Fin qui non ha sbagliato un colpo. Elly Schlein ha imposto con polso la “sua” idea di liste per Bruxelles, una miscela di amministratori carichi di voti, dirigenti a lei vicini, ed esterni con caratteristiche adatte a dare una spinta a sinistra al profilo del Pd. Risultato: 24,1 per cento, un successo che neanche gli ottimisti osavano immaginare.

Ora deve trovare l’incastro giusto nel tetris dei “top jobs” dei socialisti: indicata Camilla Laureti alla vicepresidenza di S&D, ballano tre nomi su due incarichi, quello da capodelegazione e quello di vicepresidente del parlamento (Nicola Zingaretti per il primo, Pina Picierno e Stefano Bonaccini per il secondo, ma lui dovrebbe lasciare la presidenza del partito); la quadra ancora non c’è, ma presto si troverà.

Anche alle amministrative ha fatto tutto bene: candidati scelti dai territori, ma sotto attenta vigilanza del Nazareno. Da dove si riconosce questa tornata come «la prima vera prova di Elly, in quelle precedenti era arrivata a cose fatte».

Risultato, un capolavoro: capoluoghi di regione 6 a zero per il centrosinistra, capoluoghi di provincia 17 a 10. Ora che Giorgia Meloni si è infilata nei guai sui tavoli europei, che in FdI sono esplose le fogne sulla «questione fascista»; ora che lei invece, Schlein, ha il vento in poppa ed è sulla prua del centrosinistra, ora che dai palchi comincia a dire «stiamo arrivando», «andiamo a vincere, e vinceremo», l’imperativo categorico è non sbagliare niente.

Prossimi traguardi, le prossime cinque elezioni regionali: l’Emilia Emilia-Romagna e l’Umbria quest’anno; la Toscana, la Campania e la Puglia nel 2025. Quattro da mantenere, e una da conquistare.

Il metodo: primo, nessuna forzatura verso le altre forze della futura coalizione. Schlein ha spiegato che non crede nei «i tavoli» e nelle «stanze chiuse», ma «nelle battaglie comuni».

Certo, le distanze con Giuseppe Conte si accorciano (venerdì erano insieme sul palco del Pride di Napoli, lunedì saranno insieme sul palco dell’Anpi a Bologna), ma deve stare attenta a non metterlo in difficoltà davanti ai suoi, a non costringerlo a mostrarsi rassegnato al ruolo di junior partner.

Che potrebbe fargli perdere altri consensi: e un M5s sotto il 10 per cento non sarebbe una buona notizia per nessuno. Secondo, scegliere i candidati giusti: non c’è altra strada per tenere insieme non solo le forze politiche ma anche le forze civiche che sui territori fanno la differenza.

Nuovo modello Umbro

In Umbria il percorso è già avanti. L’incredibile riconquista di Perugia da parte di Vittoria Ferdinandi ha testato uno schema: alleanza larghissima, dalla sinistra-sinistra ai centristi di Azione, con una candidata civica, una psicologa da sempre impegnata in progetti di inclusione per persone fragili.

Lo scontento dei perugini per i dieci anni di governo di Andrea Romizi ha fatto il resto. Per le prossime regionali (la finestra per il voto è fra il 15 ottobre e il 15 dicembre, la data che circola è il primo dicembre) la candidata presidente “naturale” è la sindaca di Assisi Stefania Proietti. Profilo diverso da Ferdinandi, ma lo schema è lo stesso: civica anche lei, ma ingegnera industriale e un curriculum da dirigente pubblico e di azienda.

Politica esperta, è al secondo mandato, da tre anni è anche presidente della provincia. Quanto alla coalizione, governa già con Pd, M5s e Azione. Nella città simbolo della pace, e dei padri francescani, è vicina all’arcivescovo Ivan Maffeis.

Ha un consenso solido: al suo secondo mandato ha vinto al primo turno. Sulla sua candidatura non si è mai esposta, ma negli ultimi giorni ha ammesso che «la vittoria di Ferdinandi apre una strada di vittoria verso la Regione».

I partiti hanno già fatto capire che sono pronti a sostenerla, tranne qualche dem con fantasie di indietrismo e di ritorno alle candidature di partito. Ma non sarebbe un buona idea. La questione si chiuderà ordinatamente prima dell’estate: sarà la coalizione a riunirsi e a chiederle di candidarsi.

