Nello stallo di queste ore a Bruxelles, sui tavoli delle trattative sui nomi e sulle deleghe dei nuovi commissari europei, è guerra di fonti riservate. Dal lato della Commissione viene spiegato che la vicepresidenza esecutiva all’italiano Raffaele Fitto non è un «grosso» ostacolo, l’impasse sarebbe dovuto al nome sloveno: il commissario Tomaž Vesel si è ritirato ma la scelta della nuova candidata – donna, come da richiesta – la liberale Marta Kos, deve passare oggi al vaglio del suo parlamento nazionale.

Quanto a Fitto, von der Leyen sarebbe sicura di riuscire a spiegare a verdi, socialisti e liberali perché deve assegnargli una vicepresidenza esecutiva. La presidente non accetta l’obiezione che si tratti di troppo “peso” dato a un sovranista. Il parlamento europeo ha già eletto due vicepresidenti di Ecr. Fonti del gruppo socialista sostengono la tesi opposta. «Non riusciamo a capire come un governo che non ha sostenuto von der Leyen possa ora avere un posto in Commissione allo stesso livello nostro», cioè dei socialisti, «o del Ppe».

Insomma, von der Leyen è stata eletta presidente grazie alle forze europeiste. Ed ha promesso che lavorerà con le forze europeiste. Se si rimangia tutto, i verdi sarebbero pronti a non votarla – ma anche i liberali si sono impuntati, per una questione di equilibri – e i socialisti finirebbero nei guai: non potrebbero non votare la Commissione, ma così ne favorirebbero lo spostamento politico verso i conservatori.

Gioca la nazionale

In questo cruciale bivio europeo ci sono anche le due principali leader italiane. Giorgia Meloni ha assoluto bisogno di ricevere un attestato di forza. Ha bisogno di smentire la propaganda delle opposizioni che la incolpa di aver portato l’Italia fuori dal club degli europeisti con il voto contrario a von der Leyen. Che poi questo, se accadrà, sarà dovuto «al peso dell’Italia, che è uno dei sei paesi fondatori», come gli esponenti del Pd ripetono da tutti i pulpiti mediatici, sarà un concetto difficile da far passare fra le ali esultanti di FdI e di Forza Italia (vedremo la Lega come la prenderà).

Dall’altra parte dell’incrocio c’è Elly Schlein. Che non può essere accusata di essere meno rigorosa di verdi e liberali da una parte, ma neanche di essere anti italiana dall’altra, come l’avverte già Antonio Tajani: «Fitto votò per Gentiloni, Berlusconi addirittura, che era all’epoca deputato europeo e faceva parte della commissione Affari esteri, andò ad ascoltare, per dare un segnale politico, l’audizione di Gentiloni, a dimostrazione che fuori dai confini nazionali gioca l’Italia», ha ricordato ieri. «Mi auguro che questo senso di appartenenza ci sia anche fra i parlamentari eletti a sinistra, perché è il commissario italiano, non un commissario di un partito».

Divieto di svolte a destra

Il Pd non vuole farsi chiudere in questo angolo. Spiega Peppe Provenzano, deputato e responsabile Esteri del partito: «Come socialisti valuteremo il complesso della proposta della Commissione e la coerenza con gli impegni programmatici e la maggioranza politica che si è formata nel parlamento europeo». Il problema che socialisti, verdi e liberali pongono «è che se la presidente della Commissione allenta o fa saltare il vincolo politico con il parlamento, la navigazione nei prossimi anni sarà più incerta, e sarà difficile realizzare il percorso di integrazione su cui la von der Leyen è stata eletta e che per la verità è persino al di sotto di quello che servirebbe».

Poi c’è l’aspetto nazionale: «Come italiani, valuteremo Fitto senza pregiudizi personali ma chiedendo impegni chiari. Ci sono questione politiche che dovrà chiarire al parlamento. Primo la compatibilità tra quello che ha detto l’estrema destra alle elezioni europee e dopo e il programma su cui è stata votata von der Leyen a luglio. In ogni caso, noi contestiamo Meloni non se fa contare l’Italia, ma per il contrario: per averla resa marginale a causa delle sue idee e delle sue alleanze sbagliate».

Il tema, insomma, non è un posizionamento ideologico anti Fitto, ma la richiesta di un commissario europeista. Al ministro vengono riconosciute le doti di moderazione e di capacità di mediazione. Anzi, una parte del Pd, da Antonio Decaro in giù, si è mostrata anche più che accogliente. Ma Fitto per dimostrarsi europeista dovrebbe lasciare a casa la linea del governo nazionalista di Meloni. Dovrebbe insomma abiurare.

Due leader al bivio

Sta qui il lato italiano dello stallo. Se a Bruxelles si gioca la partita di una Commissione che deve decidere se proseguire nella linea delle larghe intese europeiste o flettere a destra, in Italia si gioca una sfida fra la presidente del Consiglio e la leader delle opposizioni. Entrambe alle spalle hanno uno schieramento variegato e non coeso. Ed entrambe non vivono un momento smagliante.

Di più la premier: esce dalle turbolenze dell’affaire Sangiuliano, che non è detto che non riservi altri colpi di scena su palazzo Chigi o la sua stretta famiglia, che sono la stessa cosa. Meno Schlein: ha appena presentato un libro-intervista, L’Imprevista (Feltrinelli), che sarà l’occasione di convocare nuove assemblee intorno a sé anche dopo la fine delle feste dell’Unità. Lei è riconosciuta “federatrice” del centrosinistra, ma lo stato dell’unione non è eccellente. Il suo invito a tutte le forze a lavorare su un programma minimo ma solido fin qui non ha ricevuto grandi accoglienze presso gli alleati.

Matteo Renzi, sdoganato troppo velocemente, e Giuseppe Conte, il cui problema interno al Movimento è stato sottovalutato, sono impegnati in una singolar tenzone che ancora non ha consentito di chiudere l’accordo dell’alleanza in Liguria. Si aspettano notizie per le prossime ore. La Liguria è la prima regione che andrà al voto. Se la sinistra vince, può sperare nella tripletta d’autunno (con Umbria ed Emilia-Romagna). Se la destra vince, nonostante l’arresto del presidente Giovanni Toti, sarebbe un formidabile punto per Meloni, che peraltro ha scelto il candidato di suo pugno.

Vedremo quale sarà il tassello che si incastrerà, in prima battuta, martedì prossimo, quando Ursula von der Leyen presenterà la lista dei commissari. Poi bisognerà aspettare l’esito delle audizioni di ciascuno. Il voto sulla Commissione può innescare reazioni a catena opposte, per Meloni e per Schlein. L’abilità politica di Ursula von der Leyen potrebbe riservare una soluzione win-win per le due, e per sé stessa. Ma al momento è la meno probabile.

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