Nella versione della premier diritti Lgbt e aborto non sono in pericolo. Tanti bilaterali con gli ospiti africani. Dell’evento resterà poco o niente
La conclusione del primo G7 dei leader a firma Giorgia Meloni è un’autopromozione. Un unico grande spot per chiudere una due giorni di poche decisioni concrete (e tutte già chiuse prima) e molte polemiche. Come quella sull’aborto prima e sui diritti Lgbtq poi. La conferenza stampa finale – la prima da quella di fine anno slittata a gennaio – è l’occasione per spegnere gli incendi che i casi sollevati in questi giorni hanno fatto scoppiare.
Primo fra tutti, quello che riguarda l’assenza della parola “aborto” nel documento finale. «Solitamente accade che nei documenti ufficiali le cose acquisite non vengano ripetute pari pari. Nella dichiarazione di Hiroshima il riferimento era chiaro. Credo che la polemica sia stata costruita in maniera totalmente artefatta, la polemica non è esistita nelle nostre discussioni perché su questo non c’era motivo di litigare» dice la premier.
Esattamente come per i diritti Lgbtq, al sicuro nel documento finale ma ancor più in Italia, nella lettura di Meloni: «Si è detto che si facevano dei passi indietro, invece passi indietro non sono stati fatti. Mi pare che quello che è accaduto in questi due anni di governo italiano dimostri una realtà molto diversa da un racconto che purtroppo vedo animato, senza ragione, da diversi presunti osservatori». Anche se la gestione dei puberty blocker, quei farmaci che inibiscono lo sviluppo nei preadolescenti che soffrono di disforia di genere, per Meloni vanno gestiti a livello di stati nazionali.
Il rapporto con le critiche
Non manca un sibillino riferimento ai detrattori: «Le aspettative di alcuni sono state deluse perché il racconto non corrispondeva alla verità, come purtroppo molto spesso ho visto accadere in Italia e nel mondo quando si racconta la realtà italiana». Le domande, in conferenza, sono appena una dozzina, gli applausi – inusuali per una conferenza stampa, tanto che il portavoce di Meloni deve chiedere di fare silenzio – almeno un paio.
Prima, una lunga ricognizione della premier sui successi – dal suo punto di vista – del vertice. Niente di più di quanto si poteva già ascoltare nel video diffuso venerdì sera dalla comunicazione istituzionale, ma il discorso mangia minuti alle domande dei cronisti. Che, alla fine di una conferenza durata appena un’ora contro due ore abbondanti di viaggio per raggiungere Borgo Egnazia e tornare a Bari, polemizzano con lo staff di palazzo Chigi per l’organizzazione dell’evento, costellato da inciampi e una comunicazione del merito dell’evento che definire esigua è un eufemismo.
E allora, una particolare enfasi ricade sui due successi che Meloni ha portato a casa dal confronto con i sette grandi: il via libera al prestito per l’Ucraina per 50 miliardi – che non saranno finanziati direttamente dagli stati europei, che detengono i beni congelati, forse unica concessione all’ondata di pacifismo che ha investito il continente e alla Lega, che la rappresenta in maggioranza – e il fatto che il governo abbia imposto sulla prima volta che il summit si occupa della questione della migrazione l’approccio di Meloni. La premier porta a casa, oltre all’intervento sulle cause che spingono i migranti a partire e il lavoro sulle vie d’ingresso legali, la coalizione antitrafficanti: «Abbiamo portato un modello tutto italiano che nasce da due grandi italiani come Falcone e Borsellino e che ci dice di seguire i soldi: follow the money».
Torna ancora la gioia per aver portato al G7 il papa, ma il ringraziamento affoga in quello che appare quasi uno spot turistico per la Puglia. «Sono stata fiera di vedere i leader a bocca aperta per i sapori, i gusti, per l’identità. Il segnale che io volevo dare con quella serata era un po’ il tema del borgo globale. Penso che diversi leader che sono venuti a trovarci torneranno a fare le vacanze da queste parti». Il rilancio a partire da un resort edificato sul nulla, dove non c’era nemmeno una masseria pre-esistente.
In attivo a bilancio resta dunque una dichiarazione debole di un gruppo di leader fiaccati dalle loro vicende interne, poco incisiva e che difficilmente rimarrà agli annali. Meloni, che era arrivata al summit nelle migliori condizioni, rafforzata a differenza dei suoi colleghi europei dal voto dello scorso fine settimana, ha perso la sua occasione di posizionarsi come leader dell’Europa mentre Emmanuel Macron è impegnato a gestire le elezioni legislative che ha appena indetto.
Agli atti restano anche una serie di bilaterali della premier. Quello in cui ha incontrato Joe Biden, che ha lodato il suo impegno per ottenere nuovi fondi da mettere a disposizione dell’Ucraina, ma tanti altri dedicati all’Africa, su cui Meloni ha puntato per questo summit: dall’Algeria alla Banca Africana, dalla Mauritania all’incontro con Lula, simbolo dell’apertura al sud del mondo apprezzata anche da Francesco. Gli altri leader sono ripartiti in fretta, molti alla volta della conferenza di pace in Svizzera dove Meloni dovrebbe arrivare oggi.
Nessun incontro con Olaf Scholz – che a fine vertice parla di «differenze politiche evidenti» – né con Emmanuel Macron, con cui si è consumato l’ennesimo capitolo di una sfida tra Roma e Parigi: una rapporto che non è mai decollato. Ne sono prova sia gli attacchi del presidente francese sull’assenza della parola “aborto” nel documento finale sia le sue dichiarazioni successive, che portano a questo punto le relazioni tra i due paesi fondatori ai minimi storici.
All’orizzonte ci sono le trattative per la composizione della nuova Commissione europea, che Meloni vorrebbe veder riflettere il ruolo che «spetta all’Italia» e che secondo la premier dovrebbe riconoscere l’esito del voto europeo. Resta da vedere se a Borgo Egnazia si sia creato il clima giusto.
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