L’ultimo scivolone è stato sui numeri dei beneficiari dell’assegno di inclusione: l’Inps ha dovuto correggerla. Ma nonostante gli errori non entra nel totorimpasto. Anche perché lascia spesso a Meloni i dossier del lavoro
Il passo di Marina Elvira Calderone è quello felpato di chi si prende fette di potere, a colpi di nomine, senza temere di forzare la mano. È accaduto con l’azzeramento di un consiglio di amministrazione, quello della società Anpal servizi, insediatosi da pochi mesi, e con la partecipazione agli eventi pubblici al fianco del marito, suo erede alla guida del Consiglio dei consulenti del lavoro.
Ma anche quando ha portato a compimento la soppressione di Anpal (società diversa da Anpal servizi), sottraendo le funzioni al commissario, Raffaele Tangorra, dirigente stimato ma reo di essere troppo vicino al Pd, area Andrea Orlando, nonché di aver gestito operativamente la macchina del grillino reddito di cittadinanza.
Eppure, davanti ai dossier scottanti, come la riforma delle pensioni, il piglio decisionista della ministra del Lavoro evapora e lascia spazio a una certa arrendevolezza. Preferendo fare largo ai pesi massimi del governo.
Svarione sull’assegno
Calderone si muove lungo un doppio binario: badare al proprio orto, salvaguardando gli spazi di influenza, e farsi da parte quando lo chiedono dai piani alti del governo, quindi da palazzo Chigi e dintorni. «Questa strategia è la sua assicurazione sulla vita», spiegano fonti governative. Tanto che le è stato perdonato qualche scivolone o la gestione un po’ arruffata di passaggi delicati, che la farebbero terminare di diritto nell’elenco dei “rimpastabili”, i ministri che potrebbero essere sostituiti in caso di avvicendamenti nella squadra dopo le europee.
L’ultimo caso è quello dell’assegno di inclusione (Adi), che ha preso il posto (in versione depotenziata) del reddito di cittadinanza (Rdc). Calderone ha parlato di una platea di 450mila beneficiari dopo un mese, l’Inps ha dovuto rettificare, con i numeri reali: al 26 gennaio erano 287mila le famiglie titolate a ricevere il sussidio; 450mila erano le domande complessive (incluse quelle respinte).
Del resto, Calderone ha devoluto i propri poteri sul dossier post Rdc, molto prima delle gaffe sui numeri. La partita si è giocata su un altro tavolo, direttamente a palazzo Chigi con Meloni in prima persona. Il dossier è stato sottratto alla ministra dopo un’iniziale gestione alquanto confusionaria: nella primavera del 2023 aveva fatto circolare l’ipotesi dell’introduzione del “Mia”, acronimo di misura di inclusione attiva, su cui tanto si è discusso. Senza una finalizzazione. Tant’è che Meloni ha voluto girare, il 1° maggio, il celeberrimo video in cui annunciava il decreto Lavoro in esame nel Consiglio dei ministri.
Apponendo la firma politica sul provvedimento e relegando la ministra in un ruolo ancillare. Calderone ha incassato con stile il colpo evitando polemiche. Così come quando si parla di riforma delle pensioni, la ministra titolata a occuparsene viene derubricata ad attrice non protagonista.
Il tema è cruciale per la Lega: Matteo Salvini si è giocata mezza carriera politica sulla cancellazione della legge Fornero. Per questo vuole affidare il dossier nelle mani del “suo” sottosegretario, il leghista Claudio Durigon, di recente nominato pure commissario della Lega in Sicilia. La ministra? Lascia correre.
Album di famiglia
E quando si pensa al potere della ministra, la foto di famiglia è il caso di dire, è quella del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, feudo di Calderone per 17 anni, dal 2005 al 2022. L’incarico è passato nelle mani del marito, Rosario De Luca. Al momento della nomina nel governo Meloni, Calderone ha indicato l’erede con modalità quasi dinastiche.
Al suo posto si è infatti candidato De Luca, che vanta d’altra parte un cursus honorum di tutto rispetto, avendo ricoperto il ruolo di presidente della fondazione studi consulenti del lavoro. Facendo asse con la consorte. E, ça va sans dire, è stato eletto con una maggioranza straripante a capo del Consiglio, sfidando qualsiasi accusa di conflitto di interessi. Lui a capo di una struttura che rappresenta 26mila consulenti, lei al timone del ministero.
