Dopo il sì del Senato a passo di carica, ora il premierato in commissione Affari costituzionali di Montecitorio procede ad andamento lento. Siamo nella fase delle audizioni. Ne sono state svolte una trentina su sessanta in calendario. Per il deputato Pd Federico Fornaro, la prima conclusione provvisoria è: «Non termineranno prima della fine di settembre».

Nelle audizioni sono emersi definitivamente i «bachi» del testo. Partiamo dalla legge elettorale.

È la grande assente. Un fantasma che si aggira nel palazzo. Nonostante per la prima volta entri in Costituzione con l’espressa indicazione di un premio di maggioranza al fine di «garantire» alle liste che sostengono il Presidente del consiglio la metà più uno dei seggi nelle due camere. Ma, con il bicameralismo paritario vigente, è necessario chiarire quante saranno le schede che l’elettore si troverà davanti. In linea di principio non si possono escludere maggioranze differenti espresse dagli elettori di Camera e Senato. Ma proprio quel perentorio «garantisce» impone di lavorare in parallelo sul testo della riforma e sulla legge elettorale. Ormai ne ha preso atto anche il presidente della Commissione.

C’è chi ha proposto il ballottaggio sul modello dei comuni.

Nel testo non c’è indicazione di una soglia minima per accedere al premio. Il rischio è di incorrere in una censura della Consulta. L’altro vero baco è l’unicum al mondo di un elezione di un organo, il presidente del Consiglio, che si trascina l’elezione di altri due organi costituzionali, Camera e Senato. Né a Macron né al presidente degli Usa viene garantita la maggioranza negli organi legislativi: per garantire il sistema dei contrappesi democratici. Abbiamo chiesto che, prima di iniziare la fase emendativa, il governo si decida a presentare una proposta sulla legge elettorale. Tenuto anche conto che la norma transitoria approvata al Senato, prevede che la riforma sia applicabile solo dopo l’entrata in vigore della nuova legge elettorale.

La «trappola Calderoli»?

Sì. Questa norma lascia spazio a un gioco di veti collegati all’applicazione dell’autonomia differenziata. In altri termini: se Fratelli d’Italia e Forza Italia provassero a rallentare o sabotare l’iter della riforma leghista, Salvini può mettersi di traverso sulla legge elettorale. Bloccando il premierato, anche nel caso in cui sia stato già approvato. Persino se avesse superato lo scoglio del referendum.

Passiamo all’altro «baco», il voto degli italiani all’estero.

La Costituzione assegna loro un diritto di voto pieno, ma stabilisce un numero di eletti fisso: 8 alla Camera e 4 al Senato. In altri termini, ai nostri connazionali all’estero è garantito un «diritto di tribuna», non una rappresentanza proporzionale alla loro consistenza numerica. Nel testo della riforma invece, avrebbero un voto parificato a quello dei cittadini residenti in Italia per l’elezione del presidente del Consiglio. Conclusione: la questione non può trovare una soluzione nella legge elettorale, come sostiene la maggioranza.

La ministra Casellati è sempre stata presente alle audizioni. Per sorvegliare gli alleati?

Preferisco credere a una forma di rispetto del Parlamento. Ma non incide sul confronto. Sull’autonomia abbiamo assistito a un monologo delle opposizioni, ricordo solo un paio di interventi in aula del ministro, con una maggioranza zitta sotto la minaccia leghista di crisi di governo se alla Camera si fosse approvata anche una sola modifica, che avrebbe richiesto una terza lettura.

Alla ripresa la maggioranza dovrà rassegnarsi a cambiare il testo?

Non in tempi brevi. La maggioranza ha raggiunto un’intesa che prevede un’alternanza settimanale tra le audizioni del premierato e quella dello sdoppiamento del Csm. Poi la legge di bilancio quest’anno partirà alla Camera, dunque per gli altri provvedimenti ci saranno drastiche limitazioni. Sulla legge elettorale continua ad esserci buio totale. Se dovesse passare il premierato come proposto dal governo, l’Italia diventerebbe una democratura sul modello Ungheria. Un obbrobrio politico, culturale e costituzionale. Ma il fatto è anche che la legge non sta in piedi, e finirebbe dritta alla Consulta. Ormai anche la premier lo sa.

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