Intervista all’infettivologo Massimo Galli: «La mutazione del virus preoccupa, ma sull’efficacia dei vaccini in arrivo sono ottimista». Il ceppo britannico si diffonde con maggiore velocità, ma non dovrebbe essere più letale. «In Italia per ora solo un caso accertato, ma è probabile che la variante sia già presente in tutta Europa»
- L’infettivologo Massimo Galli: «Il ceppo inglese va monitorato, ma non fasciamoci la testa. Le mutazioni identificate sono tre, e dovrebbero provocare una maggiore diffusione. La letalità non cambia»
- «I vaccini in arrivo? Non è detto che siano inefficaci sul nuovo ceppo. Ma è un campanello d’allarme: vanno fatti investimenti maggiori per monitorare le possibili mutazioni del SarsCoV-2»
- «Se il virus muta troppo, è possibile che saremmo costretti a rincorrere il virus. Ma anche se accadesse, le case farmaceutiche non ripartiranno da zero. Spesso qualcuno dimentica che abbiamo a che fare con una brutta bestia»
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L'infettivologo Massimo Galli (Copyright 2020 The Associated Press)
«Stamattina ho tirato fuori dalla vasca da bagno uno dei miei più stretti collaboratori, il professor Giangugliemo Zehender, per chiedergli se lui e la sua squadra avessero trovato anche in Italia tracce del ceppo “inglese”. Mi ha detto che nelle sequenze che abbiamo identificato al Sacco non abbiamo finora mai visto mutazioni di quel tipo. Poi, in serata, è arrivata la notizia che a Roma hanno isolato un primo caso. Detto questo, bloccare i voli dalla Gran Bretagna è una decisione che mi lascia perplesso. È come chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. La variante britannica del patogeno sta circolando probabilmente da fine settembre, ed è altamente verosimile che sia già presente in tutta Europa».
Massimo Galli, direttore dell'istituto di Malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano, è attaccato al telefono da 24 ore con i colleghi che hanno già isolato, qualche mese fa, il ceppo “italiano” del coronavirus. Da qualche ora l'Organizzazione mondiale della Sanità ha infatti lanciato un warning sulla propagazione di una nuova versione morbo (la cui replicazione sembra più rapida del 70 per cento rispetto al ceppo finora più conosciuto), e casi vengono rilevati nel Sudest dell'Inghilterra, a Londra, ma anche in Danimara, Olanda e Australia. «Serve la massima attenzione, ovviamente. Ma non è una notizia che ci deve far cadere nella depressione né far prendere dal panico».
Professore, in molti si domandano se i vaccini in arrivo, dovesse propagarsi il ceppo inglese mutato, siano ancora efficaci.
«Davanti alla mutazione del genoma di un virus nessuno può dire con certezza se i vaccini appena scoperti saranno inutili oppure no. Spesso mi hanno dato del “terrorista” per le mie previsioni sull'epidemia (quasi sempre rivelatesi corrette, ndr) ma stavolta le dico – con il beneficio del dubbio – che sono moderatamente ottimista. Ritengo che ci siano buone probabilità che la profilassi in arrivo proteggerà anche dal ceppo inglese. Le spiego subito perché. Ma mi faccia prima sottolineare che bisogna complimentarsi con la Gran Bretagna per aver realizzato un sistema di sorveglianza imponente ma, come si vede, necessario».
In Italia non abbiamo investito a sufficienza in questo campo?
«A quasi un anno dall'inizio della pandemia non abbiamo fatto abbastanza: ci sono solo pochi gruppi di ricerca spesso autofinanziati che fanno analisi approfondite sul morbo. È un lavoro fondamentale: bisogna “pettinare” in continuazione il genoma del virus in modo da monitorare con costanza la sua natura mutevole, i diversi ceppi e i “movimenti” degli stessi sul territorio nazionale. Anche l'Unione europea poteva fare di più aiutando i centri di ricerca. Mi auguro che questo campanello d'allarme ci dia una svegliata collettiva».
Il ministro della Salute inglese ha detto che la nuova variante è «fuori controllo». Il premier Boris Johnson ha annunciato un lockdown durissimo che costringerà quasi venti milioni di inglesi a rinunciare ai veglioni natalizi. Lei perché si dice fiducioso?
«Dico solo di non fasciarci la testa in anticipo. Prima premessa: questo virus è un Rna, è molto grosso, ha 30mila paia di basi (un'unità di misura utilizzata per le sequenze dei patogeni, ndr) e come ogni suo “collega”, quando replica, può subire delle mutazioni. Queste sono del tutto casuali, anche se alcune volte possono dare al microrganismo una serie di vantaggi, o svantaggi, che precedentemente non avevano. Nuove caratteristiche che riguardano per esempio la velocità di replicazione e di diffusione, una maggiore o minore virulenza. È possibile che il virus muti per nascondersi meglio dal sistema immunitario dell'ospite. Ebbene alcuni dati preliminari fanno ipotizzare che il ceppo inglese non sia più pericoloso e letale, ma che si diffonda più rapidamente. Questo preoccupa per la tenuta dei sistemi sanitari, verissimo. Ma la capacità del nostro corpo di rispondere all'infezione dovrebbe invece essere la stessa rispetto a quella provocata dal “vecchio” coronavirus».
