L’ex premier chiude la campagna elettorale a Palermo e spera che l’astensionismo, che potrebbe danneggiare il M5s, non esploda. Al nord non si è fatto vedere, ma se scende sotto il 10 per cento rischia la fronda
«Ho deciso di chiudere la campagna elettorale qui dalla Sicilia perché dobbiamo dire a tutti che la Sicilia è il luogo italiano più lontano da Bruxelles e da Strasburgo, dai vertici e dal parlamento. Lanceremo qui l’attacco finale e parleremo qui come ultima occasione perché dovete capire tutti che in Europa si decide anche il destino della Sicilia e noi dobbiamo esserci, in forze».
L’annuncio di un Giuseppe Conte avvinghiato a un lampione in un predellino improvvisato è arrivato già la scorsa settimana, in modo che tutti avessero il tempo per mobilitarsi.
Il presidente del Movimento 5 stelle chiude la campagna in quello che è rimasto l’ultimo serbatoio di voti dei Cinque stelle dopo anni di trend negativo. Insieme alla sua Puglia, Conte spera di fare il pieno di voti nelle regioni meridionali che ha fidelizzato con il reddito di cittadinanza. Un vecchio cavallo di battaglia che l’ex premier ha riproposto dopo che Giorgia Meloni ha usato i primi diciotto mesi di governo per smontarlo pezzo per pezzo. La riedizione europea è la benzina con cui Conte spera di motivare gli elettori meridionali e delle isole. Dove però affronterà l’avversario più pericoloso.
L’astensionismo rischia di esplodere proprio laddove il presidente ha investito di più. Anzi, azzarda qualcuno, «al nord non si è proprio visto». In effetti per trovare un evento per strada al nord bisogna risalire all’11 maggio, quando Conte era a Genova. Il 20 maggio l’appuntamento è in un teatro nel Bolognese, poi niente più. Lazio, Campania, tanta Puglia e Sardegna, tantissima Sicilia. Che il cuore (politico) di Conte batta per il sud si può evincere anche dalla scelta dei candidati, osserva chi ha seguito da vicino la campagna elettorale dei grillini. Al sud il capolista è Pasquale Tridico, candidato considerato oggettivamente il più forte nel novero dei grillini, nelle isole Conte ha lanciato Giuseppe Antoci.
Al nord-est invece corre Ugo Biggeri di Banca Etica che non ha scaldato ancora i cuori degli elettori, al nordovest come capolista nessun volto nuovo, ma il ritorno dell’europarlamentare uscente Maria Angela Danzì. Anche se gli attivisti sanno tutti che il vero favorito dell’ex premier è Gaetano Pedullà, ex direttore de La notizia. È lui quello che viene spinto dalle gerarchie della Lombardia, mentre il Piemonte, un tempo considerato uno dei laboratori più fruttuosi del Movimento, anche grazie all’apparentamento atavico con i No-tav, sembra ormai lasciato a sé stesso.
Mancanza di rispetto
Agli attivisti settentrionali infatti non è piaciuto per nulla dover andare al cinema per vedere il proprio beniamino. È notizia degli ultimi giorni il flop della proiezione di Milano dove si poteva vedere l’avvocato impegnato nei suoi monologhi – qualche maligno li ha ribattezzati «Ted talk de no’antri» – a teatro. Un affronto che non è andato giù neanche alla compagine parlamentare che viene dal settentrione. L’espressione più tangibile di questo malcontento è stato il post social del capogruppo al Senato Stefano Patuanelli: tra le righe si può leggere un sondaggio, nonostante ne sia vietata la pubblicazione fino alle elezioni. Ma dalla pittoresca rilevazione che Patuanelli condivide con i suoi follower emerge uno scenario devastante per il suo partito, che mette alla pari con Lega e Forza Italia, intorno (e forse sotto) al 10 per cento.
Se il risultato fosse davvero quello, per Conte significherebbe che i mal di pancia che nel suo partito sono diffusi fin dal primo giorno della legislatura rischierebbero di concretizzarsi in qualcosa di più di semplici chiacchiere tra la buvette e i divanetti del transatlantico. Il re degli spin doctor pentastellati Rocco Casalino continua a ripetere a destra e a manca che non c’è da preoccuparsi perché l’unico leader possibile per il Movimento è e rimane Conte, ma il messaggio di Patuanelli non è passato inosservato. Non è la prima volta che il presidente dei senatori prende le distanze dalla vulgata contiana: a luglio scorso si era espresso a favore della reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti, cancellato da una delle prime battaglie dei grillini a palazzo.
Accanto a lui si stagliano anche le figure di Chiara Appendino e, soprattutto, Virginia Raggi. A tutti e tre viene attribuito il carisma necessario per poter sfruttare una eventuale debolezza di Conte dopo il voto, all’ex sindaca anche la stima incrollabile di Beppe Grillo. Se davvero dovesse verificarsi il crollo sotto l’asticella minima, per evitare il rischio logoramento (che l’ex premier si ricorda bene dai tempi dello scontro interno con Luigi Di Maio) Conte potrebbe scegliere di aprire su una delle questioni mai risolte nell’universo grillino, il vincolo del terzo mandato.
Una mossa che scontenterebbe chi è entrato in parlamento nel 2022, ma potrebbe soddisfare i parlamentari più esperti, quelli che rischiano di essere più pericolosi per Conte. Il presidente si gioca tutto anche per quanto riguarda un’eventuale resurrezione del campo largo. Se Elly Schlein dovesse mettere troppi punti tra il Pd e il Movimento, Conte difficilmente potrà sperare nella stessa disponibilità nei negoziati per le alleanze future. E, soprattutto, l’ex premier si muove ormai senza rete: sembra uscito definitivamente di scena anche Grillo, più silente che mai in questa campagna elettorale.
L’ultima occasione utile per concedergli il palco è quella di venerdì sera, ma a via di Campo Marzio qualcuno lo valuta più un rischio che un’opportunità: «Già Grillo non è mai venuto a teatro, figurarsi se va sul palco senza fare battute su di lui» valuta un ex parlamentare. Il silenzio elettorale è vicino, Grillo è imprevedibile e il ricordo delle parole che disse quasi un anno fa sulle «brigate di cittadinanza» è ben vivo nella mente di tutti.
Il fondatore contrattualizzato per 300mila euro annui, da parte sua, giovedì 6 giugno ha pubblicato sul suo blog un contributo sul traffico di cuccioli provenienti dall’est Europa. Insomma, Conte non può che sperare che tutti i suoi elettori meridionali siano più motivati possibile. Che al nord si scenda sotto una soglia critica del 7 per cento (che poi è quanto ha preso in Abruzzo) non è più un’ipotesi remota. La compensazione è quanto mai necessaria.
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