Il sindacalista del Comitato referendario: «Le 500mila firme ci sono, ma si va avanti». «Salteranno sanità e contratti nazionali. E le imprese temono 21 burocrazie regionali»
Le 500mila firme, quante ne servono per chiedere un referendum, ci sono già. «E in pochi giorni», spiega Christian Ferrari, della segreteria nazionale Cgil e del Comitato promotore del referendum contro l’autonomia differenziata, «il che conferma che è una battaglia che intercetta un sentimento diffuso e trasversale. Anche geograficamente: le firme non arrivano solo dal Sud, abbiamo ottimi riscontri anche dal Nord. Ma non ci accontentiamo, andiamo avanti fino a settembre, fino all’ultimo giorno utile».
Dica la verità, la piattaforma digitale ha fatto la differenza.
Quelle online sono adesioni record, sì. Ma restiamo concentrati sulle firme cartacee, sulle persone in carne e ossa che vengono ai banchetti. È fondamentale il rapporto diretto con quante più persone possibili, per rendere questa battaglia sempre più un movimento. I coordinamenti territoriali programmano anche dibattiti e incontri. Non dobbiamo invertire un presunto consenso sulla legge Calderoli, che non c’è, ma informare sui rischi che porta.
Crede che non ci sia un consenso maggioritario sul ddl Calderoli?
Non c’è perché la legge è stata fatta in maniera del tutto autoreferenziale nelle camere. Noi dobbiamo solo informare: intanto che il referendum non è una contrapposizione Nord-Sud, perché l’autonomia fa danni a ogni latitudine. E se ne rende conto anche il tessuto produttivo settentrionale, che ha l’incubo di doversi districare fra venti regimi normativi e burocratici diversi su materie strategiche. È finita l’illusione secondo cui il Nord, staccandosi, si aggancia al centro Europa. Anzi, ormai è chiaro che il ddl Calderoli è la nostra Brexit, ci condanna a essere un nano industriale. E poi sono in gioco il welfare universalistico, la scuola pubblica, il Servizio sanitario nazionale, il contratto collettivo, la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Le fasce popolari hanno tutto da perdere, ovunque risiedano. La questione democratica-istituzionale è quella sociale.
Concretamente che vuol dire?
Che l’autonomia differenziata non è solo un problema di architetture istituzionali, produce effetti sulle condizioni materiali di vita e lavoro delle persone, peggiorandole. Per questo il referendum è del tutto complementare ai nostri quattro quesiti sul lavoro su cui abbiamo già consegnato quattro milioni di firme. Sarà una campagna unica per cinque sì.
C’è davvero il rischio di rottura dei contratti nazionali?
Si apre la prospettiva della loro regionalizzazione. Infatti i sedicenti autonomisti hanno riesumato le gabbie salariali, una frantumazione della contrattazione in una logica di dumping al ribasso che non conviene nemmeno al Nord: quando c’erano le gabbie la divisione non era Nord-Sud, ma anche infra-regionale. Tra le 23 materie in deroga c’è la possibilità di competenza esclusiva delle regioni su salute e sicurezza sul lavoro, materie di drammatica attualità.
La Cgil ha rimesso insieme il centrosinistra?
Per la Cgil questa è una battaglia di contenuti reali. Siamo partiti quasi in solitudine, abbiamo contribuito a una convergenza larga e trasversale, lavoriamo ad allargarla. La convergenza di tante forze politiche è un fatto politico rilevante, ma attenzione: non servono operazioni politicistiche calate dall’alto, serve attivare una grande partecipazione popolare. Solo parlando alle persone in carne e ossa su temi concreti porteremo al voto 26 milioni di italiani. E daremo un contributo a costruire un’alternativa credibile a questo governo. E a revitalizzare una democrazia sempre più svuotata di partecipazione.
FdI e FI hanno lasciato sola la Lega?
La maggioranza va avanti con una logica spartitoria: dal premierato alla separazione delle carriere dei pm al ddl Calderoli, vuole sovvertire la Costituzione antifascista nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro. Al fondo c’è un disegno per stravolgere la nostra democrazia trasformandola in una democratura. Ma ci sono tanti amministratori di destra per i quali è sempre più difficile tenere insieme la linea dei loro partiti nazionali con gli interessi concreti dei cittadini che amministrano. Ci rivolgiamo anche a loro, chiediamo un atto di responsabilità verso i territori che rappresentano.
Anche Confindustria è critica. Operai e padroni uniti?
Per noi è una battaglia che deve unire tutto il paese. Registriamo che si allarga la consapevolezza dei disastri che l’Autonomia può determinare per le politiche produttive. Abbiamo segnali diretti, al Nord diversi esponenti delle associazioni datoriali lanciano l’allarme. Non ci aspettiamo che partecipino al Comitato, ma il loro contributo alla campagna referendaria arriverà. E sarà il benvenuto. La legge Calderoli un progetto antistorico e porta a sbattere il paese. Gli imprenditori sanno che saremmo disarmati, ripiegati localisticamente, mentre la vera esigenza oggi è proiettarsi come grande Sistema Paese nel contesto europeo, e rivendicare lì delle politiche europee. Altro che frantumarci in ventuno politiche energetiche, degli investimenti, delle infrastrutture, ambientali.
C’è chi rassicura: finché non saranno finanziati i Livelli essenziali di prestazione non succede niente.
Bugia pietosa. La legge non era ancora in vigore e già il presidente del Veneto Zaia aveva mandato la richiesta per tutte le materie non Lep: fra cui la previdenza integrativa, la protezione civile. Questo è un progetto che va sconfitto ora, prima che prenda il largo.
Credete davvero di riuscire a portare mezzo paese al voto?
Sì. Parlando di lavoro, sanità, welfare, questioni concrete. Il messaggio è semplice: con cinque sì puoi cambiare le cose sul serio. Ci batteremo fino all’ultimo voto.
Anche cinque regioni hanno chiesto il referendum. Lavoro doppio?
È la stessa battaglia, apprezziamo che abbiano deliberato il referendum totalmente abrogativo che stiamo sostenendo anche noi. E per noi è importantissimo avere una sponda istituzionale. Ma da sola non basterebbe, raccogliamo le firme per avere una legittimazione popolare. Le regioni sono fondamentali, ma anche i tanti sindaci che sanno che i comuni saranno marginalizzati. Del resto quelli dell’autonomia differenziata sono quelli che fanno brutali tagli lineari agli enti locali. Chiederemo a tutti loro, dalle grandi città al comune più piccolo, di firmare. E di essere con noi nei prossimi mesi di battaglia referendaria.
© Riproduzione riservata