- A dieci anni dalla sua elezione a pontefice è sempre più evidente che la questione centrale posta da Francesco, che riassume buona parte dei temi chiave del suo magistero, sia quella della salvaguardia del Creato.
- Non c’è da meravigliarsi che una simile agenda, fin dal principio, sia stata osservata con diffidenza dalle cattedrali del capitalismo, in particolare negli Stati Uniti ma non solo.
- Nell’inattesa veste di leader morale dell’ambientalismo, Francesco ha interloquito con capi di governo, scienziati, attivisti, ha mobilitato le forze atrofizzate della chiesa ed è stato ascoltato con attenzione in occasione dei numerosi summit sul clima.
A dieci anni dalla sua elezione a pontefice è sempre più evidente che la questione centrale posta da Francesco, che riassume buona parte dei temi chiave del suo magistero, sia quella della salvaguardia del Creato, cioè la tutela dell’ambiente e la responsabilità dell’umanità di oggi di lasciare un mondo ancora vivibile alle generazioni future.
Ma, oltre a questo dato di fondo, annunciato già nella scelta del nome da Jorge Mario Bergoglio (Francesco, il santo che “dialoga” con la natura, con l’opera di Dio), vi è stata in questi anni, da parte del papa, la messa a punto di una visione specifica: l’interdipendenza, o l’interconnessione, di diversi elementi critici del nostro tempo; dalla produzione industriale, ai modelli consumistici, dal riscaldamento climatico all’aumento della povertà e dei flussi migratori, dall’attività predatoria delle grandi multinazionali delle risorse de sud del mondo, alla riduzione della biodiversità.
In questo contesto, scienza, tecnologia, tradizioni religiose, economia, ecologia, politica, sono “condannate” a collaborare per trovare soluzioni originali che scongiurino il collasso ambientale del pianeta e, allo stesso tempo, per provare a costruire un modello di sviluppo economico diverso da quello attuale.
Non c’è da meravigliarsi che un simile progetto, fin dal principio, sia stato osservato con diffidenza dalle cattedrali del capitalismo, in particolare negli Stati Uniti ma non solo.
Il sospetto di Wall Street e dintorni, infatti, è stato che sotto la veste bianca del papa gesuita, si nascondesse l’ennesimo attacco alla proprietà privata e alla libera iniziativa. Le cose, in realtà, erano più complesse.
Il successo di un’enciclica
Francesco ha scritto un’enciclica pubblicata nel 2015, Laudato si’, nella quale si affrontano molti di questi temi. Il testo, va detto, ha avuto un immediato e duraturo successo anche oltre l’ambito cattolico e il papa è diventato, di fatto, l’autorevole leader morale dei movimenti che si battono per la difesa dell’ambiente a livello globale.
In tale inattesa veste ha interloquito con capi di governo, scienziati, attivisti, ha mobilitato le forze atrofizzate della chiesa in tante regioni del mondo, la sua voce e quella dei suoi rappresentanti è stata ascoltata con attenzione in occasione dei numerosi summit internazionali sul clima (l’ultimo a Sharm el Sheikh, in Egitto, lo scorso novembre).
Dal punto di vista teorico, Francesco ha dato forma alla definizione di “ecologia integrale”, facendo uscire il tema dell’ambiente dal ghetto di un ecologismo stretto nel proprio specialismo.
Si afferma in proposto nella Laudato si’: «La crescita economica tende a produrre automatismi e ad omogeneizzare, al fine di semplificare i processi e ridurre i costi. Per questo è necessaria un’ecologia economica, capace di indurre a considerare la realtà in maniera più ampia. Infatti, la protezione dell’ambiente dovrà costituire parte integrante del processo di sviluppo e non potrà considerarsi in maniera isolata. Ma nello stesso tempo diventa attuale la necessità impellente dell’umanesimo, che fa appello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione più integrale e integrante. Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente. C’è una interazione tra gli ecosistemi e tra i diversi mondi di riferimento sociale, e così si dimostra ancora una volta che "il tutto è superiore alla parte”».
D’altro canto, non può essere dimenticato che alla presentazione in Vaticano dell’enciclica, nel luglio 2015, era presente la celebre attivista “no global” e scrittrice canadese Naomi Klein, la quale osservò: «L’enciclica è stata una sorpresa per il coraggio e la temerarietà che contiene in un momento in cui i politici non manifestano molto coraggio, c’è una verità potente nel testo. Sono rimasta scioccata per questo, e anche per la poesia, la liricità che esprime, l’enciclica parla al cuore delle persone».
