Nel centrodestra si affrontano le giornate una alla volta, attenti a vedere cosa succederà ma con l’approccio di chi si gode lo spettacolo. Ieri ad andare in scena è stata la crisi di nervi a palazzo Chigi, con incertezze e cambi di programma sulla salita al Quirinale per dare le dimissioni, poi slittata a stamattina.

Intanto, l’unica certezza è che i numeri in parlamento per proseguire non ci sono, nè sono all’orizzonte. Anzi da Forza Italia, principale indiziata tra le forze politiche in odore di potenziale accordo con il governo, arriva l’ennesimo stop proprio da parte del leader, Silvio Berlusconi.

Infastidito dalle continue voci intorno al suo gruppo ma anche galvanizzato dal fatto d’essere tornato al centro della scena, il Cavaliere ha ribadito la posizione del suo partito: «Nessuna trattativa è in corso, né da parte mia, né di alcuno dei miei collaboratori, né di deputati o senatori di Forza Italia, per un eventuale sostegno di qualunque tipo al governo in carica». Poi indica le due soluzioni possibili: «Un nuovo governo che rappresenti l’unità sostanziale del paese in un momento di emergenza o restituire la parola agli italiani». Ed è evidente quale delle due preferisca. Del resto, nel centrodestra oggi solo Giorgia Meloni continua a considerare le elezioni la miglior soluzione. Per Forza Italia e per la Lega invece l’ipotesi di un governo di unità nazionale è la via più plausibile.

Quanto ai paletti, Forza Italia ne fissa solo uno: che la responsabilità del prossimo governo sia «collettiva», spiega un esponente della cerchia ristretta di Berlusconi. Tradotto: Forza Italia ha scelto ancora di rimanere nel blocco di centrodestra e qualsiasi nuovo esecutivo deve comprendere se non Fratelli d’Italia, almeno la Lega. In questo modo sarà davvero un governo di unità nazionale e non un nuovo governo politico in cui Fi abbia un ruolo da quarta gamba.

A sorpresa, invece, non ci sarebbero strette preclusioni sul nome di Giuseppe Conte: «Chiaro che sarebbe meglio una discontinuità anche personale, ma non è Conte il problema». Il problema sono le forze politiche dell’attuale maggioranza, che dovrebbero accettare di decretare il fallimento dell’accordo e piegarsi a un esecutivo di transizione del “tutti dentro”. «Stop lungo e disordinato epilogo», chiede il consigliere politico di Berlusconi, il senatore Renato Schifani. E a certificare il ritrovato feeling tra forzisti e leghisti, arriva addirittura la dichiarazione di Matteo Salvini con un endorsement al Cavaliere come capo dello Stato.

Nessun altro parlamentare dovrebbe sfilarsi dal fronte del centrodestra e Mariarosaria Rossi e Andrea Causin sono stati due incidenti di percorso: la prima ha preso l’occasione di andarsene una volta capito che non sarebbe stata ricandidata; il secondo, invece, è tornato dalla parte politica da cui veniva, è il ragionamento in Fi. Dopo la batosta dell’inchiesta calabrese contro i vertici dell’Udc, anche i tre parlamentari dello scudo crociato hanno certificato che non si muoveranno: «L'Udc rimane fuori dai giochi dei “responsabili”. I tre senatori hanno votato all'unanimità No alla fiducia del Governo e voteranno No alla relazione del ministro della Giustizia».

Il caso Bonafede

Ad armare la mano del centrodestra è la convinzione che i numeri per governare non si troveranno e le regole della politica dicono che quando si hanno pochi numeri, l’incidente è dietro l’angolo. Per Conte, con il caso Bonafede. Una crisi di governo, anche se pilotata, potrebbe far saltare qualsiasi calendario d’aula, compresa la relazione sulla giustizia del Guardasigilli.

Eppure, la mano sapiente dell’ex deputato di Fi e ora in Azione, Enrico Costa, ha disseminato di trabocchetti i prossimi appuntamenti d’aula. Insieme al radicale Riccardo Magi ha depositato emendamenti alla legge di delegazione europea, che si voterà a partire da oggi, per chiedere che venga recepita la direttiva Ue del 2016 sulla presunzione di innocenza e che impedirebbe ai pubblici ministeri di concedere interviste nella fase delle indagini preliminari, limitandosi ai comunicati stampa.

Un testo che si muove sulla falsariga di un analogo progetto di legge presentato da Italia Viva e che ricalca un vecchio progetto che era stato del dem Andrea Orlando, ai tempi in cui era ministro. Insomma, se anche la relazione del ministro saltasse, il parlamento dovrebbe comunque continuare la sua attività legislativa: il tranello sarebbe soprattutto per il Pd, che per votare in linea con Bonafede dovrebbe rinnegare le sue storiche convinzioni in materia di giustizia. In questi giorni di continui stravolgimenti, il centrodestra sembra scommettere più su un rientro di Italia Viva in maggioranza con rimpasto di governo.

Ma almeno un effetto questa crisi lo produrrebbe: il ministro della Giustizia, considerato «giustizialista» non solo da Matteo Renzi ma anche dai possibili responsabili che anche in futuro potrebbero tendere la mano a Conte, è tra i nomi più in bilico in vista di un Conte ter.

 

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