- L’inchiesta di Firenze sulla fondazione Open che vede indagati per finanziamento illecito Matteo Renzi, considerato direttore di fatto dell’ex cassaforte della corrente, Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Marco Carrai è stata chiusa qualche giorno fa.
- Ora, tra le carte dell’inchiesta lette da Domani ci sono però vicende inedite che non hanno forse riflessi penali, ma raccontano bene commistioni quantomeno inopportune tra l’imprenditoria e la politica.
- Alla Fondazione Vincenzo Onorato ha girato 300mila euro nel 2015. Il patron di Moby scrisse a Lotti chiedendo un emendamento e suggerendone il testo: passò quasi identico.
L’inchiesta di Firenze sulla fondazione Open che vede indagati per finanziamento illecito Matteo Renzi, considerato direttore di fatto dell’ex cassaforte della corrente, Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Marco Carrai è stata chiusa qualche giorno fa.
L’ipotesi dei magistrati è che aziende e imprenditori vari abbiano versato circa 3,5 milioni di euro tra il 2014 e il 2018 in violazione della legge, e che l’ente fosse dunque un’articolazione del Partito democratico: «Quando il giudice penale vuole decidere le forme della politica siamo davanti a uno sconfinamento pericoloso per la separazione dei poteri» ha replicato l’ex presidente del Consiglio alla notizia del suo probabile rinvio a giudizio. «Loro vogliono un processo politico alla politica, noi chiederemo giustizia nelle aule della giustizia».
Ora, tra le carte dell’inchiesta lette da Domani ci sono però vicende inedite che non hanno forse riflessi penali, ma raccontano bene commistioni quantomeno inopportune tra l’imprenditoria e la politica. Con conflitti di interesse giganteschi tra pubblico e privato che la fine del finanziamento pubblico ai partiti ha persino peggiorato.
Il caso Onorato
La storia di Vincenzo Onorato, armatore della Moby e di Tirrenia di Navigazione che curano i collegamenti tra la Sardegna e la terraferma, è esemplare. I finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria di Firenze dedicano una lunga informativa ai rapporti dell’ex patron di Mascalzone Latino con il “giglio magico”. Onorato gira tra novembre del 2015 e luglio del 2016 alla fondazione Open 300mila euro.
Mentre nel 2019 con la Digistart, una società di proprietà dello stesso Renzi (aperta e chiuso nel giro di pochi mesi tra il 2019 e 2020), secondo i finanzieri imposta una bozza di contratto per una consulenza. «Si osserva – scrivono i militari – che le che le contribuzioni a favore della fondazione Open erogate da Onorato e dalla Moby spa appaiono finalizzate a consolidare rafforzare i rapporti con esponenti politici del Partito democratico collegati alla fondazione Open (in particolare con l’onorevole Ernesto Carbone e con Luca Lotti, quest’ultimo con incarichi di governo) potenzialmente funzionali agli interessi imprenditoriali del gruppo Moby.
Legge o dettato?
Gli investigatori – attraverso analisi dei messaggi WhatsApp e di appunti sequestrati alla fondazione Open e ad alcuni membri del suo cda – prima evidenziano i rapporti amicali tra Onorato e i renziani Lotti e Alberto Bianchi, avocato di Renzi e allora presidente di Open. Poi ricostruiscono cene all’Harry’s Bar tra il cda della fondazione e «significativi contributori», tra cui lo stesso Onorato, Pietro Di Lorenzo della Irbm di Pomezia e Riccardo Maestrelli, l’imprenditore che prestò 700 mila euro all’ex premier per l’acquisto della villa di Firenze.
Infine si concentrano su alcuni scambi di mail tra Onorato, Lotti e Carbone, che evidenzierebbero come l’armatore che ha girato 300mila euro alla Open ha poi suggerito ai deputati democrat – nell’ottobre del 2016 – come scrivere un dispositivo legislativo per emendare alcune norme sugli incentivi in favore delle imprese marittime.
Si tratta della legge Cocianich, che intendeva assegnare benefici sulle tasse (la cosiddetta Tonnage Tax) solo alle aziende che imbarcavano sulle loro navi marinai italiani o dell’Unione europea. Da lustri uno dei cavalli di battaglia di Onorato, che sul tema dei troppi marittimi extracomunitari sulle navi italiane si è battuto contro gli armatori di Confitarma e l’allora presidente Emanuele Grimaldi, suo grande rivale in affari e nell’associazione di categoria.
