Dopo la morte del leader il partito non si è liquefatto, ma regge anche con l’appoggio della famiglia Berlusconi. Alle europee è in posizione migliore rispetto alla Lega: è alternativa a FdI e l’obiettivo 8 per cento è a portata
Sembra non esserci alcuna confusione sotto il cielo di Forza Italia. Il partito era considerato ormai su un inevitabile viale del tramonto dopo la morte, il 12 giugno scorso, del fondatore Silvio Berlusconi: lì lì per squagliarsi in diversi rivoli, pronti a confluire nella Lega, in Fratelli d’Italia o in Italia viva.
Invece Forza Italia è ancora viva e vegeta, indirizzata verso il congresso del 24 e 25 febbraio che si annuncia un plebiscito senza sorprese per l’attuale segretario Antonio Tajani.
In pochi, dopo la scomparsa di Berlusconi, avrebbero scommesso su una tenuta tanto granitica: invece nessuno ha lasciato il partito e, anzi, ciclicamente Tajani annuncia nuovi ingressi. Nessuno di eclatante – qualche consigliere regionale o comunale, a parte l’ultimo colpo grosso del ritorno di Letizia Moratti – ma è il segno che lo spazio occupato dal partito esiste ancora.
La transizione così fluida dopo il lutto, tuttavia, è stata possibile solo grazie a una successione altrettanto ordinata di quello che è il vero cuore dell’impero berlusconiano: la famiglia. Dopo la morte del fondatore, infatti, i cinque figli si sono ritirati nel silenzio per spartire l’immenso patrimonio calcolato in almeno cinque miliardi di euro, le aziende e le ville.
La divisione non è stata equa nel senso proprio del termine, ma equilibrata secondo le ambizioni di ognuno dei cinque figli del fondatore di Forza Italia e secondo i desiderata del padre.
I figli di primo letto – Marina e Piersilvio Berlusconi – infatti, hanno mantenuto il controllo dei gioielli più appariscenti: Mondadori da un lato, Mediaset dall’altro, e l’acquisizione della maggioranza azionaria di Fininvest. Ai tre figli di Veronica Lario, invece, è andato il restante 47 per cento della finanziaria di famiglia. Il tutto senza una protesta e secondo i voleri testamentari di Berlusconi, compresi i lasciti alla fidanzata Marta Fascina, a Marcello Dell’Utri e al fratello Paolo.
Ma soprattutto i figli hanno assicurato a Tajani che porteranno avanti anche il sostegno economico alla creatura politica del padre, almeno continuando a garantire il debito da 100 milioni che grava su Forza Italia. Pur con la scelta di non comparire mai agli eventi di FI, la loro voce si è fatta sentire per tramite di Gianni Letta. L’influenza soprattutto di Marina Berlusconi, invece, si è fatta sentire nei confronti di Tajani al momento della tassa sulle banche, per raddrizzare la linea di un partito che comunque non può prescindere dagli interessi di famiglia.
L’ordine nel passaggio di consegne e la stabilità, tuttavia, sono stati i due elementi chiave che hanno permesso a Tajani di organizzare un congresso senza sorprese, e soprattutto di progettare il futuro in vista delle elezioni europee.
La coalizione
Nel trittico dei partiti di centrodestra, Forza Italia gode di una situazione tutto sommato invidiabile rispetto alla Lega di Matteo Salvini. Tajani, pacato e di indole non oppositiva, ha orientato il partito sulle storiche posizioni liberali e garantiste, non cerca la ribalta dei riflettori in competizione con la premier, e il suo elettorato di riferimento si colloca al centro e non all’estrema destra.
Tutti elementi che lo rendono prezioso per Meloni: copre uno spazio politico moderato a cui FdI non ambisce ma comunque necessario per rendere il governo meno minaccioso, anche a livello europeo.
Questo garantisce a FI una posizione tutto sommato comoda in vista delle elezioni di giugno, perché non deve fare lo sforzo costruire la campagna elettorale per distinguersi da FdI, come invece è costretta a fare la Lega di Salvini. Inoltre, la sua collocazione nel Partito popolare europeo permette a FI di mantenere comunque una posizione centrale anche nelle future dinamiche di Commissione.
Tutti questi elementi fanno moderatamente ben sperare i dirigenti del partito, che non hanno bisogno di prefiggersi obiettivi ambiziosi: a FI basta confermare di esistere con l’8 per cento preso alle scorse politiche, e il risultato sembra a portata di mano, con l’ultimo sondaggio Swg che la colloca al 7,5 per cento, quello di Bidi Media al 6,6. Se riuscisse a raggiungere questo risultato, tutto il resto sarebbe un insperato guadagno.
