In Italia esiste, anzi si aggrava da almeno due decenni, anche una “questione settentrionale”. La secessione degli impoveriti porta al naufragio. È necessario un programma nazionale di riforme e investimenti in infrastrutture hard e soft, ma anche allentare la concorrenza sleale sostenuta dal mercato unico europeo, oltre che extra Ue
Per evitare un’autolesionistica “guerra civile” sudisti contro nordisti sulla legge Calderoli, interpretazione estrema, separatista, dell’Autonomia differenziata (Ad), è utile partire da un dato di realtà: in Italia esiste, anzi si aggrava da almeno due decenni, anche una “questione settentrionale”. Nel quarto di secolo alle nostre spalle, l’economia italiana, in media, è stata anemica. Meno noto che, nel quadro nazionale, la famiglia media delle regioni del Nord ha visto farsi sempre più scuro l’orizzonte. Certo, il suo reddito e la sua ricchezza rimangono più elevati, spesso molto più elevati, che nelle regioni del Sud. Tuttavia, vive da tempo un destabilizzante impoverimento relativo.
Nei primi 20 anni del secolo, ad esempio, il Veneto, in termini di reddito pro capite (non di Pil regionale aggregato, ossia comprensivo della crescita della popolazione residente), ha fatto peggio di tutte le regioni del Sud, Molise escluso. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione europea sulla coesione territoriale, noi, insieme all’Austria, conquistiamo il triste primato di Stato dell’Ue dove tutte, ma proprio tutte, le regioni subiscono un arretramento del reddito disponibile netto pro capite in termini reali, ossia scorporato dall’inflazione.
Nel “campionato” Eurostat 2021, il Veneto perde 36 posizioni rispetto al ciclo di programmazione 2000-2006, una caduta maggiore di quella delle regioni del Mezzogiorno, sempre Molise a parte (per i dati rinvio al mio: L’Autonomia differenziata fa male anche al Nord, prefazione di Pierluigi Bersani, Castelvecchi, 2024). In sintesi, continuare a combattere contro la versione estrema dell’Ad in nome dei doveri costituzionali di solidarietà verso “i poveri” rischia di essere controproducente. Il punto da rimarcare, invece, è che l’Ad declinata dalla Lega aggrava la questione settentrionale. Vediamo perché.
Le imprese e i lavoratori del Nord si indeboliranno nella competizione sovranazionale. Quale peso politico per sostenerli può avere a Bruxelles e nelle relazioni internazionali un presidente del Consiglio senza controllo legislativo sulle principali materie economiche, sociali, infrastrutturali? Certo, gli Stati federali esistono e negoziano autorevolmente. Ma noi non potremmo: come per il “premierato”, saremmo un unicum nel globo terraqueo poiché non avremmo una Camera delle autonomie territoriali per raccordare i livelli di governo sussidiari e dare flessibilità ai poteri legislativi regionali.
Avremmo, in alternativa, 21 intese rigide, soggette al veto del presidente della regione per le modifiche. Anche i “padani” subiranno i contraccolpi dell’escalation di carichi burocratici: si moltiplicheranno per regioni e province autonome le normative da applicare. Inoltre, saranno colpiti dall’inevitabile dumping regolativo e salariale interno: in particolare, il “superamento” del contratto nazionale nei comparti pubblici assegnati alla competenza legislativa esclusiva delle regioni determinerà la fine del contratto nazionale di lavoro anche nei comparti privati.
Famiglie e aziende anche sopra “Roma ladrona” dovranno pagare maggiori oneri per prestiti e mutui a causa dell’innalzamento dei tassi di interesse sui nostri titoli di Stato, sollecitati dagli effetti squilibranti delle compartecipazioni rigide delle regioni ai tributi erariali. Anche loro subiranno le conseguenze del centralismo regionale, arbitrario, sul proprio comune. Infine anche sopra il Po i cittadini avranno a che fare con amministratori irresponsabili, poiché le funzioni trasferite, in contraddizione con i principi fondativi del federalismo, saranno finanziate da compartecipazioni a tributi erariali, non da entrate proprie regolate dalla regione.
Per “curare” la questione settentrionale, la secessione degli impoveriti porta al naufragio. È necessario, da un lato, un programma nazionale di riforme e investimenti in infrastrutture hard e soft: concentrato nel Mezzogiorno (vedi rapporti Svimez), ma rivolto anche al Nord, a cominciare dalla completa attuazione del Pnrr (ripulito dalle residue incrostazioni neoliberiste). Dall’altro, è decisivo allentare la concorrenza sleale sostenuta dal mercato unico europeo, oltre che extra Ue.
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