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Molti giovani provano a fare politica, ma vengono stroncati dai blocchi di potere. Elly Schlein ce l’ha fatta. La nuova segretaria del Pd viene da un’esperienza di vita diversa dalla mia e da quella di tanti ragazze
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Non le chiediamo di proteggerci, perché la protezione richiede sempre una concessione alla forza. Vogliamo che ci rappresenti, partendo dall’unica cosa che ci unisce: i diritti umani sanciti dalla Costituzione
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Questo articolo si trova sull’ultimo numero di POLITICA – il mensile a cura di Marco Damilano. Per leggerlo abbonati o compra una copia in edicola
Mi prende il nero. Cala dall’alto, mi affonda gli artigli nelle spalle, mi strappa la coscienza dal corpo. Cala a mezzogiorno, nel pomeriggio, la sera. Quando sento tornare in me le energie, insieme alle energie monta la rabbia, la rabbia chiama il nero, il nero scende e mi rapisce.
Sono autistica. In me la rabbia si manifesta attraverso il meltdown. Il meltdown è diverso in tutte le persone autistiche, nel mio caso è intrinseco alla rabbia. Lo stress mi incendia, voglio distruggere il nodo che mi stringe la gola e chiunque mi impedisca di farlo. Ma è troppo forte in me l’inibizione nel fare male. La mano che si ferma prima di fare del male, questo è l’istinto umano, non la pulsione di aggredire. Ma la rabbia è cominciata, non si ferma più. La dirotto contro me stessa.
Il nero
Mi risveglio. Comprendo il tempo trascorso grazie al display del piccolo orologio digitale di fronte ai miei occhi. Per me è come se fosse trascorso meno di un istante. Sembra un’anestesia generale. La lampada accesa sulla scrivania mi abbaglia. Le cuffie e il cellulare sono sul letto. I libri in disordine. Ho gli occhiali in mano, non so perché, quando ho perso i sensi li avevo in faccia. Il medico mi dice che è una reazione di freezing. Ha origine nel sistema parasimpatico vagale.
Abbiamo capito che il nero si può prevenire con un dosaggio di benzodiazepine superiore a quello che utilizzavo contro l’ansia. Mi fanno dormire, ma è meglio il sonno che il nero. Ma scegliendo fra le benzodiazepine e il nero, una cosa rimane: la mia vita è decurtata. Sono priva di sensi per una quantità imprevedibile di tempo al dì. Devo mantenermi idratata, ho due bottiglie sempre piene accanto al letto. Il farmaco è tossico, ma meno dello stress causato dal nero. Con l’alprazolam e il bromazepam faccio un po’ di sogni. Il nero è senza sogni. Solo nero.
Il nero interviene contro il meltdown, ma, mentre il meltdown indugia da sempre, il nero è una sindrome nuova, è emersa con la crisi economica che a cavallo fra il 2022 e il 2023 ha spezzato l’avvenire con aumenti sui beni di prima di necessità che, nella nostra città, arrivano a picchi del 40 per cento in più rispetto a pochi mesi fa.
Eravamo in povertà relativa anche prima, ora andare avanti è uno sfiancamento che attenta alla lucidità, si insidia nella mente, disinstalla la stabilità emotiva. La vita quotidiana diventa una forzatura, una resistenza meccanica al crollo che sarebbe naturale, la routine è un equilibrio artificiale su un filo, una tensione che consuma un’enorme quantità di energia, una lotta corpo a corpo con la gravità che da quel filo cerca di buttarti giù, e la combatti, e ti consumi. Il nero mi colpisce a causa dello stress, della rabbia soverchiante, dei meltdown estremamente forti che mi tolgono l’ossigeno e rendono la veglia una minaccia di per sé.
Una sinistra di decoro
Guardo la tv. Ascolto i politici parlare. Non sanno nulla di chi è povero, o impoverito, ancora meno di chi è giovane e impoverito. Se mai lo hanno saputo, lo hanno dimenticato. Chi sa cosa significhi l’ossessione della sopravvivenza si esprime in un modo che non riconosco nel parlare di alcun politico.
Ascolto i politici di sinistra. Non sono credibili. Sembra che essere di sinistra sia per molti di loro un fatto di decoro, non espressione e pratica di qualcosa in cui credono. Mi chiedo se l’Italia non sia un paese a egemonia di destra. Ma in realtà anche la destra è qualcosa in cui credere, il problema è un altro, forse il problema è l’occupazione del potere. Significa essere tentati di prendersi e controllare tutto, a discapito di tutti gli altri. Può manifestarsi in ogni tipo di persona.
Guardo i politici di sinistra. Tanti di loro appartengono a una classe sociale più alta della mia, ho la sensazione che parlino senza sapere cosa significhi vivere alla base dell’ingranaggio del lavoro, pretendono di rappresentare persone delle quali non sanno niente, nelle quali sono incapaci di immedesimarsi. Mi trasformo in un accrocchio cattivo di risentimento. Sento un impulso infantile, egoista, ho una fantasia aggressiva in cui li attacco. Questo impulso è profondamente sbagliato. Lo so. Mi chiedo da dove origini in me una tale violenza.
