Per palazzo Vecchio la destra valuta il direttore (tedesco) degli Uffizi. Sangiuliano e Sgarbi lo detestavano, ma ora è scoppiato l’amore
Contrordine sovranisti: prima gli stranieri, straniero è bello, anzi è “il” bello, la bellezza, l’arte, soprattutto quella di rimangiarsi una crociata per imbracciarne un’altra esattamente opposta. Succede a Firenze, città che il sindaco Dario Nardella aveva offerto come sontuoso ring del duello Musk-Zuckerberg sul modello di quello del 1504 fra Leonardo-Michelangelo (provocando una mezza rivolta a sinistra) e che in questi giorni si deve accontentare di essere teatro di una storia in tono minore, ma politicamente pericolosa.
In vista delle comunali del giugno 2024 la destra depone le armi contro quello che considerava il simbolo del cedimento della sovranità nazionale, e arruola come primo cittadino lo storico dell’arte tedesco Eike Schmidt, da otto anni direttore degli Uffizi.
Proprio lui che è stato osteggiato da ogni sfumatura di destra sin dai tempi della sua nomina (2014, decreto Franceschini) e avanti tutta fino ai tempi recentissimi del rude stil meloniano. Ancora il 21 agosto scorso Vittorio Sgarbi tuonava: «Come giudico gli stranieri che sono stati alla guida dei grandi musei italiani? Che adesso se ne vanno. Siamo arrivati noi e se ne vanno loro».
Dello stesso tenore il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che allo scorso ponte di Ognissanti lo aveva trafitto per la chiusura del museo per «carenza di personale». Un fatto che il ministro riteneva «gravissimo», «un danno di immagine per le Gallerie degli Uffizi e per l’intero Sistema museale nazionale».
Poi però è successo che a giugno Schmidt ha organizzato su due piedi una mostra sulle riviste del ’900. All’inaugurazione è arrivato un Ignazio La Russa in brodo di giuggiole («che passione queste riviste, così a lungo emarginate dalla cultura ufficiale»).
E il ministro: «Bravo direttore Schmidt, brave le curatrici per aver organizzato bene e in tempi rapidi questa mostra che ho fortemente voluto». Ultimo a convertirsi è stato Sgarbi, ma Firenze val bene una capriola, delle tante sue: «L’idea di Schmidt sindaco è del ministro Sangiuliano. Ha una sua logica: chi sostiene che Schmidt non va bene perché è straniero, non tiene conto che sinora è andato bene alla guida del principale museo del paese che è testimonianza della nostra cultura e della nostra nazione, la rappresenta».
Il complesso di inferiorità
L’idea di candidare il direttore è l’uovo di colombo un po’ per tutti: per le ambizioni del prestigioso e vulcanico storico dell’arte, a cui sarebbe stato offerto il museo di Capodimonte ma che – lo ha spiegato direttamente al ministro – è troppo lontano dalla moglie, che vive e lavora a Venezia. Ma è anche una buona soluzione per la destra cittadina, che ha un gruppo dirigente molto old style, e nella città vive un eterno complesso di inferiorità culturale. Peraltro, se vince, farà festa grande. Ma se perde nessun partito di maggioranza si dovrà accollare la sconfitta.
Così ora Schmidt ci crede davvero. Negli ultimi tempi ha prudentemente smesso la sua vena pop (è sua anche l’idea di una passeggiata di Chiara Ferragni nelle gallerie dopo il Covid) e di raccontare che il suo giornale preferito è il Manifesto, e ha assecondato la vena da sceriffo contro gli imbrattatori e i turisti mordi e fuggi. In realtà una vena che si è prodotta in abbondanza nel corso della sua direzione, come a più riprese segnalato dal professore Tomaso Montanari, che è nel comitato scientifico degli Uffizi (stile da «monarchia assoluta», ha scritto fra l’altro, il direttore è affetto da «solipsismo arrogante»).
In settimana Schmidt incontrerà il capo dell’organizzazione di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli. Intanto si porta avanti con il lavoro: venerdì ha rilasciato una verbosissima intervista al Corriere Fiorentino in cui ha attaccato alzo zero Nardella, con cui del resto non si è mai preso (memorabili gli scontri fra i due, alcuni gravi ma non seri, come quando al direttore fu comminata una multa per aver usato gli altoparlanti per comunicare con i visitatori del suo elegantissimo museo; altri gravi e basta, come il suo no al drappo nero sul David all’invasione russa dell’Ucraina).
Oggi la città, giura, «è più sporca e più insicura, in questi anni è peggiorata». Replica l’assessora Sara Funaro: «Usare la carica di direttore di museo per insultare la città e attaccare politicamente l’amministrazione comunale è un metodo inqualificabile. Cosa dice il ministro Sangiuliano di fronte un direttore di museo dello stato che fa politica?»
Monumento all’incompiuta
Ma il punto è che Schmidt si avvia a lasciare gli Uffizi con alcune clamorose incompiute. «Lascia un cantiere infinito con quelle gru che da anni inquinano il panorama di Firenze», il riferimento è ai due catafalchi dei lavori dei Grandi Uffizi, diventate un monumento a loro volta, ma ai ritardi all’italiana, o alla italo-tedesca, e sulla loggia di Isozaki, altra questione dibattuta in città «nel 2019 diceva di essere d’accordo con il ministro Franceschini per realizzarla, poco tempo fa si è detto d’accordo con il ministro Sangiuliano di non farla più».
Il Pd non ha scelto ancora il candidato, Funaro è in pole. «Gli regaleremo una mappa nella città», ironizza Andrea Giorgio, assessore all’Ambiente. Poi più seriamente: «La destra cerca di darsi un profilo presentabile, ma che non ha alcun legame con il corpo vivo della nostra città. Schmidt conoscerà bene le Gallerie degli Uffizi, ma non ha idea di cosa sia Firenze fuori da lì, peraltro durante la sua direzione non ha mai manifestato grande attenzione né ai lavoratori né alle scuole, con una gestione più basata sui numeri di visitatori che sugli impatti culturali e sociali del museo». Da palazzo Vecchio Nardella ora evita di dare corda al direttore che cerca la polemica per far parlare di sé.
L’ex sindaco Matteo Renzi sospira: «Ah, non ci sono più i sovranisti di una volta». Ma mastica amaro: con il suo tesoretto di voti avrebbe voluto dettare la linea alla destra, che invece fa da sé. Ma anche in FdI il malumore c’è: tanti anni a mangiare polvere e, ora che soffia il vento, devono cedere il passo. E poi a un tedesco. Sembra una battuta, ma davvero una battutaccia.
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