«È semplice: hanno sbagliato a fare i conti», spiega un deputato Iv sciamando dal Transatlantico. Quando in mattinata ormai è chiaro che il «blitz» (definizione comune, la usano tutte le opposizioni) della maggioranza è fallito, e che Giorgia Meloni ha fatto una figuraccia, cioè ha tentato di far eleggere solo dalla destra Francesco Saverio Marini alla Consulta, le opposizioni attaccano all’unisono.

I pasticcioni di FdI hanno fatto un errore al pallottoliere: credevano di avere i numeri per il colpo di mano, e quando si sono accorti che non era così, era tardi per frenare e hanno dovuto virare sulla scheda bianca. Tutto grazie alla «compattezza delle opposizioni», secondo Elly Schlein, che chiede che «ora accettino il dialogo con le opposizioni. E quando intendo dialogo non intendo fare chiamate spicciole a parlamentari di opposizione per cercare dei voti per andare avanti sulla propria forzatura, intendo chiamare le forze di opposizione a un dialogo sulla composizione della Corte».

Piange il telefono

Attenzione, non è una frase innocente. Schlein ha saputo che prima del voto da palazzo Chigi sono partite alcune chiamate. Verso Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Carlo Calenda. Non verso lei, la segretaria del Pd. E si capisce perché: la premier, ha tentato il colpaccio. Memore di com’è andato il voto sul cda Rai (Pd e centristi non hanno partecipato, M5s e Avs sì) ha provato a replicare lo schema. Approfittando del momento di massimo freddo fra la segretaria Pd e il presidente M5s.

Solo che stavolta, per chi fosse entrato in aula a votare, sarebbe stata una plateale scelta di intelligenza con la destra. Nessuno l’ha fatto. Le minoranze hanno colpito unite e Meloni ha preso il palo. E per di più la convocazione perentoria via WhatsApp, pubblicata dal Fatto Quotidiano, ha scatenato in FdI la caccia alla talpa: un’esibizione di stato di confusione e di grandi nervosismi. «Li abbiamo lasciati da soli in aula con le loro paranoie, a scovare i traditori dentro FdI», scrive sui social Conte, «i membri del governo Meloni avrebbero fatto bene a fare un blitz alla presentazione del rapporto di Gimbe sulla sanità», che si era svolta poche ore prime al Senato, «avrebbero scoperto che mentre tagliano le risorse, ci sono 4,5 milioni di italiani che rinunciano alle cure».

Per Riccardo Magi, segretario di +Europa, quella di Meloni è «una débâcle nel metodo e nel merito. Nel metodo perché anziché favorire un confronto tra i gruppi parlamentari per cercare un ampio e reciproco sostegno a personalità di spessore che garantiscano indipendenza, ha tentato una forzatura spericolata». Nel merito invece «perché ha tentato di imporre il proprio consigliere giuridico per le riforme che tutti i gruppi parlamentari ricordano al suo fianco negli incontri sul premierato con i gruppi qui a Montecitorio. Ora Meloni cambi metodo e apra il dialogo».

Stessa musica dai leader Avs Fratoianni e Bonelli: «Fare le prove muscolari su organismi di garanzia è un pessimo segnale per le istituzioni», «le opposizioni hanno dato prova di compattezza. Ribadiamo l’urgenza dell’apertura di un confronto da parte della maggioranza».

Colpire uniti, ma sono divisi

Hanno colpito uniti, dunque. Ma continuano a marciare divisi. Il campo largo si è rappattumato per un giorno, per un Aventino. Ma sul prossimo voto sulla presidenza della Rai chissà: per ora le distanze restano quelle dei giorni scorsi. Bastava il colpo d’occhio proprio alla presentazione del rapporto Gimbe citato da Conte, poco prima del voto disertato. Gli organizzatori hanno riservato a lui e a Schlein due sedie vicine. Lei arriva prima, si accomoda, lui dopo, resta in piedi, sfoglia la cartellina stampa davanti alle telecamere. Nessun contatto.

In futuro può andare anche peggio: in Emilia-Romagna l’alleanza non si è ancora ricomposta. Lunedì il candidato presidente de Pascale è venuto a Roma, nella sede di Campo Marzio, ma da Conte si è sentito ripetere: se nell’alleanza c’è la lista di Iv, con il simbolo, non saremo della tua partita. Pazienza per i dirigenti locali atterriti all’idea di improvvisare una lista in proprio. Renzi si rimangerà la promessa di presentare la sua lista? Lì governa con il Pd, allo scorso giro ha fatto eleggere i suoi nella lista “Bonaccini presidente”; per il prossimo, non aveva intenzione di fare una lista di partito, anche per non “pesarsi” in una regione dove, a sinistra, il Pd fa da assopigliatutto.

Ma, per ripicca contro Conte, ha promesso che invece la lista ci sarà. De Pascale ieri era ancora al lavoro sull’alleanza: per lui perdere M5s in Emilia-Romagna significherebbe non contare su un 4 per cento in più. Ma è il segnale politico a preoccupare. Più a Roma che a Bologna.

Chi rompe paga

Al Nazareno viene ostentata tranquillità. Non è ancora arrivato il momento dei chiarimenti fra alleati. E non arriverà, viene spiegato, prima del voto regionale in Liguria (27 e 28 ottobre), e in Umbria e Emilia-Romagna (17 e 18 novembre). Tanto più che fino a fine novembre Conte sarà impegnato con il congresso interno: ieri ha annunciato l’assemblea costituente per il 23 e il 24. Inutile provare a stringere patti con lui, non può: Grillo lo attacca ogni giorno. Ieri per esempio se l’è presa con la presidente Todde, contiana di ferro, per la moratoria sulle pale eoliche in Sardegna: «Ci vuole il carbone», l’ha sfottuta.

Problemi di Conte. Quanto ai problemi della segretaria dem, e cioè gli alleati rissosi, lei è convinta che «chi rompe paga»: chi fa lo scassa-famiglie perde consensi. Vale per entrambi i litiganti: il leader di Iv e quello di M5s. Le dà ragione l’ultimo sondaggio, quello effettuato da Swg per La7: FdI sta al 29,5, e perde lo 0,3 per cento; il Pd sale dello stesso 0,3 e arriva al 22,7; M5s e Iv calano dello 0,4 e dello 0,3, fermandosi rispettivamente all’11,4 (la metà del Pd) e al 2,2.

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