All’evento di Domani a Roma, “Il futuro è adesso”, si è parlato di elezioni Usa e dello stato del dibattito pubblico nella chiacchierata tra Diego Bianchi, Marco Damilano e Giovanna Pancheri. Zoro: «Ve lo immaginate Salvini da noi in studio? Faremmo il boom ma perderemmo in credibilità». Damilano: «Meloni è solo l’ultima a fuggire dai giornalisti»
«Qui la possibilità che rivinca Donald Trump è percepita come un pericolo vero e un’emergenza, vedo una paura diffusa tra i democratici. Ho assistito a un suo comizio: sono rimasto un po’ deluso, un po’ mi sono annoiato, non c’erano tutti i personaggi strani che avrei immaginato, gente vestita da vichinghi. Sembrava quasi un comizio di Calenda!», scherza Diego Bianchi all’inizio del suo intervento all’evento di Domani “Il futuro è adesso”, in scena il 5 e 6 novembre al Tempio di Adriano, a Roma.
Il conduttore di Propaganda Live è collegato dagli Stati Uniti, dove sta seguendo il voto americano per la trasmissione di La7. Con lui c’è Marco Damilano, conduttore de Il Cavallo e la torre su Rai 3 ed editorialista di Domani. È proprio il voto di oggi a segnare l’incontro tra i due, per anni fianco a fianco a Gazebo e poi a Propaganda, e la giornalista Giovanna Pancheri, volto di Sky Tg24, dedicato a “Fare tv nel tempo dell’emergenza”.
«Noi di emergenze simili ne sappiamo qualcosa, tra gli Usa e l’Italia ci sono sempre state analogie, soprattutto nella seconda repubblica. Berlusconi voleva fare in Italia il partito repubblicano, con meno tasse e uno stato impalpabile. Dall’altra parte il Pd di Veltroni alludeva al partito democratico americano, a partire dal modello delle primarie», dice Damilano.
«Pochi giorni fa un articolo di Martino Mazzonis su Domani segnalava che la polarizzazione tra democratici e repubblicani è sempre maggiore, con pochissimi punti in comune. Ma ciò porta alla desertificazione democratica, con gli elettori che contano sempre meno e partecipano sempre meno alla vita politica», aggiunge l’ex direttore dell’Espresso.
Fare tv oggi
Nel panel moderato da Lisa Di Giuseppe si passa poi a parlare di televisione. E la parola torna a Zoro: «Oggi i politici sono dovunque, dentro e fuori la tv. Noi abbiamo scelto di non averli in studio, perché un conto è averli in esterna e un conto in diretta la sera. È questione di mantenere le distanze, quasi di “igiene”, è la cifra del nostro racconto. Ve lo immaginate Matteo Salvini da noi in studio? Faremmo il boom, ma perderemmo in credibilità».
Poi Damilano cita i rischi della disintermediazione, con i politici che attraverso i social si rivolgono direttamente agli elettori senza passare per il filtro dei giornalisti. «Così fa Giorgia Meloni con i video su Instagram, mentre evita accuratamente le conferenze stampa e il confronto. Ma lei è solo l’ultima in ordine di tempo», ricorda Damilano.
«Nella prima repubblica c’erano le tribune stampa, pur con i loro difetti; ora dominano i talk show, che sono diventati troppo prevedibili, con delle parti fisse in commedia. Purtroppo uscire dal vortice dell’assenza di vero confronto non è facile. La par condicio nasce come una legge giusta, ma ha finito per ingessare il confronto. Da anni non si fanno faccia a faccia televisivi tra i leader».
Il racconto in tv
Su questo concorda anche Pancheri, a lungo corrispondente dagli Stati Uniti: «Quando ho ospiti politici nel mio programma, uno di maggioranza e uno di opposizione, il rischio “pollaio” è elevato. Ma il pubblico non ne può più. C’è molta richiesta di confronti veri e nel merito e anche di reportage». Servizi sul campo che occupano buona parte dei programmi di Bianchi: «Il rischio di annoiare è elevato, ma noi abbiamo trovato una giusta lunghezza: se il racconto è valido il pubblico risponde positivamente. Ma tutto dipende dal rapporto di fiducia che si costruisce nel tempo».
«La lunghezza è un tratto distintivo del programma di Diego, io con la striscia su Rai3 punto su tempi molto brevi. Sono due sfide speculari», aggiunge Damilano. L’editorialista di Domani parla poi di servizio pubblico, lamentando che il tema è poco presente nel dibattito pubblico: «Se ne parla solo a proposito di nomine e poltrone, ma la Rai è parte della storia d’Italia. Il servizio pubblico è soprattutto giornalismo, spesso fatto da professionisti senza contratto né spalle coperte che non vengono valorizzati».
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