L’operazione “Ombre rosse” è scattata in accordo con la polizia italiana, si tratta di ex militanti di formazioni di estrema sinistra, condannati per fatti di sangue e fuggiti a Parigi. Cartabia ringrazia: «Decisione storica»
- L’operazione ha portato in carcere a Parigi sette ex terroristi, mentre altri tre risultano ricercati. Dei fermati, quattro sono stati condannati all’ergastolo dalla giustizia italiana.
- Il più noto è 78 anni è Giorgio Pietrostefani, 78 anni, condannato a 22 anni come mandante, insieme ad Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, nel 1972.
- Gli arresti parigini, tuttavia, non fanno scattare automaticamente l’estradizione in Italia, ma potrebbero servire fino a tre anni. La valutazione è demandata ai giudici francesi, mentre la scelta politica dell’operazione è di Macron, che mette fine alla dottrina Mitterand.
Il nome scelto dalla polizia francese e quella italiana per l’operazione è “Ombre rosse”. E ieri mattina ha portato all’arresto di sette ex terroristi degli anni di piombo, rifugiati da anni in Francia grazie alla protezione garantita dalla cosiddetta “dottrina Mitterrand”. “Rosse” come il colore politico delle sigle terroristiche di cui i fermati facevano parte negli anni Settanta e Ottanta, le più note delle quali sono le Brigate rosse e Lotta continua. “Ombre”, come se fino a oggi e negli ultimi quarant’anni la loro presenza in Francia non fosse alla luce del sole.
Chi sono
L’operazione ha portato in carcere a Parigi sette ex terroristi, mentre altri tre risultano ricercati. Dei fermati, quattro sono stati condannati all’ergastolo dalla giustizia italiana: gli ex Br Roberta Cappelli (66 anni) responsabile degli omicidi, tra il 1979 e il 1981, del generale Enrico Riziero Galvaligi, dell’agente di polizia Michele Granato e del vicequestore Sebastiano Vinci; Marina Petrella (67 anni) condannata per vari sequestri e per l’omicidio del generale Galvaligi; Sergio Tornaghi (63 anni) condannato per l’omicidio dell’industriale Renato Briano e l’ex membro dei Nuclei armati contropotere territoriale, Narciso Manenti (65 anni) condannato per l’omicidio dell’appuntato Giuseppe Guerrieri nel 1979.
Gli altri tre fermati sono gli ex Br Giovanni Alimonti (66 anni), condannato a 11 anni e 6 mesi per il tentato omicidio del dirigente della Digos Nicola Simone nel 1982; Enzo Calvitti (66 anni), condannato a 18 anni e 7 mesi per gli omicidi dell’agente Raffaele Cinotti e del vicequestore Sebastiano Vinci nel 1981 oltre che per l’attentato contro Simone e, infine, Giorgio Pietrostefani, ex militante di Lotta continua. Il suo è forse il nome più conosciuto: 78 anni, è stato condannato a 22 anni come mandante, insieme ad Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, nel 1972. Nel blitz dovevano essere arrestati anche gli ex brigatisti Raffaele Ventura, Maurizio Di Marzio e Luigi Bergamin, che però si sono dati alla fuga e sono attualmente ricercati.
L’operazione è il frutto di un’azione politica. L’8 aprile la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha incontrato in videoconferenza il suo omologo francese Eric Dupond-Moretti e ha chiesto formalmente l’intervento urgente dell’Eliseo per arrestare gli ex terroristi prima che scattasse la prescrizione della pena. Rispetto ad altri tentativi passati il ministro francese ha espresso «grande volontà di collaborazione». Il cambio di linea ha portato alla soluzione del nodo che bloccava le pratiche: secondo la legge francese, infatti, è l’autorità politica a trasmettere alla procura i fascicoli con le richieste di estradizione e proprio questo atto formale ha permesso alla procura di Parigi di far scattare l’operazione. Quanto ai nomi degli arrestati, i dieci sono stati individuati all’interno di una lista presentata dall’Italia con le generalità di 200 persone condannate e fuggite in Francia a partire dagli anni Settanta.
