Il commissario per l’Alluvione in Emilia-Romagna si schiera con il governo: «Le amministrazioni non spendono». Le regioni e i comuni attendono da otto mesi il miliardo e 200 milioni di euro che l’esecutivo ha spostato dal Pnrr
Il disastro delle ultime ore in Emilia-Romagna, finita sott’acqua un anno e mezzo dopo l’ultima alluvione, ha rotto anche gli argini della propaganda del governo.
Sono trascorsi infatti otto mesi dall’annuncio di Giorgia Meloni del dirottamento dei fondi (non spesi per altri progetti) del Pnrr, un miliardo e 200 milioni di euro, sulla ricostruzione in Emilia-Romagna, dopo l’alluvione del 2023. Ma tra la propaganda e la realtà ci sono di mezzo 16 mesi in cui si è fatto poco o nulla.
Senza dimenticare l’errore a monte: l’accentramento a Roma della ricostruzione. Con una tempistica infausta pure per lo storytelling. La premier, proprio mercoledì, durante l’assemblea di Confindustria, dichiarava guerra al Green Deal, per blandire gli imprenditori. Poche ore dopo il cambiamento climatico ha presentato il conto.
Generale autopromosso
L’unica certezza è che il commissario all’emergenza alluvione, il generale Francesco Paolo Figliuolo, difende sé stesso e di conseguenza l’operato del governo che lo ha nominato fino al 31 dicembre, salvo ulteriori proroghe.
«Ho finanziato 2.041 interventi che afferiscono alla viabilità delle strade provinciali e comunali di Emilia-Romagna, Toscana e Marche con uno stanziamento di circa 761,7 milioni di euro», ha rivendicato già a luglio, quando ha stilato un primo bilancio della sua struttura, vedendo probabilmente il traguardo all’orizzonte.
In quella occasione ha parlato di «381 interventi per la difesa idraulica finanziati con 270 milioni, di edilizia residenziale pubblica e saline di Cervia con 255 interventi per 34,2 milioni».
Non c’è stata alcuna denuncia di ritardi e disfunzioni da parte delle amministrazioni. Insomma, nessun sentore che potessero rivedersi le immagini della primavera 2023, al netto della furia del cambiamento climatico.
Eppure, di fronte ai danni delle ultime ore, Figliuolo ha scaricato le colpe sugli enti locali: «Abbiamo dato 94 milioni per gli interventi di somma urgenza e ne hanno spesi a malapena 49 milioni. Dei 102 milioni sulla sicurezza idrica ne hanno spesi zero». Numeri che rafforzano la posizione di Nello Musumeci, ministro della Protezione civile: «Colpa delle amministrazioni».
La tesi è il modo per affibbiare le responsabilità agli amministratori, principalmente di parte politica avversa. Anche se non è sempre così, i malumori sono bipartisan. «Dalla gestione commissariale, eccetto un po’ di soldi per le somme urgenze dell’anno scorso, per quanto riguarda i progetti di consolidamento delle frane e delle strade non ci è arrivato un soldo», ha attaccato Massimiliano Pederzoli, sindaco di centrodestra del comune Brisighella, 7mila abitanti in provincia di Ravenna, smentendo la narrazione di Figliuolo.
Di mezzo ci sono intralci burocratici e diffidenze. «Hanno paura che freghiamo i soldi», ha ammesso candidamente Pederzoli ai microfoni di Rai 1. È certo, comunque, che da gennaio non è stato fatto alcun passo concreto per mettere effettivamente a disposizione il miliardo e 200 milioni di euro promessi in aggiunta ai precedenti stanziamenti. «Manca la firma dell’ordinanza commissariale», spiegano a Domani fonti vicine al dossier.
Senza quel documento è tutto fermo alla voce buone intenzioni. Sicuramente il via libera della struttura commissariale non avrebbe aperto in automatico i cantieri. Ma più si rimanda e più bisognerà attendere.
«A fine mese sarà sbloccato un altro miliardo», promettono dalla struttura commissariale. Sia come sia, questa vicenda è un’indiretta conferma che Figliuolo non è stato il “mr. Wolf” che auspicavano a palazzo Chigi.