Addirittura, i dirigenti più ottimismi vagheggiano di un superamento della Lega: Salvini sta alzando il tiro anche mediaticamente per cavalcare gli errori di Meloni, ma i sondaggi lo collocano costantemente sotto il 10 per cento, che viene percepito come la soglia psicologica sotto la quale il malcontento interno potrebbe esplodere.
Le regionali
L’altro obiettivo di FI è quello di confermare i suoi governatori uscenti nella prossima tornata di regionali: Alberto Cirio in Piemonte e Vito Bardi in Basilicata.
Entrambi sono convinti di avere buone possibilità di rielezione anche grazie al vento elettorale in favore del centrodestra, dunque Tajani vuol far valere per loro la regola della ricandidatura dell’uscente, che però FdI ha messo in discussione in Sardegna ai danni della Lega. Il timore, ora, è che anche i governatori forzisti possano rischiare il posto a causa della necessità di riequilibrare i rapporti di forza dentro la coalizione.
Il segretario sta lavorando per incassare il via libera di Meloni e tenere il suo partito fuori dallo scontro tra Lega e FdI, ma l’operazione non sarà facile e passa per il Veneto. Il partito della premier, infatti, punta a ottenere almeno una grande regione del nord, e la prima indiziata è quella oggi guidata da Luca Zaia. Se l’operazione non riuscisse, però, gli occhi di FdI finirebbero sul Piemonte.
Eppure, anche il Veneto si sta rivelando terra di grandi soddisfazioni per FI. L’ultimo colpo di genio di Berlusconi è stato quello di portare in Forza Italia l’ex leghista veronese Flavio Tosi, che del partito in regione è anche coordinatore e ha inaugurato una campagna acquisti molto aggressiva.
Tosi – storico competitor di Zaia e per questo espulso dalla Lega – ha infatti avvicinato molti componenti leghisti della giunta, per favorirne il transito sotto il vessillo forzista con l’incentivo della candidatura alle prossime europee, e lui stesso punta a guidare la lista di FI nel collegio del Nord-Est. Questo sta restituendo a FI sul territorio un ruolo – se non da protagonista – almeno da abile comprimario, dopo che per anni ha amministrato la regione prima dell’exploit della Lega.
Il congresso
La grande incognita ancora aperta, invece, riguarda Letizia Moratti. «Deve decidere cosa fare, è rientrata con un ruolo sostanzialmente onorifico che dovrebbe permetterle di aprirsi uno spazio con l’appoggio di Tajani», dice una fonte di primo piano del partito. Il suo ritorno dopo un breve passaggio con il terzo polo, infatti, apre alla possibilità che sia lei a “rilevare” anche economicamente FI dalla famiglia Berlusconi.
La vedova Moratti, infatti, sarebbe l’unica con il capitale economico sufficiente per una mossa del genere. Per ora, tuttavia, tutto tace. Lei ha subito detto che non correrà alle elezioni europee, ma il suo nome sarebbe un bel traino nel collegio Nord-Ovest anche nell’ottica dell’8 per cento, e anche di questo si discute dentro al partito. Non solo, però.
Se nessuno in questa fase può mettere in discussione Tajani, tuttavia continuano a esistere varie anime che lottano tra loro per ricavarsi un posto in segreteria. Un nome che in questi mesi è rimasto nell’ombra ma viene sempre ripetuto è quello di Marta Fascina: l’ultima compagna del Cav, nonostante le sollecitazioni anche dirette di Paolo Berlusconi perché esca dall’esilio vedovile, continua ad apparire alla Camera con il contagocce.
Tuttavia, nel dietro le quinte del partito continua a favorire il gruppo di giovani deputati che le hanno creato una sorta di rete di protezione intorno, dal sottosegretario Tullio Ferrante al responsabile giovani Stefano Benigni, che è in lizza per uno dei 4 posti di vice di Tajani in rappresentanza della Lombardia, anche a costo di scalzare dalla segreteria del partito un esponente siciliano, con gran scorno del governatore Renato Schifani.
Anche questo è il segno che Fascina non intende sfilarsi dal partito, dentro cui continua a mantenere un presidio in vista del futuro. Nessuno dentro FI, almeno a parole, vuole guardare oltre la doppia tappa congresso-europee, ma quel che traspare è che le nubi dopo la morte del Cav sembrano rischiararsi.
© Riproduzione riservata