Il centrosinistra deve cogliere l’attimo: approfittando della scia dell’entusiasmo per la vittoria a Perugia. Ma anche dello sbandamento a destra, per la quale la sconfitta ha dato l’allarme rosso. Il consenso intorno alla presidente leghista Donatella Tesei è in netto ribasso. E venerdì scorso Marco Squarta, l’uomo forte di Giorgia Meloni in regione, appena eletto a Bruxelles, al Corriere dell’Umbria ha rilasciato una dichiarazione che lascia intravvedere burrasca. Alla domanda se FdI confermerà l’appoggio a Tesei, la risposta è gelida: «Sono un uomo di partito e mi rimetto alle decisioni che il partito prenderà a livello nazionale».

«Non gli è passato neppure per l’anticamera del cervello di rispondere che Tesei sarà ricandidata perché ha governato bene», è il commento di Walter Verini, senatore umbro del Pd, «sa bene quanto scarso sia il livello di consenso di cui gode. Ha visto i risultati elettorali umbri e in particolare quelli di Perugia. Ma anche di Marsciano e Montefalco, di Bastia e pure quelli di Foligno e Orvieto».

Il sindaco e il sindacalista

In Emilia-Romagna la data del voto dipende dalle dimissioni del presidente Stefano Bonaccini, che arriveranno dopo il G7 della Cultura, a Bologna dal 9 all’11 luglio. Il mese segnato di rosso è novembre.

Il consenso del Pd è solido: alle europee Bonaccini ha sfiorato le 390mila preferenze, il Pd è al 36 per cento, nelle città sfonda il 40 a Bologna, ed è dietro al partito della premier a Parma, Piacenza e Ferrara. Fratelli d’Italia ha doppiato il suo risultato precedente, ma la Lega è crollata. Per il Nazareno dunque i risultati sono ottimi. Ma non è il momento di perdere la concentrazione.

Martedì scorso la segreteria regionale ha deciso di accelerare i tempi. Le prossime settimane saranno decisive per la scelta del candidato presidente, e per aprire la strada dell’alleanza anche con i Cinque stelle, che allo scorso giro non è riuscita. In pole position sono rimasti in due: Vincenzo Colla, classe ‘62, piacentino, della filiera Bersani-Errani, assessore regionale allo sviluppo economico, già segretario della Cgil emiliano-romagnola, poi in segreteria nazionale, poi sfidante sconfitto da Maurizio Landini al congresso.

L’altro è Michele De Pascale, classe ‘85, sindaco di Ravenna, vicino a Bonaccini, giovane e dinamico. Il primo ha dalla sua i potenti “corpi intermedi”, il sistema delle rappresentanze economiche e sociali (in una regione in cui contano), il secondo porta in dote il grande consenso del famoso “partito dei sindaci”, nella regione in cui è nato. Terza, ma a distanza, Isabella Conti, renziana di ritorno, sindaca di San Lazzaro e già candidata alle primarie bolognesi contro Matteo Lepore.

Schlein non ha ancora messo la testa sulla partita. Ma dovrà farlo presto. Perché la destra, che ha perso la speranza di espugnare la regione (abbandonate le velleità del sottosegretario meloniano Bignami, per manifesta inadeguatezza), comunque punta su una civica moderata e stimata, Elena Ugolini, preside bolognese ed ex sottosegretaria montiana. Da non sottovalutare.

2025, lo gnommero De Luca

Scavallato il 2024, il 2025 sarà un altro anno cruciale: vanno al voto Toscana, Puglia e la pericolosissima (per Schlein) Campania. Tre regioni governate dalla sinistra, tre serbatoi del consenso Pd. Solo la Puglia sta in una botte di ferro: non è un mistero che Antonio Decaro, mister 500mila preferenze, tornerà a casa per raccogliere l’eredità di Michele Emiliano.

In Toscana non è certa la conferma di Eugenio Giani. E invece certo che Vincenzo De Luca non sarà il candidato di Elly Schlein, neanche se il governatore dovesse aprirsi la strada a un terzo mandato con una legge regionale. Salgono le quotazioni di Gaetano Manfredi, che guida un centrosinistra largo con dentro Pd, M5s, sinistra e centristi.

Scendono quelle di Roberto Fico, campolarghista sì, ma scarso a voti. Il governatore tesse la sua tela, da mesi si parla di un suo strappo con il Pd, e della nascita di un movimento tutto suo. Ma c’è ancora tempo. E il motto di Schlein è ormai «stiamo arrivando», ma un passo alla volta.

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