Il deputato Pd, autore del saggio Giacomo Matteotti, l’Italia migliore (Bollati Boringhieri): «È un patrimonio non solo della sinistra italiana, di quella europea e più in generale dell’antifascismo. Ci voleva questa commemorazione per far pronunciare alla presidente Meloni la parola “fascismo”»
«Ci voleva la commemorazione di Matteotti per far pronunciare alla presidente Meloni la parola “fascismo”». Del resto, avrebbe potuto evitarlo? Secondo Federico Fornaro, deputato Pd e autore del saggio Giacomo Matteotti, l’Italia migliore (Bollati Boringhieri), «la premier e il suo partito hanno inaugurato una stagione revisionista all’insegna dell’omissione. Già nel comunicato di Palazzo Chigi sull’80esimo delle Fosse Ardeatine, e di recente in quello sul 50esimo della strage di Brescia non vengono citati né fascismo né il termine “neofascismo”. Non è una dimenticanza, ma un tentativo di riscrittura della storia nazionale in cui si prova a ridimensionare se non a cancellare le responsabilità dello stato fantoccio e collaborazionista della Rsi durante l’occupazione tedesca dopo l’8 settembre 1943. Allo stesso modo la destra alimenta una “nebbia dell’indistinzione degli Anni di piombo”, sulle stragi compiute da gruppi neofascisti, con la complicità di apparati dello Stato, come giustamente ricordato dal presidente Mattarella».
Lei ricostruisce un Matteotti-mito, ma solo di recente studiato. Perché è il primo martire del fascismo ma anche il simbolo delle divisioni dei suoi avversari durante la “tempesta” del fascismo nascente?
Matteotti è ricordato nei libri di storia e nella toponomastica delle città come martire antifascista, ma è poco conosciuta la sua vita, il suo impegno politico e il suo riformismo intransigente. I suoi discorsi parlamentari furono pubblicati solo nel 1970 su impulso dell’allora presidente della Camera Pertini. Sul riformismo turatiano è caduta una sorta di damnatio memoriae: una certa sinistra lo ha a lungo considerato responsabile della mancata rivoluzione nelle giornate dell’occupazione delle fabbriche del 1920 e della sterile opposizione all’avvento del fascismo. Nel dibattito interno al Partito socialista, Matteotti si schierò sempre con la minoranza riformista e non si fece mai abbagliare dalla retorica del “fare come in Russia”. A differenza dei più, capì subito il carattere eversivo del fascismo e fu tra i primi a denunciare alla Camera la natura violenta e illegale della milizia privata agli ordini di Mussolini.
Tutti sanno dov’è seppellito Mussolini, in pochi dove è la tomba di Matteotti. Perché?
Non si sono mai fatti i conti con il fascismo e con la mancata discontinuità a vari livelli dello stato dopo il 1945. I nostalgici del fascismo negli anni hanno alimentato il falso mito di Mussolini “che ha fatto cose buone”. Invece la trasmissione della memoria di Matteotti si è limitata al suo martirio e non alla sua intera vita di militante e dirigente antifascista.
Negli ultimi anni il Pd lo ha commemorato a più riprese, anche con i suoi partner europei. È scattato qualcosa?
Quando venne ucciso dai sicari fascisti Matteotti era uno dei giovani leader del socialismo europeo dopo il “terremoto” della Guerra mondiale. È naturale che il Pd e i partiti del Pse onorino la memoria dell’allora segretario del Partito socialista unitario. È un patrimonio non solo della sinistra italiana, di quella europea e più in generale dell’antifascismo.
C’è una lezione matteottiana, qui e ora, in un centenario speciale, con la destra al governo e con il risultato delle europee che arriverà nel centenario della sua uccisione?
La vita di Matteotti, il suo intransigente antifascismo e non soltanto la drammatica giornata del 10 giugno 1924 sono la migliore risposta possibile al tentativo di riscrivere la storia del Ventennio in due parti: un fascismo “buono” fino al 1938, anno delle leggi razziali, e poi un “fascismo cattivo” a causa delle cattive amicizie con la Germania di Hitler. Nulla di più falso: la storia di Matteotti e del suo Polesine attestano che la natura violenta e antidemocratica del fascismo erano già evidenti dal 1919. Quei due fascismi non sono mai esistiti: è un’invenzione a uso dei revisionisti che gode di grande credito dalle parti di Palazzo Chigi. Il riformismo matteottiano e la sua intransigenza morale ed etica debbono avere un posto d’onore nella cassetta degli attrezzi di una moderna sinistra di governo.
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