In primavera sono previste nomine in società di peso, da Cdp a Ferrovie dello Stato. Meloni e Salvini già litigano. Nel 2023 la destra ha piazzato ex parlamentari e dirigenti locali in varie partecipate, da Consap a Difesa Servizi
Aggiungi un posto nei cda, che c’è un amico in più. Tra profili di spicco del passato e alcuni meno noti, catalogabili alla voce peones, sono decine e decine i nomi di politici piazzati nei consigli di amministrazione delle società pubbliche. A dispetto di curriculum quasi sempre poco attinenti ai compiti richiesti. Perché, come spesso accade in Italia, conta più la tessera di partito, la presenza negli organi dirigenziali, per ottenere una poltrona.
Nella lista dei ripescati dalla politica ci sono per esempio l’ex sottosegretario berlusconiano, Gioacchino Alfano, che ha trovato posto in una società del ministero della Difesa e l’ex sindaco di Lecce, Paolo Perrone, vicino al ministro Raffaele Fitto, ora al timone dell’Istituto poligrafico e zecca dello stato.
Così come sventola sul ponte, è il caso di dire, la bandiera del commissario regionale in Calabria della Lega, Giacomo Saccomanno (25mila euro annui lordi), componente del consiglio di amministrazione della società Ponte sullo Stretto, il progetto-bandiera di Salvini.
E sempre il leader leghista ha incassato la nomina di Davide Bordoni – consigliere comunale della Lega a Roma e leader del partito nel Lazio – ad amministratore unico (per 120mila euro annui, non fruiti almeno fino all’ultimo aggiornamento) della Rete autostrade mediterranee (Ram), società in house del ministero di Salvini, con le quote detenute dal Mef di Giancarlo Giorgetti. Tutto in casa Lega.
Il braccio di ferro
Sono solo alcuni esempi, tra i tanti, di una destra che nel 2023 ha piazzato vecchie glorie, amici in politica, spesso ex peones, nelle varie società controllate o partecipate pubbliche. La galleria dell’amichettismo potrebbe allungarsi con il prossimo giro di nomine. In primavera scadono, infatti, decine di consigli di amministrazione, tra cui alcuni molto appetiti come Cassa depositi e prestiti e Ferrovie dello Stato.
Il braccio di ferro tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini è già in atto sulla tempistica. La premier vuole fare con calma, il leghista prima delle Europee. Teme che l'esito del voto porti la premier a fare bottino pieno.
La partita è già iniziata. Da febbraio, alla guida della Ales (146mila euro era il compenso del precedente presidente e ad), società del ministero della Cultura, è finito il meloniano, Fabio Tagliaferri, fresco di dimissioni da assessore comunale a Frosinone, uomo forte di Fratelli d’Italia in Ciociaria. Prima si occupava di tutt’altro, adesso gestirà, tra le varie cose, le Scuderie del Quirinale. A capo dell’Ismea è invece appena arrivata la nomina dell’ex deputato di Alleanza nazionale, Livio Proietti, dirigente di FdI nel Lazio.
Prossime scadenze
Nei prossimi mesi sono in scadenza varie poltrone. È il caso del cda del Gse (Gestore servizi energetici), che si occupa della promozione e dello sviluppo delle fonti rinnovabili. Il presidente in carica (27mila euro) è Paolo Arrigoni, senatore leghista dal 2013 al 2022. Alle ultime elezioni non è stato rieletto e dal marzo dello scorso anno è al vertice della controllata dal Mef. Nello stesso cda siede, da componente semplice (13.500 euro), Roberta Toffanin. Anche lei è stata senatrice, ma di Forza Italia, nella scorsa legislatura e non è tornata in parlamento.
Mandato agli sgoccioli poi per la società Cinecittà, dove è arrivata qualche mese fa, come consigliera di amministrazione (14mila euro), Isabella Ciolfi, con un cursus honorum politico da segretaria organizzativa della Lega nel Lazio. Nel curriculum non ha esperienze parlamentari ma vanta collaborazioni con due big della Lega: i sottosegretari Claudio Durigon e Federico Freni. Dagli uffici di una segreteria e una produzione cinematografica il salto è stato notevole.
Finora i nomi in attesa di conferme nel prossimo giro di nomine. Altri, però, si sono già accaparrati un posto nel 2023 con il governo Meloni e hanno davanti a sé prospettive pluriennali.
È il caso di Gregorio Fontana, eletto a Montecitorio con Forza Italia per cinque legislature, fino a guadagnarsi i galloni di deputato-questore: da ottobre scorso è finito nel cda di Infratel (soggetto attuatore della strategia nazionale per la banda ultralarga), società di Invitalia che a sua volta fa capo al Mef.
A Infratel Fontana ha trovato un compagno di partito, Donato Toma, ex presidente della regione Molise, non ricandidato dal centrodestra: adesso è a capo del collegio sindacale della società. Il presidente del cda di Infratel è Alfredo Maria Becchetti, notaio di professione con la passione della politica, già coordinatore romano della Lega e candidato non eletto alla Camera, nel 2022, sotto le insegne salviniane.