Rintraccio un dolore atroce, una graticola installata dentro di me, l’attacco è solo apparentemente eterodiretto, emerge un demonio autodistruttivo che mi sibila «il tuo corpo è il contenitore di una persona sbagliata». Può essere che questo demonio me lo abbia imposto la società. Non lo so. Se è stata la società, è successo prima dell’età della ragione. Ormai è mio. Non sono di temperamento timoroso, ma l’ansia e l’angoscia, tutta un’altra storia rispetto al timore, sono profonde.
La stella polare
Mio padre è un uomo generoso. Se ha un pezzo di pane, anche l’ultimo rimasto per sé, lo dà a chi ha più fame di lui. Molti, oggi, penserebbero che sia di sinistra, perché abbiamo una percezione semplicistica delle ideologie. Ma mio padre è di destra. Mio padre ti tende la mano ma non dialoga volentieri alla pari, è un conservatore, a tratti un reazionario. Ma che il suo cuore sia generoso è un dato di realtà, perché restare umani non è cosa di parte, si fa e basta, ognuno come gli è proprio.
Mia mamma è di sinistra. Mio padre e mia madre amano la Costituzione, e tutti e due, insieme, diversi eppure indissolubilmente uniti come i due volti del parlamento, mi hanno insegnato gli articoli fondamentali, i miei diritti, i miei doveri. Mio padre è cattolico, mia madre è comunista. Mio padre non mi ha insegnato a credere in Dio, mia madre non mi ha insegnato ad amare la falce e il martello.
Mi hanno dato la Costituzione, solo quella. Fin da piccola sento di essere di sinistra, ma non al modo di mia mamma. La Falce-E-Martello mi fa paura. Come Dio. Sono di sinistra, senza Dio e senza Falce-E-Martello. Ho costruito il mio essere di sinistra nella passione verso quel raggio di luce che Vasilij Grossman chiamava «l’umano nell’uomo», e rispettando, anche queste per amore, le regole della Costituzione.
Ho desiderato di non essere capace a sperare e di non aver mai conosciuto la Costituzione. La sua presenza mi costringe concretamente a sé, mi fa sperare, mi fa sognare. La tensione della speranza è una tenaglia che mi tira mentre i miei piedi sono bloccati nella carestia, mi causa un dolore lancinante. Mi rendo conto che i miei litigi con la Costituzione somigliano con i tormenti di chi crede in Dio.
Ma Dio è una fede, la Costituzione c’è, è reale, è carta nelle mie mani, parole scritte nero su bianco dall’Assemblea costituente. Se esista un Dio non lo so. La Costituzione c’è. Convivere con una speranza reale, senza rappresentanza, tradita dai politici di sinistra, il principio antifascista fra le braccia, luce concreta come la stella polare che vedo in cielo la notte, è la dimensione in cui sono cresciuta. Il mondo non è più lo stesso da quando c’è la Costituzione, né lo sarà più anche se qualcuno dovesse destituirla da principio della repubblica, perché se anche così fosse questa Costituzione è esistita, è stata il cuore vivo di uno stato, di una repubblica democratica, e con essa sempre ci sarà un’immensa, inestinguibile, radicale speranza. Il 1° gennaio 1948 è il punto di non ritorno, come quando decollò il primo aereo: se l’uomo impara a volare, volare per davvero, nulla potrà più fermarlo dal tornare a volare.
La luna araba
Mio padre è siciliano. Mi racconta tante storie. In Sicilia pullulano le più varie leggende tramandate dai popoli che l’hanno abitata. C’è una leggenda araba, parla della luna che, quando t’innamori, arriva e ti rapisce.
A parlarne meglio di tutti è stato un persiano del XIII secolo, Rūmī, che nel Canzoniere di Shams-i Tabrīz scrisse una lirica intitolata La Luna. «Nel firmamento è apparsa all’alba una Luna / è scesa dal cielo e ha rivolto a me lo sguardo. / Come falco che strappa via un uccello qual preda / mi rapì quella Luna e corse di nuovo nel cielo. / E quando a me stesso guardai, più me stesso non vidi; / ché, in quella Luna, il mio Corpo per grazia sottile s’era fatto anima pura! / E quando viaggiai entro l’anima non vidi che Luna / finché svelato non fu tutto della manifestazione eterna il mistero! / I nove cerchi del cielo s’erano immersi in quella luna, / e la barca dell’essere mio s’era tutta in quel mare nascosta. / Si franse d’onde quel mare, e tornò la Ragione / e lanciò il suo grido: così fu, così avvenne. / Spumeggiò quel mare; e da ogni frammento di quella schiuma / di qualcuno venne un disegno, venne di qualcosa un corpo, / e ogni frammento di schiuma corporea che si mostrò da quel mare / poi subito si fuse e in quel mare entrò ancora (...)».
