Il risultato del militare dà ossigeno al leader leghista che rimuove il sorpasso completato da Forza Italia. Monta il “caso Bossi” che potrebbe subire la clamorosa espulsione
La zattera di Roberto Vannacci alla fine ha condotto in porto Matteo Salvini, salvandogli la leadership. La dote di mezzo milione di voti del generale ha garantito al segretario della Lega per Salvini premier (LSp) una boccata d’ossigeno. Il vicepremier non ha perso tempo e ha rivendicato la scommessa vinta.
«Quando ho candidato Vannacci dicevano che ero un fesso e che la base si sarebbe rivoltata», ha detto il ministro delle Infrastrutture nella conferenza stampa convocata nella mattina post elezioni. E ha incalzato: «Questo mezzo milione di voti che arrivano in buona parte da Lombardia e Veneto arrivano dall’elettorato della Lega e non solo».
La narrazione è di una base che non ha voltato le spalle al leader, spingendo il nome del militare nonostante una decisione calata dall’alto.
Rimozione salviniana
Nessuna autocritica rispetto all’ulteriore scivolone nella coalizione dopo il sorpasso di Forza Italia. E dire che è stata una delle notizie più rilevanti della tornata elettorale. Totalmente rimosso il tragico parallelo con il 2019, quando la Lega ha incassato il 34 per cento. Un calo di 25 punti in cinque anni, dal Papeete al ritorno al governo.
Salvini, come suo solito, ha preferito leggere i dati a modo suo, limitandosi a fare i complimenti agli alleati Giorgia Meloni e Antonio Tajani. Con una promessa rivolta agli avversari nel partito: «La scelta nazionale è una scelta di futuro».
Nessun ritorno al passato, al radicamento padano, nonostante l’affondo di Umberto Bossi che ha annunciato il suo voto a Forza Italia. Il problema verrà portato nelle sedi opportune, con la complicazione di trovarsi a dover eventualmente espellere, secondo quanto prescrive lo statuto, il padre nobile della Lega.
Il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, non ha usato le parole di Bossi, ma ha chiesto una «riflessione» dopo il sorpasso di Forza Italia. Ha riportato all’attenzione il tema rimosso dall’inner circle salviniano.
«Sono convinto che occorra riguadagnare territorio, rafforzare la nostra base, stare più vicino ai nostri amministratori», ha aggiunto Romeo, che – non è un segreto – ambisce a diventare segretario in Lombardia al posto del fedelissimo del leader, Fabrizio Cecchetti. Tra le righe si legge un appello affinché non si metta la testa sotto la sabbia, affrontando i nodi. Il segnale di un malumore che si muove sotterraneo nella LSp.
E in effetti per Salvini il risultato dell’8-9 giugno potrebbe essere solo una dilazione temporale, un modo per traccheggiare e allontanare il tramonto definitivo.
Il neo eurodeputato Vannacci ha nei fatti in mano il destino politico del vicepremier. Il capitale personale di consenso può essere dirottato altrove, anche se non potrà intestarsi tutti i 500mila voti: difficile riconoscerne la paternità.
È la Lega che ha dato i voti al generale o viceversa? Impossibile individuare una percentuale. Di sicuro c’è una capacità di attrazione del generale. E nel partito monta una certa convinzione: «L’idea di puntare su Vannacci si trasformerà nel canto del cigno di Salvini».
Perché la candidatura del militare ha creato delle lacerazioni e d’altra parte concesso margine d’azione a un profilo che punta in alto. Del resto, non ha mai smentito l’ipotesi di fondare un proprio partito, nonostante i vertici leghisti gli abbiano messo a disposizione un ruolo di primo piano. Mediatico, e non solo.
Cartello di salvataggio
Qualcuno non ha tentennamenti a spiegare il concetto in pubblico: «Siamo diventati un cartello elettorale e ci siamo trasformati nella Lega Vannacci premier», dice a Domani Paolo Grimoldi, ex deputato e da tempo voce critica nel partito rispetto alla linea salviniana. È stato lui a riferire le intenzioni di Bossi e il 9 per cento conquistato nelle urne non ha spostato le sue convinzioni.
«Abbiamo candidato, tra gli altri, Aldo Patriciello che ha sostenuto la presidente della Commissione von der Leyen e ottenuto il sostegno di Paolo Cirino Pomicino», ricorda ancora Grimoldi, puntando il dito contro la mancanza di una strategia chiara.
La chiave di lettura è quella di un disperato tentativo di salvare il salvabile da parte di Salvini. Primum vivere, dunque. E poi si vedrà, quando Vannacci vorrà mettersi in proprio. Intanto Salvini ha garantito la navigazione al timone del partito. Togliendo un problema pure ai possibili eredi Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, sempre abbastanza prudenti di fronte a un passo in avanti.
Per adesso meglio avere un altro parafulmine. Anche il presidente della regione Veneto ha lasciato agli atti una dichiarazione: «Possiamo ambire a prendere molto di più come consenso».
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