Cosa succede ora
Con i mandati di arresto di ieri la Francia considererebbe definitivamente chiuso il dossier legato alla dottrina Mitterand, perché gli altri ex terroristi presenti nella lista sarebbero morti oppure sarebbe intervenuta la prescrizione della pena.
Gli arresti parigini, tuttavia, non fanno scattare automaticamente l’estradizione in Italia. Entro 48 ore, gli ex terroristi verranno presentati alla procura generale della corte d’Appello di Parigi e il giudice deciderà sulla richiesta. Nel frattempo lo stesso giudice valuterà se trattenerli in carcere oppure se disporre la libertà vigilata. L’iter giudiziario potrebbe richiedere fino a due o tre anni: dopo il giudizio della corte d’Appello, infatti, i sette potranno fare ricorso in Cassazione. Se l’estradizione verrà confermata per eseguirla servirà un decreto del primo ministro contro il quale potrà essere proposto ricorso davanti al Consiglio di stato. Ora, quindi, le sorti degli ex terroristi sono nelle mani della magistratura francese che «si occuperà del dossier» e prenderà «una decisione indipendente sui casi individuali», ha riferito l’Eliseo. Dunque, non c’è matematica certezza che l’esito sia quello dell’estradizione.
Sul fronte politico, tuttavia, la vicenda ha raggiunto il risultato sperato. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha espresso soddisfazione, parlando di «memoria di quegli atti barbarici viva nella coscienza degli italiani» e rinnovando la «partecipazione al dolore dei familiari». La ministra Cartabia, che in prima persona ha sollecitato l’operazione, ha definito «storica» la decisione della Francia di «rimuovere ogni ostacolo al giusto corso della giustizia per una vicenda che è stata una ferita profonda nella storia italiana».
La dottrina Mitterrand
Sul versante francese, il presidente Emmanuel Macron si è assunto personalmente la paternità dell’iniziativa, ma l’Eliseo ha precisato che la decisione non sconfessa affatto la dottrina Mitterand, perchè i terroristi arrestati ieri «hanno commesso reati di sangue».
La dottrina Mitterrand non è una legge ma una decisione politica presa nel 1985 dall’allora presidente. Erano gli anni delle inchieste per terrorismo, la Francia era il luogo dove molti avevano trovato rifugio e Mitterrand aveva deciso che i terroristi italiani, che avevano rotto in modo evidente con il terrorismo e si erano rifatti una vita in Francia non sarebbero stati estradati, a meno che non venissero fornite prove di una loro «partecipazione diretta a crimini di sangue». Come sia possibile che in Francia abbiano vissuto e vivano ex terroristi condannati per omicidio lo spiegano i fatti successivi. In Italia vengono celebrati i processi per terrorismo, molti si fondano sulle dichiarazioni di pentiti (è il caso di Pietrostefani) e gli imputati vengono condannati in contumacia perché già espatriati. L’ordinamento francese, però, non riconosce l’istituto della contumacia e il fatto che militanti di movimenti politici che si definiscono di opposizione vengano condannati senza essere presenti alimenta la sfiducia francese nei confronti degli esiti dei processi italiani ai terroristi. A questo si sommano le complicazioni burocratiche e politiche, anche perché in Francia si sviluppa un movimento di intellettuali, dalla scrittrice Fred Vargas fino al filosofo Bernard-Henry Lévi, contrari alle estradizioni.
Anche oggi, a spingere l’iniziativa di Macron, sembrano essere ragioni politiche: è in corso di approvazione una nuova legge antiterrorismo, il conflitto con la destra di Marine Le Pen è sempre più aspro e un atto simbolico come questo aiuta a rafforzare la nuova dinamica di cooperazione giudiziaria europea, che è uno dei punti su cui spinge anche Cartabia. La scelta ricuce i rapporti con l’Italia, dove la ferita del terrorismo non è ancora chiusa e le famiglie delle vittime reclamano giustizia.
La decisione ora spetta ai giudici francesi. All’opinione pubblica, invece, la valutazione se il tempo trascorso possa o meno influire sulla pretesa punitiva di uno stato. E su chi siano gli uomini e le donne che potrebbero tornare in Italia, a più di quarant’anni dai fatti per cui sono stati condannati.
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