L’8 ottobre 2016 Onorato scrive dunque a Lotti e Carboni una lunga lettera, in cui segnala che per porre fine «all’indecenza basterebbe riscrivere» la legge «in questi termini: “Usufruiscono dei benefici del registro internazionale italiano quelle compagnie che impiegano esclusivamente marittimi italiani e/o comunitari”. Caro Luca, lo stato risparmierebbe una marea di soldi, il ricatto di Grimaldi è un bluff! Un segnale importante, una volta passata la Cociancich, sarebbe ridurre il tempo di adeguamento agli armatori a soli due mesi».
La legge passa venti giorni dopo con un testo quasi identico a quello consigliato da Onorato. Il dispositivo chiarisce infatti che «gli sgravi contributivi» saranno appannaggio delle «sole imprese che imbarcano esclusivamente personale italiano o comunitario». «Grazie Matteo! Il primo governo che si prende a cuore i marittimi italiani», scrive Onorato in una mail ai suoi collaboratori per preparare un post sui social.
Consulenze renziane
Carboni, sentito al telefono, spiega che le sue interlocuzioni con Onorato per l’emendamento «furono del tutto normali: è necessario parlare con tutte le categorie e gli imprenditori del settore, soprattutto se si discute di leggi giuste che servivano ad aiutare marinai italiani».
Sostenendo pure che il provvedimento fu bloccata per anni nei meandri della Comunità europea, anche se oggi – ricordano da Confitarma – è pienamente vigente. Nonostante quelle che in altre chat con Lotti segnalate dalla finanza Onorato definisce «le schifezze fatte da Graziano Del Rio», allora ministro delle Infrastrutture è mai convinto della norma sui marittimi. «Io ci ho provato fino in fondo», risponde Lotti, che in un fascicolo parallelo della procura di Firenze è indagato per corruzione perché accusato di essersi adoperato per far approvare disposizioni favorevoli al concessionario autostradale di Toto costruzioni.
Un’impresa che secondo l’accusa ha versato al presidente di Open Bianchi 800mila euro a pronte di una prestazione professionale fittizia, finite in parte al Comitato per il Sì al referendum e in parte a Open.
A differenza di Alfonso Toto, il patron di Tirrenia, che è finito di recente sui giornali anche per aver girato circa un milione di euro alla Casaleggio Associati, non è indagato. Ma i finanziari nell’informativa si concentrano anche su altre sue interlocuzioni con il mondo renziano.
Prima ricordando una mail in cui il solito Bianchi, a novembre del 2019, quando il gruppo armatoriale era in cattive acque, gli scrive che «con un collega ed amico abbiamo un fondo che è pronto a finanziare una transazione tua con i commissari di Tirrenia. Interessa?».
Poi descrivendo l’affaire Digistar. Il primo agosto 2019 Carbone (che non era più parlamentare, e che dunque sottolinea a Domani «l’assenza di conflitti di interesse di sorta») invia a Onorato una mail con allegata «una bozza di contratto in inglese che risulta precompilato per la parte della società fiorentina Digistar srl (controllata al 100 per cento da Renzi, ndr) la quale figura in qualità di “advisor” con la previsione di una success fee dell’1,5 per cento».
Al possibile deal tra Renzi e Onorato si occupava, secondo i militari, anche Marco Carrai, che da collaboratore della società dell’amico avrebbe potuto aiutare l’imprenditore a trovare fondi disposti a finanziarlo. «Il contratto di consulenza prevede la fornitura di servizi e sviluppo aziendale, inclusa la presentazione della “società” a potenziali investitori e clienti», conclude il nucleo della Gdf.
La bozza viene forse “sviluppata” e firmata dagli uffici della Moby e dagli amici di Renzi, tanto che Carrai tra il 7 e il 9 agosto 2019 manda i documenti Bp Moby Group e il Moby Confidencial Agreement direttamente sulla email del senatore di Rignano. L’accordo economico con Onorato comunque non si concretizzerà mai: la Digistar verrà chiusa qualche mese più tardi.
Dall’entourage di Renzi si evidenzia che il leader non è indagato per la vicenda, e che nulla di illegale o poco trasparente è stato mai firmato attraverso la Digistart. Le carte depositate dai pm hanno comunque fatto infuriare il capo di Italia viva, soprattutto perché i magistrati fiorentini avrebbero depositato captazioni segrete e parte di bonifici bancari del suo conto corrente personale. In passato Renzi aveva minacciato di denunciare gli inquirenti che non avessero rispettato la sua privacy e le norme che proteggono le informazioni personali dei parlamentari: la guerra con la procura toscana non è finita.
© Riproduzione riservata