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In regione la tradizione del Movimento sociale italiano è profondamente radicata. In un territorio di confine, è stata il baluardo dell’italianità di fronte alla presenza slovena e alla paura comunista oltre la cortina di ferro.
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Trieste, infatti, rimase “territorio libero” amministrato dagli Alleati, fino al 1954: quando si votò per la prima volta alle elezioni politiche italiane del 1958, il Msi conquistò il 15,7 per cento dei consensi.
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Ora, dopo elezioni politiche in cui Fratelli d’Italia ha superato il 30 per cento e la Lega di poco il 10, l’attesa a livello locale è la placida vittoria di Fedriga. Il governatore uscente rappresenta un nuovo modello, che si allontana anche da quello della Lega.
Stretto dalle Alpi e affacciato sull’Adriatico, il Friuli-Venezia Giulia racchiude tutte le contraddizioni dei territori di confine. Diviso tra i friulani delle montagne e i giuliani della costa, tra italiani e sloveni, fino alla caduta del muro di Berlino è rimasto la frontiera del blocco occidentale. Oltre Trieste correva «la cortina di ferro scesa sul continente» evocata da Winston Churchill nel 1946: un simbolo che è stato uno dei punti cardinali della destra che qui è cresciuta con connotati diversi da quelli delle regioni circostanti.
Una destra che ha plasmato e rimane nel dna di quella che, il 2 e 3 aprile, tornerà a conquistare la guida della regione con il secondo mandato del leghista Massimiliano Fedriga. Anche qui soffia forte il vento nazionale. Tuttavia, nei richiami all’italianità usati nei messaggi elettorali, risuona l’eco di una destra sociale che in Friuli-Venezia Giulia ha assunto connotati e un radicamento territoriale che la rendono un fenomeno unico nel panorama del nord-est.
Il Msi
Il Friuli-Venezia Giulia, e in particolare Trieste, sono state la “fiamma all’occhiello” del Movimento sociale italiano sin dalla sua fondazione, nel 1947. Il partito erede del fascismo ha canalizzato la spinta proveniente dalle paure ancora forti di una invasione jugoslava e ha scelto una parola chiave: «Italianità». Trieste, infatti, è stato “territorio libero” amministrato dagli alleati fino al 1954. Quando, nal 1958, si è votato per la prima volta per le elezioni politiche italiane, il Msi ha conquistato il 15,7 per cento dei consensi.
Il Movimento sociale raccoglieva i frutti del lavoro e della propaganda dei gruppi paramilitari presenti sul territorio. Nel primissimo Dopoguerra, infatti, c’è stata a Trieste una proliferazione di circoli e associazioni di carattere nazionale che si proponevano di preservare l’italianità della città e che hanno ricevuto anche ingenti finanziamenti dall’Uzc, l’Ufficio per le zone di confine. Anche dopo sono rimasti attivi sotto le spoglie di gruppi culturali e il Movimento ha dato loro una dimensione politica, per tradurre la loro spinta in quello che veniva definito il «plebiscito di italianità».
A rendere il Friuli-Venezia Giulia un laboratorio politico è stato l’incontro, su una linea di confine incandescente, di due popoli, quello italiano e quello sloveno, con culture diverse. «La questione nazionale ha diviso la destra e la sinistra in Friuli-Venezia Giulia come non è successo in altre regioni: le forze della conservazione italiana hanno avversato questa situazione culturale, mentre i partiti della sinistra erano aperturisti, anche in forza del fatto che una parte degli sloveni che vivevano sul territorio ne facevano parte», dice Maurizio Pessato, triestino e vicepresidente della società di sondaggi SWG. A Trieste, dove Churchill aveva fissato il confine con il mondo comunista, la sensazione era quella di avere il nemico di fronte. «In famiglia si diceva che, se arrivano i russi, noi saremmo rimasti dietro alle linee, perché la città era destinata a non venire difesa dalla Nato», dice il giornalista Gian Micalessin, che fino al 1981 ha militato nel Fronte della Gioventù.