Strategia sbagliata
Il problema è a monte, nella strategia del governo che non voleva Stefano Bonaccini, all’epoca presidente della regione, come commissario. Perciò il percorso di nomina del generale da parte di Meloni è stato lento.
Ha fatto perdere l’intera estate 2023, la stagione migliore per opere riguardanti i corsi d’acqua. C’è poi un problema ulteriore: la scarsa conoscenza del territorio. «Il commissario dovrebbe essere uno che lo conosce davvero», è la battaglia ingaggiata dal centrosinistra.
All’appello manca poi la spesa per uno sforzo concreto per i lavori più ambiziosi. Musumeci si chiede come la regione Emilia-Romagna abbia speso il mezzo miliardo proveniente dallo stato. Al momento mancano i finanziamenti statali per realizzare le casse di espansione, le opere idrauliche che consentono di diminuire la portata dei corsi d’acqua durante una piena.
Il progetto è stato inserito nei piani speciali della ricostruzione, definiti dalla regione insieme alla struttura commissariale. Sono stati individuati centinaia di possibili interventi. Ma non c’è copertura finanziaria dello stato.
La presidente facente funzione dell’Emilia-Romagna, Irene Priolo, ha confermato il problema: «Abbiamo bisogno che vengano finanziate le nuove casse d’espansione che stiamo mettendo nei piani speciali, perché la portata dei fiumi è questa». La reggente, al posto di Bonaccini, ha ribadito: «Abbiamo bisogno di arginare l’acqua quando ci sono eventi come questo. I piani speciali devono assolutamente essere finanziati».
L’amministrazione regionale ha scelto dunque di replicare con i fatti alle critiche governative. I cantieri chiusi quest’anno facevano capo all’Agenzia regionale di Protezione civile. Nelle ultime ore gli argini e le paratoie hanno evitato che il ciclone di vento e piogge diventasse un disastro di dimensioni peggiori.
Ritmi più compassati sono quelli della struttura commissariale, che ha affidato interventi per 270 milioni di euro alla Sogesid, società in house del ministero delle Infrastrutture, ma che opera per il ministero dell’Ambiente. Molti progetti non sono ancora partiti, nonostante la campagna di assunzioni della partecipata statale, guidata dall’amministratore delegato, Errico Stravato.
Ristori non al 100 per cento
Le lentezze sul versante dell’erogazione dei fondi stanziati e la mancanza di risorse per gli interventi strutturali fanno il paio con i ritardi sui ristori. Una buona fetta è stata elargita, garantendo la possibilità di compiere gli interventi d’emergenza.
Secondo quanto raccontano dai territori flagellati dall’alluvione del maggio 2023, i rimborsi per i beni mobili sono arrivati con il contagocce. Sono un ricordo le promesse roboanti di rimborsi al 100 per cento, fatte da Meloni agli alluvionati dell’Emilia-Romagna.
Ci sono state abitazioni devastate: bisognava acquistare l’intero mobilio e c’è stato bisogno di un massiccio investimento. «È stato disatteso l’impegno del ristoro totale», dice a Domani Daniele Manca, capogruppo del Pd in commissione Bilancio al Senato ed ex sindaco di Imola, in riferimento alla promessa della premier sulla garanzia di ristorare tutti i danni subiti dai cittadini dell’Emilia-Romagna.
«Il governo deve affrontare il dissesto idrogeologico come una priorità, smettendo di dire che il cambiamento climatico è un’invenzione della sinistra», insiste Manca. Il senatore del Pd lancia un appello all’esecutivo: «Bisogna recuperare le mappe geologiche, di fronte a fenomeni così estremi non bastano le manutenzioni ordinarie».
Si torna al punto di partenza. Il mancato contrasto al dissesto idrogeologico è la cifra del governo, che mette il sigillo a un Pnrr lontano dai cittadini. Non ha portato miglioramenti sul territorio. Anche perché per la destra meloniana la transizione ecologica è un intralcio.
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