Il leghista vuole i satelliti di Starlink per favorire la connessione veloce. Idem il sottosegretario meloniano Butti. Ma nel partito della premier c’è chi ha un approccio più cauto, come il consigliere Fazzolari e il ministro Urso
Sono tanti i muskiani nel governo, la popolazione politica che abita il pianeta dei fan di Elon Musk. Vedono nell’imprenditore sudafricano un genio visionario, capace di portare innovazione. A cominciare dall’uso dei satelliti Starlink per garantire la connessione veloce anche nelle aree più remote. Per informazioni citofonare a Matteo Salvini.
E anche Giorgia Meloni coccola il proprietario di X, l’ex Twitter, per puntare sugli investimenti per eventuali centri di innovazione insieme all’uso delle tecnologie, come quelle dei satelliti. Ma il vento dell’entusiasmo unanime sta cambiando. Ammesso che ci sia stato davvero. C’è chi, tornando sulla terra, coglie i rischi dell’operazione e smussa i facili entusiasmi, come i più pragmatici, alla Guido Crosetto, se non scettici, come Adolfo Urso.
Anche nel governo italiano, da Fratelli d’Italia alla Lega, ci sono varie articolazioni sul giudizio nei confronti di Musk. Innescando dei cortocircuiti che mettono big degli stessi partiti su versanti contrapposti con una serie di riflessioni sulla possibilità di aprirgli le porte per l’ingresso nel mercato italiano.
Salvini, dunque, è il più entusiasta tifoso del magnate. Il leader della Lega si è già candidato a diventare il suo interlocutore numero uno. A dicembre dello scorso anno, ben prima della vittoria di Donald Trump, che ha proiettato il fondatore di Tesla al centro del proscenio mediatico, il ministro delle Infrastrutture lo ha incontrato spiegando di aver parlato un po’ di tutto.
Dall’intelligenza artificiale e dall’innovazione fino al Codice appalti e al Ponte sullo Stretto, argomenti che difficilmente Musk conosce a menadito. Di recente Salvini ha ribadito il sostegno: «Per la connessione serve Starlink. Ci sono troppe città che non sono perfettamente connesse».
Una benedizione giunta sull’onda delle critiche dell’imprenditore sudafricano alla magistratura italiana. Musica per le orecchie del leader leghista, che peraltro vede in Musk l’ennesimo trait d’union con Trump. Anche all’interno di Fratelli d’Italia c’è chi vuole favorire l’ingresso del proprietario di X nel mercato italiano. Il sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti, è un altro supporter, nemmeno troppo segreti, del fondatore di Tesla.
È stato ormai dimenticato lo scivolone del fidato collaboratore di Butti, Raffaele Barberio, già direttore di Key4biz: «Starlink non figura neanche tra gli operatori di telecomunicazioni. Non può reclamare nulla. È solo una boutade», aveva detto. Acqua passata. Butti, a più riprese, ha lasciato intendere di voler usare i satelliti Starlink per garantire la connessione veloce in tutta Italia. Affiancando la tecnologia alla copertura della fibra, che sta venendo portata avanti da Open Fiber e Fibercop, nelle cosiddette aree bianche, quelle più difficile da raggiungere (e di conseguenza più costose da coprire).
Un «complemento alle infrastrutture», lo considera Butti, uno dei più Musk-entusiasti, che ha trascinato – almeno in un primo momento –Meloni. La premier ha scelto, fin dall’inizio, la linea di instaurare un rapporto serrato con il fondatore di Tesla, incontrandolo in tempi non sospetti, inaugurando la concorrenza con l’alleato-avversario Salvini anche sull’amicizia con Musk. A palazzo Chigi c’è chi ha scelto un approccio meno idolatrante nei confronti dell’imprenditore. Tra questi spicca il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, a uno dei «pragmatici» sul capitolo-Musk. Il fidatissimo consigliere di Meloni ha infatti cercato di riportare l’analisi su Musk a un livello più pragmatico, meno “ideologico”. La linea è chiara: «Va bene tutto, purché si faccia l’interesse nazionale».
Il sovranismo di Fratelli d’Italia applicato alla dottrina-Elon. Un posizionamento condiviso con l’altro uomo di fiducia della presidente del Consiglio, il sottosegretario Alfredo Mantovano, che da intransigente cattolico nutre una sana diffidenza nei confronti del proprietario di X, diventato padre attraverso la gestazione per altri, quello che a destra chiamano «utero in affitto» da marchiare con la bolla dell’illegalità, come prevede la legge firmata proprio nei giorni scorsi dal presidente della Repubblica.
Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, completa la triade dei pragmatici: per la sua formazione politica, Musk è una variabile impazzita, a cui si può affidare giusto quello che il pubblico non è in grado di coprire. In una recente audizione al Senato, Crosetto ha spiegato: «Sui satelliti in bassa quota per la comunicazione c’è solo Starlink. E per raggiungere il livello di Starlink serve avere una capacità non solo di fare i satelliti ma anche di lanciarli che, a oggi, nessuno ha. E nessuno ha i costi di Starlink». Una convenienza economica, dunque, ma con una priorità: nessuna deroga alla tutela della sicurezza nazionale. In questo il ministro si fida dei vertici della Difesa.
Ci sono altri ministri lontani dal pianeta Musk, che aggiungono al pragmatismo una dose di scetticismo. È il caso del ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, che per la natura dell’incarico è tenuto a dialogare con qualsiasi attore intenzionato a investire. Quindi non chiude le porte a nessuno. In passato è rimasto scottato da esperienze dirette avute con l’imprenditore sudafricano. Contava, per esempio, sugli investimenti di Musk per trasformare l’aeroporto di Grottaglie (Taranto) adatto ai voli suborbitali. L’imprenditore aveva manifestato interesse ben prima dell’insediamento del governo Meloni.
La speranza di Urso era quello che potesse andare in porto con questo esecutivo. Non se n’è fatto niente. La freddezza del ministro si è palesata nella risposta all’interrogazione del deputato del Pd, Andrea Casu, sul rapporto con Starlink. Il tono è stato istituzionale, ma è stata trasmessa una posizione quasi «neutra», lontana dal sostegno sfegatato di altri colleghi. Sulla stessa posizione c’è un altro big del governo, Giancarlo Giorgetti, che non ama i caratteri imprevedibili, al limite dell’inaffidabilità, collocandosi lontano anni luce dal muskiano Salvini, leader del suo partito.
Per l’economia preferisce su investitori solidi, non umorali, capaci di dialogare con i governi al di là dei colori. «Giorgetti è uno dei ministri che ha attivi i canali di comunicazione con le opposizioni», raccontano a Domani fonti interne al Mef. A chiudere c’è Antonio Tajani, che vede con una certa preoccupazione a Musk: da leader di Forza Italia si fa interprete di un pensiero smaccatamente europeo. E poco si concilia con l’irruenza di Musk. Tanto che di recente ne ha bacchettato le espressioni usate nei confronti dei giudici, che pure nel suo partito non sono i compagni di viaggio preferiti.
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