Proprio questo elemento identitario ha fatto sì che il Msi triestino sia stato un punto di riferimento anche per quello nazionale e luogo di fermento a livello giovanile. Con tre i punti chiave per la formazione politica, «senza i quali è impossibile capire l’evoluzione della destra in città»: il controllo alleato di Trieste fino al 1954; la memoria del massacro delle foibe tra il 1943 e il 1945 e l’esodo degli italiani dall’Istria prodotto col trattato di Osimo del 1975, che è stato vissuto dagli esuli come un tradimento. Sulla spinta di questa storia identitaria, «Trieste è stata caposaldo del Movimento sociale soprattutto nelle scuole dove eravamo la larghissima maggioranza e, peculiarità rispetto al resto d’Italia, gli istituti venivano occupati dalla destra», ricorda Micalessin che poi, insieme ai colleghi Fausto Biloslavo e Almerigo Grilz, ha fondato l’Albatross, una agenzia che ha prodotto servizi giornalistici da gran parte dei fronti di guerra nel mondo e che «nasceva dalle ceneri dell’esperimento politico da cui tutti venivamo».
Lega e FdI
Proprio questa storia di identità e di scontro con l’avversario comunista percepito come alle porte, ha segnato la storia della destra friulana e giuliana rispetto a quella veneta. «A partire dagli anni Novanta, però, questa spinta nazionalista è rimasta soprattutto in nicchie identitarie e il voto a destra ha assunto connotati simili a quelli del resto del nord», spiega Pessato. Tuttavia, la storia del territorio ha fatto sì che la Lega delle origini, quella secessionista e nordista, abbia attecchito molto meno, fino al cambio del 2010 e poi negli anni successivi, quando «l’esperimento della Lega nazionale e infine il suo approdo al governo ha annacquato le sue istanze storiche».
Fratelli d’Italia, che ha ereditato la fiamma del Msi, in regione ha continuato a differenziarsi rispetto agli alleati. «La Lega qui si è sempre presentata come più movimentista, Fratelli d’Italia invece ha ripreso l’aspetto di un partito strutturato e di riferimento per chi difende la causa dell’italianità, recuperando la vecchia tradizione missina», conclude Pessato. Una differenza sostanziale, però, la marca Micalessin: «Per noi andare al governo era fantapolitica, ci sentivamo in un ghetto e anzi temevamo di essere vittime di un eventuale governo di sinistra».
Dopo elezioni politiche in cui FdI ha superato il 30 per cento, la regione ha ottenuto anche un ministro con Luca Ciriani, un passato da dirigente dell’Msi fino ad arrivare in parlamento, a presidiare il collegio ha lasciato il fratello Alessandro, anche lui ex militante missino, eletto sindaco nella natia Pordenone.
Ora l’attesa a livello locale è la placida vittoria di Fedriga: il governatore uscente rappresenta un nuovo modello di centrodestra, che si allontana anche da quello della Lega, abituata a interpretare la posizione di governo, senza enfatizzare gli estremismi che pure ha ereditato, soprattutto in Friuli-Venezia Giulia.
Anche nel lontano nord-est, infatti, il vento del leader ha soffiato forte e Fedriga, certo di non avere avversari, ha scelto di capitalizzarlo con una sua lista: bollo azzurro col suo nome scritto a grandi lettere e un elenco di candidati civici, molti professionisti, alcuni volti provenienti dai ranghi della Lega e altri da quelli di FdI. Secondo le previsioni la lista del presidente dovrebbe superare in volata sia quella della Lega che quella di FdI (il partito di Giorgia Meloni candida Marzio Giau, uomo forte di Udine fotografato col braccio teso e dentro stand coi manifesti delle SS italiane). Così l’attesa vittoria di Fedriga consegna definitivamente un territorio passato attraverso i fasti della politica identitaria, a un presente fatto di leadership individuali.
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