe essere di esclusiva competenza autonoma delle regioni, visto che è una materia già “devolvibile”: è fra le nove materie “non Lep”, e cioè per la cui attribuzione esclusiva non bisogna aspettare la definizione dei “livelli essenziali di prestazione”. Infatti quattro regioni l’hanno già chiesta. La domanda è: se ad esempio l’Emilia-Romagna si fosse potuta gestire la Protezione civile da sé, i soccorsi sarebbero stati più efficaci?
Per Stefano Vaccari, deputato modenese, la risposta è no: perché «il sistema di Protezione civile è forte e efficace proprio perché è nazionale. Ci sono regioni che hanno sistemi più strutturati, come Trentino Lombardia Veneto e Lazio, ma in ogni caso nelle emergenze non sono autosufficienti. Hanno bisogno di chiedere aiuto ad altri, per esempio per ricevere strutture e attrezzature. E poi in questi casi serve un coordinamento nazionale: procedere in ordine sparso provoca sprechi e scelte inefficaci».
La pensa così anche Antonio Decaro, che oggi è europarlamentare Pd ma per dieci anni è stato sindaco di Bari e presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani: «La Protezione civile affronta questioni organizzative nelle emergenze, nazionali o no. Avere più regioni che si regolano in maniera diversa non ha alcuna utilità». Fa l’esempio dei mesi del Covid: «C’erano regioni che chiudevano le scuole, altre che le tenevano aperte, Regioni che distanziavano gli ombrelloni di dieci metri sulle spiagge, altre di cinque, come se il virus conoscesse i confini amministrativi del territorio. Tutto questo non ci ha aiutato». Ora con la legge Calderoli potrebbe andare peggio: «Ogni regione può chiedere la gestione esclusiva di 23 funzioni che, è stato calcolato, si portano appresso almeno 500 attività. Potenzialmente tutte possono essere gestite in maniere diverse». L’Italia diventerebbe un carosello ingovernabile.
Al momento hanno chiesto l’attribuzione esclusiva delle nove materie “non Lep” solo le quattro regioni del nord governate dalla destra: Veneto, Piemonte, Lombardia e Liguria. Il ministro Roberto Calderoli, padre della legge, lo ha ufficialmente comunicato alla Conferenza stato-regioni del 12 settembre scorso. Promettendo di andare avanti speditamente: «Assicuro la massima collaborazione da parte del governo per chi vorrà cogliere questa storica sfida nell’interesse del paese. Responsabilità e trasparenza non tolgono nulla a nessuno, ma possono garantire ai cittadini una maggior efficienza dell’amministrazione pubblica».
Al sud la destra non devolve
Ma è un fatto che i colleghi di destra che governano due regioni del sud, ovvero il lucano Vito Bardi e il calabrese Roberto Occhiuto, non hanno fatto nessuna richiesta. Entrambi di Forza Italia, entrambi scettici sulla legge. Entrambi lo scorso 13 settembre sono saliti su un palco per confrontarsi con i colleghi del centrosinistra Vincenzo De Luca, Michele Emiliano e Stefano Bonaccini. Padrona di casa, la Cgil e il segretario regionale Fernando Mega. Formalmente le distanze fra gli esponenti delle opposte fazioni sono rimaste.
Ma Occhiuto, che è anche vice di Antonio Tajani in Forza Italia, da tempo chiede «una moratoria» sulla legge Calderoli. E sarà un caso, ma qualche giorno dopo Tajani ha inviato una lettera al collega leghista per chiedergli, in sostanza, di non far partire le trattative con le regioni. Il testo della missiva doveva rimanere riservato, ma è finito sui giornali.
Il leghista si barcamena. Ai quattro presidenti del nord ha promesso una rapida convocazione per avviare i negoziati sulle intese. Gli incontri sono in programma fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre. Ma fonti di FdI assicurano che saranno poco più che simbolici: il core business della trattativa arriverà all’inizio del 2025. Del resto che senso ha andare avanti su una legge che rischia di essere abrogata da un referendum?
«Fermatevi»
«Fermatevi» è anche la richiesta della Cgil, capofila dello schieramento referendario. «Serve una moratoria sulle trattative delle regioni sulle materie “non Lep”», secondo Christian Ferrari, della segreteria nazionale di Corso d’Italia, «Perché su tutta la legge Calderoli pende un referendum abrogativo e i ricorsi di cinque regioni». Un rallentamento non dispiacerebbe anche al governo: Calderoli ha chiesto i pareri a tutti i ministri interessati alle materie da “devolvere” alle regioni, ma in pochi fin qui hanno risposto. Lo ha fatto proprio Tajani. Che ha avvertito il collega: nessuna autonomia regionale sui «rapporti internazionali e con l’Ue», materia che prevede 16 funzioni, e sul «commercio con l’estero», che ne prevede 21. Salvini non sente ragioni: «Siamo in dirittura d’arrivo», «dopo trent’anni di impegno leghista, l’autonomia non è un favore alla Lombardia o al Veneto, è un favore a tutta Italia perché significa spendere meno e sprecare di meno».
Nella settimana che inizia oggi si capiranno le prossime mosse di Calderoli e del governo. Il Fatto quotidiano ha rivelato che il 25 settembre la Commissione “Clep”, quella presieduta dal costituzionalista Sabino Cassese che deve definire i Lep nelle restanti 16 materie, dovrebbe approvare un documento secondo cui che i livelli vanno calcolati «in base alle caratteristiche dei diversi territori» come «clima e costo della vita». Saranno diversi da regione a regione. «È il principio delle gabbie salariali», denunciano Pd e Avs, che chiedono a Cassese di riferire al parlamento. Il giorno dopo i referendari consegneranno alla Cassazione le firme raccolte durante l’estate, quelle cartacee e quelle online. Il segretario Cgil Maurizio Landini ne ha preannunciate «un milione», il doppio di quelle necessarie. Vagliate le firme, la palla toccherà alla Corte costituzionale, che esaminerà il quesito: il responso arriverà fra fine gennaio e primi di febbraio.
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