Un cuore latinoamericano
L'enciclica sull'ambiente, inoltre, ha mobilitato intorno al papa ambienti che prima guardavano solo con diffidenza alla Santa sede, per esempio ha riannodato il dialogo fra chiesa e mondo scientifico, ma in modo particolare ha avvicinato alla figura del papa, dopo molto tempo, una miriade di organizzazioni cattoliche che dal Brasile, all’Africa, all’Australia, hanno combattuto col Vangelo in mano, battaglie non di rado disperate per difendere territori depredati e comunità umane fatte a pezzi.
In questo percorso, l’esperienza latinoamericana di Bergoglio si è rivelata decisiva e il caso dell’Amazzonia – oggetto di un sinodo specifico che ha destato l’allarme di un leader di estrema come l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro – è divenuto paradigmatico di tutta una serie di questioni.
È lungo questo crinale, ad esempio, che troviamo la Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica (che comprende Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana, Guyana francese. e Suriname), fondata nel 2014, organismo in prima fila nella difesa della foresta pluviale, delle popolazioni locali e delle loro antiche culture.
Un impegno terribilmente concreto se si considera che l’America Latina è la regione del mondo che vanta un triste primato: quello del maggior numeri di attivisti ambientalisti, difensori degli ecosistemi e delle etnie indigene, uccisi o minacciati.
Ancora, nell’ottobre del 2021, prendeva forma la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia, di fatto una sorta conferenza episcopale transnazionale, nata dalla condivisione di problemi e destini comuni a varie popolazioni e regioni.
Dunque, l’impegno sul fronte della “cura della casa comune”, costituiva per il papa, anche un motivo di trasformazione ecclesiale. Ricordava l’Osservatore Romano nel maggio scorso: «La chiesa, oltre ai progetti di riforestazione in Africa, ne ha messi in atto molti, in altri contesti, di decarbonizzazione, di efficientamento energetico, di agricoltura sostenibile, di approvvigionamento dell’acqua potabile, di pulizia dei mari dalla plastica, di educazione e sensibilizzazione ambientale, senza mai dimenticare la persona e la tutela della vita umana».
«A questo proposito – si sottolineava – non si può non citare l’opera dell’episcopato statunitense e della diocesi di Chicago che sotto la guida del cardinale arcivescovo della città, Blase Joseph Cupich, ha il merito di aver istituito il primo ministero Laudato si’ al mondo, richiamando all’azione tanti cattolici, giovani e meno che hanno messo la loro professione o il loro carisma nella cura della Casa comune e nella difesa dei più deboli».
Ecologia e riforma della chiesa
Va detto che il sinodo sull’Amazzonia si chiudeva nell’ottobre del 2019 con un documento nel quale, fra le altre cose, si chiedeva al papa di aprire all’ordinazione di uomini sposati nella regione amazzonica.
Tuttavia, la successiva Esortazione apostolica di Bergoglio, Querida Amazonia (2020) che doveva raccogliere le conclusioni del sinodo, chiudeva quella porta suscitando delusione fra quanti avevano creduto che Francesco fosse arrivato al punto di svolta nel cammino della riforma della chiesa.
D’altro canto, quel nodo come molti altri, a cominciare dalla questione femminile, sono rientrati in discussione nel sinodo generale promosso da Francesco che si concluderà nell’ottobre del 2024 a Roma.
C’è insomma un legame profondo fra la scelta di portare la Chiesa lungo le frontiere della contemporaneità e le forme in cui si realizza la presenza cattolica in quest’epoca, anche al di là di quanto potesse prevedere il papa che pure questo cammino ha aperto.
Non a caso nel messaggio conclusivo della prima assemblea ecclesiale dell’America latina e dei Caraibi (cui hanno preso parte tutte le chiese della regione), conclusasi a Città del Messico nel novembre del 2021, si affermava: «Confermiamo e denunciamo il dolore dei più poveri e vulnerabili che subiscono il flagello della miseria e dell’ingiustizia. Ci ferisce il grido di distruzione della casa comune e della cultura dello scarto che colpisce soprattutto le donne, i migranti e i rifugiati, gli anziani, i nativi e gli afro-discendenti».
«Ci addolora – si legge ancora nel testo – chi soffre a causa del clericalismo e dell’autoritarismo nelle relazioni, il che porta all’esclusione dei laici, specialmente delle donne nei momenti di discernimento e di decisione sulla missione della chiesa, costituendo un grande ostacolo alla sinodalità».
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