Sanità, lavoro, salario minimo, così il Pd prova a smontare la Wonderland di Meloni. «A sinistra non si personalizza, darò una mano ai candidati, chiedo un voto per il Pd»
Realtà contro Wonderland. Le «condizioni materiali delle persone», dice Elly Schlein a La7, contro la favola di un paese immaginario, rappresentata da «un nome», Giorgia (Meloni), perché le destre «non hanno un programma per l’Europa, il programma diventa il nome». Sarà questa, secondo la segretaria del Pd, la sfida della campagna elettorale per le europee che è di fatto partita domenica con l’annuncio ufficiale della corsa della premier. In queste ore al Nazareno si lavora all’agenda del prossimo mese, quello cruciale per raccogliere il consenso.
Ma Schlein ha già deciso i fondamentali: «Il discorso di Pescara è stato tutto identitario e pieno di bandierine ideologiche», spiega un deputato che fa parte della sua war-room. A caldo Schlein aveva commentato così le parole della premier: «Giorgia Meloni è nel Paese delle meraviglie, seppellisce i problemi sotto un fiume di retorica», «Il problema è che la presidente del Consiglio si divide tra palazzo Chigi e la propaganda di TeleMeloni, ha perso il contatto con la realtà».
Il Pd farà il contrario: starà tra la gente, ne ascolterà i problemi e li opporrà alla Wonderland meloniana. Parlerà di tagli alla sanità, di lavoro, di morti sul lavoro (1041 l’anno scorso, a febbraio del 2024 erano già 119, il 19 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2023). «Meloni si dice fiera di essere una del popolo. Ma il popolo lo sta rinnegando», spiega ancora il deputato, «in un mare di affermazioni senza contenuto concreto: dice di essere a favore della difesa dell’ambiente, ma gli atti del governo, in Italia e in Europa, vanno nella direzione opposta», «non mantiene le promesse», «Un anno fa agli alluvionati dell’Emilia-Romagna aveva promesso ristori del 100 per cento dei danni, e invece non è arrivato nulla», insomma «fra consigli dei ministri che producono solo spot e annunci, e summit internazionali che falliscono gli obiettivi, la presidente del Consiglio ha perso il polso del paese. E noi la faremo tornare con i piedi per terra».
Scontro diretto, croce e delizia
Lo scontro diretto ci sarà. Ma senza personalizzazioni esasperate. Anche nel suo caso sulla scheda si può scrivere «Elly» perché, spiega lei, «è un soprannome, porto i nomi delle mie due nonne».
Ma al contrario di Meloni, lei farà «campagna elettorale non chiedendo il voto per me ma per il partito e per la lista che abbiamo costruito insieme». Vincendo dunque le perplessità alla sua candidatura di un pezzo del suo popolo, rappresentato ai massimi livelli da Romano Prodi, verso il quale conserva parole di riguardo: «Meglio parlare chiaramente che non pugnalare alle spalle». Sa, come spiega il sondaggista Fabrizio Masia, che «il Pd, per sua natura si riconosce meno in una leader di tipo forte». Ieri Schlein ne ha parlato a Metropolis, canale del gruppo Gedi: «Da sinistra non si personalizza», «Se posso dare una mano a dare una spinta ai candidati, lo faccio volentieri e credo che sia una cosa corretta nel mio ruolo di guida di questa comunità». Meloni fa ironia sul fatto che il Pd non è un partito solidale con la sua leader, a differenza di FdI? «Certo, il suo partito è a gestione familiare, il nostro è un partito plurale», è la replica dei suoi.
Non è finita: mentre a destra la corsa di Meloni è stata digerita anche dall’alleato leghista, lei deve mettere in conto che il tentativo di polarizzazione porterà nuove tensioni con Giuseppe Conte. Non mancano i problemi interni: a chi si preoccupa delle prime dichiarazioni disarmiste dei candidati Cecilia Strada e Marco Tarquinio, viene risposto che «la linea del Pd è chiara ma le voci diverse che abbiamo chiamato nelle nostre liste sono appunto contributi importanti cercati per arricchire il nostro dibattito. È la forza del Pd di Schlein».
Ieri anche c’è stata qualche polemica sul post targato Pd con la faccia di Roberto Vannacci e la scritta «Ignoralo». Il generale si è stampato il post in una maglietta, l’ha indossata e messa sui social. Dal Pd arriva una ironica soddisfazione: «È meglio che si metta sulla maglietta un nostro slogan piuttosto che una delle sue bestialità».
Il Berlinguer sociale
Intanto la segretaria dem aspetta lo scontro diretto con Meloni. Il duello tv a due si farà, ma la trattativa è affidata ai rispettivi staff, che si sono giurati lealtà: bocche cucite fino a che non ci sarà accordo sul giorno e sul contenitore. Qui però va segnalata una novità: per il Pd «questa Rai non è più il servizio pubblico», visti i ripetuti inchini verso il partito di governo.
Infine, la standing ovation dedicata a Enrico Berlinguer da parte della platea meloniana di Pescara non la preoccupa, come non l’aveva preoccupata lo scippo della “questione morale” da parte di Conte e del M5s. Lo spiega ancora il deputato: «Siamo al paradosso, di Berlinguer ricordano solo quello che possono strumentalizzare. Ma la lezione di Berlinguer è anche la questione sociale. La destra invece sta facendo macelleria sociale: ha distrutto le reti di salvaguardia per le persone, dalla cancellazione del reddito di cittadinanza ai quattro milioni di lavoratori ai quali ha negato il salario minimo», su cui il Pd prepara una legge di iniziativa popolare. Berlinguer è sulla nuova tessera, la frase scelta racconta proprio la campagna elettorale che la segretaria intende fare: «Casa per casa, strada per strada». Sono le ultime parole dette dal leader comunista sul palco prima di essere colpito da un ictus, il 7 giugno 1984, quarant’anni fa. Quattro giorno dopo si spense. Dieci giorni dopo, alle europee, il Pci raggiunse il 33,3 per cento, superando l’avversaria Dc.
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