Il ministro sugli esiti dello stress test: «Serve un grande rafforzamento patrimoniale» anche solo per raggiungere la media degli altri istituti europei. «Non ci sono le condizioni per sospendere la dismissione, la trattativa con Unicredit è dunque doverosa», ha detto Franco.
Gli obiettivi del piano industriale del Monte dei Paschi di Siena sono stati ottenuti solo parzialmente. Questo il presupposto della relazione esposta dal ministro Daniele Franco di fronte alle commissioni parlamentari sulla trattativa Unicredit – Mps.
Il peso dei crediti deteriorati dal 2016 al 2019 al 34,5 per cento al 12,4 per cento, rispetto a una media italiana di 6,9 per cento, per poi ridurli ancora al 5 per cento con la operazione realizzata con Amco.
Il rapporto costi ricavi
Il nodo centrale è però il rapporto costi – ricavi che secondo l’ultimo piano 2021 – 2025 resterebbe al 61 per cento al 2025, quando l’obiettivo concordato con la Commissione europea era un terzo. Anche solo arrivare al 61 per cento significa 2500 esodi volontari. Per adeguare il rapporto costi ricavi agli obiettivi concordati il numero degli esuberi ovviamente aumenterebbe.
Il piano esclude trasformazioni del modello operativo perché implicherebbero investimenti, ma questo significa anche rinunciare a maggiore competitività con tutto quello che ne consegue.
Franco ha anche ricordato che nell’autunno del 2020 il governo Conte ha approvato il decreto per dare avvio alla dismissione della partecipazione e che da gennaio, nonostante le interlocuzioni informali avviate dal governo, solo due soggetti hanno manifestato interesse per l’acquisizione: il fondo di private equity Apollo e la banca Unicredit.
A questo scenario già complicato, gli stress test dell’Eba hanno aggiunto un altro preoccupante elemento. L’indicatore patrimoniale Cet 1 per Mps nello scenario avverso arriva al 2023 a meno 0,1 per cento, quando la media delle altre banche è alle stesse condizioni di avversità al 10 per cento.
Anche solo per colmare il gap con la media delle altre banche, servirebbe, ha detto Franco, un «aumento di capitale ben superiore» a quello da 2,5 miliardi di euro previsto dal piano della banca.
Si può concludere, ha detto il ministro, che se Mps affrontasse la sfida senza aggregazione un «piano di rafforzamento patrimoniale sarebbe esposto a rischi e avrebbe problemi seri di competitività». Non si ravvisano le condizioni al momento, ha aggiunto il ministro, per «sospendere il percorso di dismissione».
«Trattativa doverosa»
A questo punto il ministro ha elencato le condizioni elencate da Unicredit per l’acquisizione: il principio di neutralità di capitale, l’accrescimento significativo dell’utile per operazione, l’esclusione di contenziosi, l’esclusione di quattro miliardi di crediti deteriorati di Mps, un accordo sulla gestione del personale.
Sul perimetro della acquisizione, Franco, non ha offerto nuovi elementi: «Sarà disponibile all’esito del processo», ma ha specificayo che al momento non ci sono «rischi di smembramento».
Franco ha rassicurato sia sulla tutela dei posti di lavoro che sulla tutela del marchio e sulla presenza dello stato nella banca. «È possibile», ha detto Franco, «che il ministero dell'Economia riceva azioni UniCredit, ma tale eventuale partecipazione al capitale non dovrebbe alterare gli equilibri di governance».
A fronte di tutto questo, ha spiegato Franco, «la trattativa con Unicredit è dunque doverosa». E non solo per gli impegni presi dal governo ma anche per seri motivi industriali. «Vorrei rassicurare che non si tratta di una svendita», ha dovuto precisare Franco.
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