Difesa del posto
Una collocazione ambita dai reduci del parlamento è la società Difesa e Servizi, controllata dal ministero della Difesa. Il presidente (80mila euro) è Gioacchino Alfano, deputato dal 2001 al 2018, prima con Forza Italia e poi nel nuovo Centrodestra, fondato dal suo illustre omonimo (non sono parenti), Angelino Alfano. Nei governi Renzi e Gentiloni è stato sottosegretario alla Difesa. Almeno, in questo caso, c’è qualche competenza acquisita nella materia.
Nel cda, come consigliere (32mila euro) c’è un’altra vecchia conoscenza della Camera, Mauro Fabris, deputato dell’Udeur di Clemente Mastella per due legislature (dal 1996 al 2008). Sempre in Difesa e Servizi spunta Anna Carmela Minuto, ex senatrice di Forza Italia, con una storia singolare: è stata a Palazzo Madama per soli tre anni. Nel 2021 è decaduta, perché il seggio spettava in realtà al compagno di partito Michele Boccardi. C’è pure un nome meno noto alla platea nazionale: Francesca Gerosa, esponente di spicco di Fratelli d’Italia a Trento, vicepresidente della giunta Fugatti.
Discorso diverso in un altro settore, quello di Sport e Salute, che annovera nel cda Maria Spena (16mila euro), già deputata di Forza Italia dal 2018 al 2022. Si era occupata di agricoltura a Montecitorio, in passato era stata assessora ai Lavori pubblici nella giunta Alemanno a Roma. Poi la folgorazione verso lo sport, finendo in una società decisamente a trazione berlusconiana, almeno nei nomi.
Nell’ambito di FI, invece, compare il nome di Giuseppe Moles, ex parlamentare di Forza Italia e sottosegretario all’editoria del governo Draghi, ora ad di Acquirente Unico (120mila euro) che è emanazione del Gse. Anche qui, prima i problemi dei giornali – nelle vesti di politico, poi l’energia da tecnico. Nonostante nel suo curriculum non compaia mai la parola energia.
Ritorni al passato
Spiccano inoltre profili rampanti del centrodestra del passato, spariti dai radar da qualche tempo. In particolare, il berlusconiano Antonio Martusciello, ex viceministro ai Beni culturali e deputato di FI dal 1994 al 2008, attuale presidente di Grandi stazioni, società del gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce il patrimonio immobiliare delle principali stazioni.
Il manager-politico è il fratello di Fulvio Martusciello, eurodeputato di Forza Italia e deus ex machina dei forzisti in Campania. L’ex finiano Andrea Ronchi, ministro degli affari europei del governo Berlusconi e più volte parlamentare (dal 2001 al 2013), è invece alla presidenza di Ferservizi, che interviene sulla gestione operativa delle società del gruppo Fs. Nel cda di Trenitalia trova spazio Federica Zanella, deputata nell’ultima legislatura, ex Forza Italia passata nella Lega nel 2020.
All’Istituto poligrafico e Zecca dello stato non figura solo l’ex sindaco di Lecce Perrone (31mila euro). Come consigliera (16mila euro) spicca un’altra esponente pugliese del partito di Meloni: Stella Mele, già capogruppo di FdI al consiglio comunale di Barletta e candidata con il partito di Meloni al Senato nel 2022.
Nello stesso organismo ha trovato posto Stefano Corti, senatore di rito leghista. Di lui si ricorda l’anomalia di aver messo piede a Palazzo Madama con oltre un anno di ritardo: un seggio ottenuto solo grazie al riconteggio dei voti. La candidatura alle ultime elezioni è andata male. E non c’era riconteggio che tenesse. Il paracadute è stato aperto per un posto in un cda.
Consap ambita
Altra roccaforte di politici è la Consap, che si occupa dei servizi assicurativi di rilievo pubblico. Alla presidenza (86mila euro) è approdato Sestino Giacomoni, parlamentare fedelissimo di Berlusconi per quattro legislature. Almeno lui si è occupato spesso di finanza nei trascorsi a Montecitorio.
Nell’organo di vertice spiccano due leghisti di diversa estrazione: Antonio Zennaro, eletto nel 2018 con il Movimento 5 stelle e passato poi alla Lega. Candidato in una posizione ineleggibile, ha dovuto rinunciare al Transatlantico ma ha incassato successivamente il ruolo di consigliere alla Consap (16mila euro), insieme a Francesca Ceruti, ex consigliera regionale in Lombardia della Lega.
E ancora: nel cda di Leonardo (80mila euro) c’è Nuccio Altieri approdato alla Camera, nel 2014, in quota Forza Italia. Dopo si è trasferito nel gruppo della Lega. Curriculum da leghista doc quello del presidente (27mila euro) della Sogesid (società di servizi in ambito ambientale ed economico), Roberto Mantovanelli, golden boy leghista a Verona: spesso è stato indicato come possibile candidato sindaco.
A chiudere il cerchio, nella Sogin (19mila euro), chiamata a smantellare le centrali nucleari in Italia, figura Jacopo Vignati, punto di riferimento e già segretario a Pavia della Lega. Perché, parafrasando uno sketch di Corrado Guzzanti, bisogna ricordarsi sempre degli amici.
© Riproduzione riservata