- Pd e Movimento 5 stelle hanno deciso di correre divisi in Lazio, dove insieme avrebbero ottime possibilità di vincere, e uniti in Lombardia, dove invece il centrodestra è in netto vantaggio.
- Per l’ex ministro e animatore del Forum Dd, sono scelte incomprensibili. Non c’è tattica politica dietro, ma solo l’incomunicabilità tra i due partiti e all’interno degli stessi.
- La mancata discussione sull’alleanza in Lazio, scartata a priori da entrambi i partiti, sarebbe quindi il riflesso di un’assenza di dibattito sul congresso del Pd, dove si parla solo di facce e non di temi.
Sono in molti a essere rimasti senza parole per la rottura tra Pd e Movimento 5 stelle che, dopo anni di collaborazione e alleanze, alle regionali in Lazio correranno separati, il Pd a sostegno dell’assessore Alessio D’Amato, il Movimento in appoggio alla giornalista e conduttrice Donatella Bianchi. Tra i più delusi c’è l’ex ministro Fabrizio Barca, economista e animatore del Forum DD. «Siete grotteschi – ha twittato pochi giorni fa – Chiudetevi in una stanza. Datevele di santa ragione. Trovate un punto di caduta».
La scelta di correre da soli è un errore?
Un errore grave che però in tanti invitano a correggere. Anche se è difficile, c’è sempre spazio per una correzione, anche se siamo arrivati all’ultimo minuto. È un errore grave e non solo algebrico, perché la somma dei voti di Pd e M5s rappresenta chiaramente la maggioranza degli elettori laziali. Ma è un errore anche perché il Lazio è una regione così importante sotto il profilo sociale e tecnologico dell’innovazione. Era impossibile non mettere davanti a tutto la necessità di trovare un accordo per vincere e lasciare tutto il resto in secondo piano. Eppure ci sono riusciti.
Perché invece sono uniti in Lombardia?
Ripeto una spiegazione non mia, ma che ho trovato interessante, e divertente: quando dai una partita per persa ti fai meno problemi a discutere di contenuti. Forse è per questo? In Lombardia, lo “sgoverno” del centrodestra è così clamoroso, la sua incapacità di governare la tecnologia, il welfare, la salute sono così estremi che probabilmente ha aiutato. Ma quale che sia la ragione, questo fenomeno ci dice una cosa interessante: il paese è frammentato, i partiti non hanno una strategia. Già 40 anni fa si parlava di politiche dei doppi o tripli formi, con i partiti che decidevano alleanze variabili sui territori. Ma era il frutto di una scelta nazionale, di una classe dirigente centrale. Oggi invece ogni territorio va per conto suo. Non conta il Partito democratico, non conta il partito nazionale. E questo può determinare soluzioni diverse in posti diversi. Ma non è una tattica. La tattica avrebbe suggerito di comportarsi in modo opposto. Nella regione dove hai già governato insieme, che è storicamente più “massimalista” come il Lazio fai l’accordo, nell’altra dove una forza moderata come Azione è più forte, ti alleati con gli altri. Ma quello che è avvenuto, appunto, non è tattica.
E allora qual è la regione del mancato accordo in Lazio?
Credo che alla fine la risposta vera sia semplice: è venuta meno la voglia di dialogare all’interno di un pezzo significativo della classe dirigente dei partiti che chiamiamo di “opposizione”. C’è stata una maturazione drammatica di un’incomunicabilità dalla quale deriva la mancanza di rispetto. È qui che nasce questa attribuzione all’altro di progetti terribili, di intenzioni esecrabili che giustificano la mancanza totale di dialogo.
Incomunicabilità che si trova anche a livello parlamentare, le opposizioni sono divise su tutto.
Assolutamente: incomunicabilità tra i partiti, anche in parlamento. Ma anche incomunicabilità dentro i partiti. Guardiamo al Pd: non sembra che ci sia voglia di discutere sulla fase in cui ci troviamo, su quali sono i problemi delle imprese, quali le questioni sociali più urgenti. Non c’è un tema su cui si discuta.
Ma allora il mancato accordo potrebbe essere colpa del congresso Pd, con il partito che non ha ancor a deciso se buttarsi al centro o a sinistra?
Sì e no. Sì, perché il Pd sembra effettivamente in altre faccende affaccendato. No, perché se il Pd avesse impostato il congresso su quali sono le emergenze, quali le priorità, quali i temi su cui raccogliere l’inevitabile scontento dell’elettorato che produrrà il centrodestra, non avrebbe avuto problemi a fare tattica. Al Pd si sarebbero detti: “In Lombardia quali sono le questioni fondamentali?” E intorno a queste avrebbero chiamato chi ci stava, superando le logiche delle alleanze a prescindere che da anni inquinano il dibattito italiano. Prima dimmi cosa hai intesta, dimmi chi vuoi rappresentare e quali sono le emergenze prioritarie, poi vedi chi ci sta! Non era inevitabile che le cose andassero così. Anzi, in una fase di dibattito congressuale, se impostata bene, il partito può essere vivace, interessante, aperto al confronto. Invece di contenuti non se ne vedono e si vedono solo facce.
Torniamo al fallimento dell’alleanza in Lazio. Quali sono le imputazioni che attribuisce al Pd e al M5s?
Tutto è avvenuto così lontano da me, dai cittadini, che non so davvero cosa rispondere. Nessuno è venuto davanti a noi con una piattaforma e ci ha convinto che l’accordo non si poteva fare. È tutto avvenuto da un’altra parte. Pd e Movimento 5 stelle si sono parlati? Ci hanno provato davvero e su cosa si sono divisi? Non si sa. In Lombardia almeno sappiamo com’è avvenuto. È stata individuata una figura, è stata fatta un’esplorazione di alcuni giorni. Se la trattativa fosse saltata avremmo saputo perché e su quali argomenti.
Però sembra sempre che parliamo più di PD che di M5s in queste circostanze, come se il peso della responsabilità fosse diverso.
Parliamo più di Pd perché è un partito democratico. Il M5s non ha un’organizzazione democratica. Ha raccolto bandiere di sinistra perché il Pd le aveva gettate per terra, ma non è impegnato a ridisegnare una strategia politica complessiva. Se io ne parlo meno è perché per me resta un oggetto misterioso. Ma con questo non voglio togliergli colpe. Nel fallimento laziale la responsabilità non è attribuile chiaramente a uno dei due partiti. Nel Pd c’è soltanto più “trippa per gatti” per capire cos’è successo e quindi genera più rabbia, perché più vicino a essere un soggetto politico da cui pretendi qualcosa. Guardi, quando ho scritto quel Tweet pensavo: “Ma che ti metti a scrivere, sei fuori”. E invece sono i leader di Pd e M5s ad essere fuori. E non sono fuori perché hanno candidato persone incapaci, anzi: hanno scelto figure interessanti. No, bisognerebbe dirgli: “Siete fuori perché non sapete rispondere alla domanda che viene da moltissime persone”.
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