Più Europa vuole significare molte cose diverse, tutte utili, alcune urgenti e importanti, giustamente impegnative. Può anche essere un modo per presentare una lista e per fare campagna elettorale. Le elezioni europee non dovrebbero essere ridotte a un duello televisivo del quale, francamente, chi crede che la politica, in particolare quella italiana, non abbia bisogno di personalismi, può profittevolmente fare a meno.
Semmai, l’alternativa l’8 e 9 giugno è, con maggiore nettezza rispetto a tutte le elezioni precedenti, proprio fra chi vuole più Europa – sì, anche decisamente nel senso federale – e chi vuole fare retrocedere l’Europa – esplicitamente i sovranisti di destra e, furbescamente, anche non pochi sovranisti che si autocollocano a sinistra. Le argomentazioni dei sovranisti sono: meno Europa affinché le nazioni non perdano le loro identità e i loro, aggiunta mia, egoismi nazionalisti, che non sono mai forieri di pace e neanche di prosperità poiché implicano conflitti/guerre commerciali, tariffarie et al.
La difesa comune
Più Europa è quanto, seppure con remore e inadeguatezze, con retropensieri e timori, l’attuale maggioranza nel parlamento europeo ha perseguito e spesso conseguito. Dovrebbero gli esponenti e i partiti di quella maggioranza rivendicare quanto fatto nel, da molti punti di vista, drammatico quinquennio 2019-2024.
Sottolineare quello che è mancato risulta produttivo se non è soltanto pur benemerita assunzione di responsabilità, ma è proposta di come e su quali ambiti e terreni andare avanti. Certo, chi crede nella necessità di una difesa comune non dovrebbe candidare uomini e donne che Giovanni Sartori definiva «ciecopacisti», ma chi a quella difesa crede e sa contribuire.
La difesa comune è tematica che non deve affatto togliere attenzione e spazio ai problemi economici, alla competitività, ma anche alla sanità e alla tassazione e a tutto quello, ovvero molto di quanto argomentato nelle ricognizioni effettuate da due ex capi di governo italiani: Enrico Letta e Mario Draghi, e relative proposte. Riconoscimento molto gratificante alle capacità e alle storie personali e professionali di due italiani che a più Europa credono e per più Europa hanno coerentemente lavorato.
Il provincialismo italiano
Più Europa significa anche non solo prendere atto che un certo numero di paesi geograficamente europei desiderano fortemente entrare nell’Ue attualmente esistente che ritengono di enorme aiuto alla loro democrazia e ai loro sistemi economici e sociali.
Significa anche che la consapevolezza che la missione intrapresa dai fondatori di questa Europa, citerò Altiero Spinelli e Jean Monnet, insieme a Robert Schumann, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Paul-Henri Spaak, mirava all’unificazione politica dell’intero continente.
Decenni dopo il presidente francese François Mitterrand disse che la «sua» Europa andava dall’Atlantico agli Urali. Più Europa significa anche accogliere questa sfida.
Infine, la mia interpretazione di più Europa non si limita a, userò tre verbi suggestivi del linguaggio europeista di qualche tempo fa, ma a mio parere tuttora validi e pregnanti per indicare un percorso europeo: allargare, approfondire, accelerare nel difficile equilibrio che implicano.
Significa anche che ciascuno stato-membro dovrebbe diventare più europeo al suo interno. Meno spendaccione e un po’ frugale, ma c’è molto di più, ad esempio, combattere e ridurre la corruzione, grande male infettivo, e migliorare la qualità della sua democrazia anche guardando alle istituzioni e ai sistemi di partiti che funzionano meglio.
In materia, il provincialismo dei politici e dei commentatori italiani nel dibattito sul premierato ha raggiunto livelli insopportabili, comunque derivanti da conoscenze comparate insufficienti, per l’appunto da meno Europa, malamente e colpevolmente meno europee.
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