Se non avessi conosciuto la poesia di Rūmī avrei avuto più paura del nero. Mi avrebbe colta molto più impreparata. Ma la paura e il dolore sono due cose diverse. Mi sento alle strette, e questo nero che mi rapisce come un falco, come la luna araba, che annulla il mio esserci come persona al singolare e mi porta via, all’inizio è male, poi lo guardo meglio ed è uno specchio, va in pezzi e si ricompone come la spuma marina di Rūmī, rivelando il corpo del mio amore.
Il mio amore è tante cose. È l’umano nell’uomo. Il punto di non ritorno, il volo della Costituzione. La dignità. La dignità non è una variazione sul tema dell’orgoglio. La dignità rispetto all’orgoglio è profonda, irriducibile, è una radice, l’orgoglio è una reazione di chiusura e lacerazione. L’orgoglio ha a che fare con le fantasie aggressive in cui attacco gli abbienti che pretendono di parlare rappresentandomi, la dignità ha a che fare con la luna di Rūmī.
Finché la dignità umana non sarà un principio universale, soprattutto in chi è responsabile della nostra comunità, l’oligarchia, la verticale del potere che tutto quello che c’è per vivere lo dà a pochissimi e non lascia nulla agli altri, vincerà sulla democrazia, e tutti vivremo una vita decurtata.
Quello che ci accomuna
Ora il Partito democratico ha una nuova segretaria, Elly Schlein. Schlein è la prima donna a guidare il più grande partito di sinistra in Italia. Non per questo mi sento meno sola. Mi sforzo di immaginare come possano sentirsi i miei coetanei di sinistra. Come si sentano davvero, al di là delle parole. Nel cuore.
Siamo soli, disintermediati, tanti individui con le spalle scoperte, soffocati nelle guerre fra poveri, ci accapigliamo per dividerci le briciole, guardando dentro la gola buia di un futuro che a breve, se non aboliamo il consumo di combustibili fossili per la produzione di massa di energia, ci inghiottirà insieme a un pianeta che può concretamente tramontare prima di noi. Spesso si dice che i giovani non vogliano impegnarsi in politica. È falso. Molti giovani ci provano a fare politica, ma vengono stroncati dai blocchi di potere che tengono ben salde le redini dei territori.
Qualcuno ce la fa, Elly Schlein ce l’ha fatta, ce l’ha fatta grazie ai voti del popolo, una vittoria anti-oligarchica. Ma la solitudine resta. A Elly Schlein vorrei far conoscere questa dimensione che forse è di tanti, forse è solo mia. Non lo so, siamo troppo diversi fra noi, straordinariamente diversi, piccoli atomi separati fra loro in un’epoca dove la precarietà è l’unico vero paradigma e detta legge di per sé, per capire se ci sia davvero qualcosa di profondamente comune o se ognuno viva una solitudine solo e soltanto sua. Il dolore è due volte crudele, è capace di rendersi subdolamente amico, un punto fermo, e accecare nell’apertura agli altri.
Qualcosa che ci accomuna tutti o quasi, però, credo ci sia. La mistica civile della Costituzione. È sbocciato, nudo, inconfondibile, il fiore dell’umano nell’uomo, e si è fatto norma fondamentale di un paese. Una volta conosciuto, non si può più tornare indietro. È un nuovo modo di essere, di sentire, un nuovo modo di concepire la politica, che ha tanto di meraviglioso, perché i diritti umani sembrano essere diventati davvero universali per una generazione intera, e tanto di pericoloso, perché l’universale è facile da equivocare, suscita amore e l’amore suscita istinto di protezione e l’istinto di protezione suscita emozioni e idee che possono rivelarsi insidiose, fino al ricorso alla forza, all’azione, al punto da far perdere contatto con il restare umani da cui pure tutto era cominciato.
Non proteggere, ma rappresentare
A Elly Schlein solo questo mi sento di chiedere: di non proteggere i giovani che saranno divorati dalla crisi più grande, perché la protezione richiede sempre una qualche concessione alla forza. Le chiedo di rappresentarci. Di questo abbiamo disperatamente bisogno in un mondo che ci sta franando addosso, assediati da crisi climatica, solitudine, precarietà, impoverimento di massa, sfruttamento, tentativi costanti di distruggere la nostra autostima in quanto esseri umani, di non farci nemmeno arrivare a conoscere i nostri diritti per mantenerci rinchiusi nell’oscurantismo del «non c’è diritto, una persona di per sé è nulla, perciò qualsiasi cosa tu voglia ottenere la devi meritare, se non la ottieni è colpa tua e torni a essere nulla», e così veniamo rimossi al punto che ricorrere al suicidio come congedo da una vita annichilente è un’opzione considerata da molti con concreta fermezza.
Non ci sono diritti civili o sociali da introdurre. Esistono già, sono scritti nella Costituzione. Si chiamano diritti umani. Esistono già, sono nostri, sono parte integrante del nostro essere umani, e vengono traditi e calpestati ogni giorno. Il futuro non c’è, molti ne sono convinti, qualcuno ne è certo. Ci venga riconosciuta la dignità del presente, poter almeno dire “non sono solo”. Non “un giorno”. Ora. Premessa indispensabile per qualsiasi futuro.
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