Poco male: se per palazzo Chigi il familismo di destra non è grave quanto l’amichettismo di sinistra, perché porsi la questione tra le mura domestiche? Così il binomio Calderone-De Luca è diventato un brand, molto potente in Italia sulle politiche per il lavoro. E alla festa dei 125 anni dell’Inps, la coppia ha ostentato, presiedendo allo stesso evento, la propria forza. Almeno dal punto di vista simbolico. Perché sui dossier pratici, dalle pensioni al salario minimo, fino alla misura post reddito di cittadinanza, è stata una sorta di spettatrice, per quanto interessata.
Non solo sui macro problemi, si fa concava e convessa. Ci sono delle questioni meno note, ma altrettanto importanti, come l’ampliamento della platea per rimborsi ai lavoratori vittime di patologie per l’esposizione all’amianto. La ministra aveva garantito, rispondendo alla Camera, di intervenire sulla norma. Sono passati altri 4 mesi e non si è visto nulla. Così il deputato del Pd, Luca Pastorino, ha presentato una nuova interrogazione per avere dei chiarimenti.
Il cerchio nel Calderone
Tra un dato impreciso e uno scavalcamento delle sue funzioni, Calderone ha messo mano su enti e società in house con una gestione chirurgica. Il caso dell’Anpal servizi resta paradigmatico: Massimo Temussi, già voluto dalla ministra come consulente, è stato promosso al ruolo di presidente e amministratore delegato della società che si occupa di politiche attive del lavoro.
Un’operazione che ha decapitato il precedente cda, nominato dal governo Draghi con Cristina Tajani (ora parlamentare Pd) alla guida. Lo slancio si è esaurito nel giro di pochi mesi: a gennaio scorso Temussi si è dimesso con una comunicazione via LinkedIn. Tornando direttamente al ministero alla direzione generale delle politiche attive e lasciando vacante la casella. E con un blocco sostanziale di Anpal servizi, sostanzialmente abbandonata al proprio destino.
Ma nell’inner circle di Calderone ci sono altri nomi in auge. Spicca Antonio Pone, che infatti è stato fortemente voluto a capo della direzione centrale Entrate dell’Inps dopo la sua esperienza da direttore in Veneto. Il feeling con la ministra è totale, tanto che accarezza il sogno di scalare le gerarchie nell’istituto di previdenza, di puntare alla poltrona di direttore generale dell’Inps.
Calderone ha cementato pure una buona relazione con Vincenzo Caridi, che vorrebbe confermare nella casella di dg. Solo che sul braccio di ferro delle nomine – come già raccontato da Domani – la ministra parte dietro ad altri nomi di peso di Fratelli d’Italia, dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari alla sorella della premier, Arianna Meloni.
La vera macchina da guerra della ministra è stata, però, Concetta Ferrari, segretaria generale al dicastero, andata di recente in pensione. «Era la vera ministra, perché gestiva i dossier tecnici, che la ministra delegava in abbondanza», raccontano, off the record, da via Veneto.
Diverso il discorso per Mauro Nori, capo di gabinetto della ministra con una solida esperienza all’Inps e al Cnel, che tuttavia sta scivolando indietro nel gradimento di Calderone. Ci sono state delle divergenze durante la scrittura della riforma per la nuova governance dell’Istituto di previdenza. Da allora il rapporto non è mai stato lo stesso di sempre.
Dal parlamento al ministero
Fuori dall’apparato dirigenziale, la ministra vanta un buon rapporto con Walter Rizzetto, presidente della commissione Lavoro alla Camera, che è stato il braccio operativo per affossare la proposta delle opposizioni sul salario minimo.
Una battaglia che vedeva Meloni in primo piano, ma con Calderone chiamata a impegnarsi sul punto. Così la cinghia di trasmissione con Rizzetto ha funzionato. Almeno per gli obiettivi fissati dal governo. «Per il resto è un corpo un po’ estraneo alle dinamiche parlamentari», dice una fonte di maggioranza alla Camera. Anche quando si presenta in aula per i question time appare un po’ spaesata.
Negli equilibri al ministero, invece, si muove a suo agio: Calderone mette in campo il suo savoir-faire. Con Durigon non cerca scontri e alla viceministra Maria Teresa Bellucci, di Fratelli d’Italia, lascia margini d’azione, in particolare sulla delega per il terzo settore e le politiche per gli anziani, che stanno molto a cuore alla sua vice. Così da tenersi al riparo da veleni e agguati negli uffici di via Veneto.
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