- L’apertura europea al tetto al prezzo del gas, il price cap a lungo proposto da Mario Draghi avallato ora anche da Berlino, taglia le gambe al dibattito tra i partiti.
- Matteo Salvini è arrivato a chiedere uno sforamento di 30 miliardi per riproporre in Italia il “modello francese”, ovvero un tetto al 4 per cento degli aumenti dei costi in bolletta.
- Nel quadro di una campagna elettorale tutta improntata al rafforzamento della propria credibilità come partito di governo, destabilizzare i conti renderebbe vani gli sforzi di Meloni.
Sulla campagna elettorale si allunga l’ombra dello scostamento di bilancio per affrontare il caro bollette. A disinnescare questo rischio, mettendo al sicuro i conti del governo Draghi, potrebbe essere però la decisione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di riformare il mercato energetico in maniera strutturale.
Appuntamento il 9 settembre, quando avrà luogo il Consiglio europeo sull’energia. L’apertura europea al tetto al prezzo del gas, il price cap a lungo proposto da Mario Draghi avallato ora anche da Berlino, potrebbe chiudere le polemiche tra i partiti su come affrontare l’emergenza energetica, e le pressioni che alcune forze stanno facendo sul governo.
Dopo le mosse della Ue, Draghi ha un argomento in più per evitare lo scostamento di bilancio chiesto da alcuni leader politici, investimenti a debito considerati dall’esecutivo un inutile e dispendioso pannicello caldo a un problema strutturale e complesso.
Le posizioni
Lo strumento dell’extra deficit è uno dei preferiti del centrodestra per risolvere problemi economici, ma sta diventando il principale cavallo di battaglia della Lega. Matteo Salvini è arrivato a chiedere uno sforamento di 30 miliardi per riproporre in Italia il “modello francese”, ovvero un tetto al 4 per cento degli aumenti dei costi in bolletta. Per ottenerlo, il leader del Carroccio è pronto anche a sospendere la campagna elettorale: «Non litighiamo, firmiamo una proposta comune» ha detto.
Ad appoggiare la proposta di fare nuovo debito è Giuseppe Conte, che da mesi guarda con favore alla possibilità di fare deficit e nei giorni scorsi non ha perso occasione di pungere l’ex alleato dem Enrico Letta: «Mentre noi incalzavamo Draghi proponendo soluzioni straordinarie e tempestive contro il caro bollette e gli stipendi troppo bassi, forse tu eri distratto tra furia bellicista per il conflitto in Ucraina, armi e inceneritori da piazzare nei decreti».
Conte insiste anche sulla necessità di «recuperare i 9 miliardi di extraprofitti persi per strada dal governo» (ne è stato incassato ad ora poco più di uno, unica somma che Draghi ad ora è intenzionato a redistribuire alle sole imprese). Un atteggiamento che il leader di Italia viva, Matteo Renzi, non esita a definire «ipocrita». «Chiedono a Draghi di risolvere il problema dopo che l’hanno mandato a casa» sostiene l’ex premier, sfruttando a sua volta la crisi energetica per fare campagna elettorale.
Punta sul recupero degli extraprofitti anche il responsabile economico del Pd Antonio Misiani, che individua in quelle risorse «la possibilità per il governo di finanziare le misure di sostegno». I dem restano ostili alla strada dell’extra debito, così come Impegno civico di Luigi Di Maio con i suoi ex Cinque stelle che pure in passato avevano considerato la possibilità di imboccare la strada dello scostamento.
Oggi, la loro posizione è un’altra: «Fare scostamento adesso creerebbe subbuglio sul mercato» dice la viceministra all’Economia Laura Castelli. Il suo leader Di Maio guarda invece al governo futuro proponendo «un decreto di emergenza che consenta alle piccole imprese fino alla fine dell’anno di vedersi pagato dallo stato l’80 per cento delle bollette e che varrebbe circa 13,5 miliardi di euro».
Spaccatura a destra
Contro lo scostamento è anche l’unico partito di opposizione, Fratelli d’Italia. Diversamente da Salvini, che spera di evitare con un debito contratto dal vecchio governo di ritrovarsi al governo di un paese in preda a fortissime difficoltà economiche, il partito di Giorgia Meloni teme le ripercussioni sui conti nazionali di una scelta così drastica. Nel quadro di una campagna elettorale tutta improntata al rafforzamento della propria credibilità come partito di governo, destabilizzare i conti renderebbe vani gli sforzi di Meloni. Rende l’idea di quanto il tema preoccupi la leader di FdI la risposta di Giulio Tremonti, ministro in pectore di un esecutivo di centrodestra, in un’intervista a Repubblica. «Con l’inflazione e la speculazione in netta ripresa sarebbe una misura molto rischiosa».
Dalla parte di Draghi sono anche i ministri uscenti. Mariastella Gelmini di Azione assicura che un Consiglio dei ministri per definire nuovi aiuti è in programma a breve. Da quanto filtra dal governo sembra più probabile che la proposta venga stesa la prossima settimana, ma in ogni caso l’ampiezza della portata dell’intervento resterà ben lontana dalle cifre chieste da Salvini. Più probabile infatti che si aggiri intorno agli 8-10 miliardi in incrementi degli aiuti già in campo.
Resta il dubbio sullo strumento tecnico da utilizzare. Il provvedimento potrebbe precipitare in un nuovo decreto o in un maxiemendamento al decreto precedente, da convertire entro settembre. In entrambi i casi è indispensabile un accordo tra i partiti per evitare che in parlamento il testo possa diventare vittima della campagna elettorale.
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