Qualche scienziato ipotizza già che la trasformazione potrebbe essere invece profonda, tale da cambiare lo scenario sull'efficacia dei vaccini.
«Non credo siamo davanti a un disastro di questa portata. È vero che il nuovo “modello inglese” presenta tre mutazioni. Una è nella cosiddetta “Posizione 501”, che per intenderci è quella la parte del virus che si “attacca” al recettore della cellula umana. Poi c'è la “sparizione” di due paia di basi delle 30mila suddette, ma non sappiamo ancora se questa trasformazione sia davvero influente ai fini dell'efficacia dei vaccini scoperti finora. Infine c'è un terzo cambiamento, quello nella “Posizione 681”, che ha un'effetto biologico: il suo impatto è ancora tutto da verificare. Non è così probabile insomma che i vaccini siano inefficaci di fronte alla variante britannica. Probabilmente funzioneranno anche contro di lei».
“Probabilmente”. Non è del tutto rassicurante.
«Guardi, bisogna mettere in conto la possibilità di dover inseguire il virus. Soprattutto se mutasse a tal punto da rendere inadeguata la risposta immunitaria dei prodotti che stanno arrivando. Questa ipotesi, però, gli scienziati più seri lo hanno detto e ripetuto fin dal principio della pandemia. La mutazione individuata in Inghilterra è solo un “memento” per quelli che si dimenticano con cosa abbiamo a che fare. Si ricorderà che l'altro allarme rosso è scattato in Danimarca, dove si è scoperto che il SarsCoV-2 ha infettato altri mammiferi come i visoni. La vicenda danese ci insegna che questo patogeno può passare facilmente tra una specie e l'altra. E ci ricorda che può teoricamente – se entrasse in contatto con animali che ospitano altri coronavirus propri – può rimescolarsi con altri microorganismi e creare dei virus del tutto nuovi. Non la sto rassicurando, lo so. Ma segnalo solo le potenzialità del Sars-CoV-2, con cui dovremmo fare i conti per ancora un po' di tempo».
Se vaccini non fossero efficaci sul nuovo ceppo, e se questo dovesse diffondersi rapidamente in tutta Europa, che armi abbiamo per affrontarlo?
«È la prima volta in assoluto che l'uomo inventa un vaccino per un coronavirus che ha fatto il salto di specie sull'uomo. Non ci sono precedenti, dunque è complicato rispondere. Ma credo che le case farmaceutiche che hanno avuto successo inventando cure che si dicono efficaci potranno senza difficoltà adeguare le loro piattaforme al nuovo ceppo. Quelle già utilizzate per la ricerca e la produzione pensata per la variante che conosciamo già. Si perderebbe qualche mese, speriamo non sia necessario».
È vero che le mutazioni in genere rendono il virus meno pericoloso?
«Non tutti i virus rabboniscono col tempo. Quello del raffreddore, che si chiama OC43 ed è lontanissimo parente del SarsCoV-2, probabilmente ha cominciato ad infettare gli esseri umani a fine '800, e inizialmente ha causato discreti disastri. A circa 130-140 anni dai primi contagi ne esistono nove varianti, e sono assai meno aggressive di quella originale. Il patogeno del morbillo, invece, si è placato via via diventando una malattia tipica dell'infanzia, ma ultimamente ha generato epidemie che hanno coinvolto anche gli adulti, che hanno avuto andamenti clinici molto più gravi. Questo è accaduto perché non si è vaccinato abbastanza».
La diffusione di ceppi mutati non renderà più difficile raggiungere l'immunità di gregge?
«Dipende tutto dal successo della futura campagna vaccinale. Serve un numero sufficiente di immuni per metterci in condizione di relativa sicurezza. Temo che per raggiungere una copertura adeguata ci vorrà molto più tempo di quanto vaticina qualche esperto della domenica. Bisognerà mantenere le attuali precauzioni, in primis mascherine e distanziamento sociale, per tutta la fase che abbiamo davanti. Sui tempi sono un po' preoccupato: il 40 per cento degli ordini fatti dai paesi europei non arriveranno nei tempi previsti, perché l'iter dell'approvazione definitiva dei vaccini di AstraZeneca e Sanofi non è ancora concluso».
Il governo ha annunciato che il vaccino non sarà obbligatorio. Non è un errore secondo lei?
«Non voglio entrare in questo dibattito. Perché si rischia di spostare la discussione da quello che è il tema-chiave della partita: come ottenere la massima adesione alla campagna e come confutare le leggende metropolitane che circolano in una parte dell'opinione pubblica. A lei evidenzio solo che la non-obbligatorietà è figlia non solo di un'ideologia antiscientifica. Ma anche di alcuni addetti ai lavori che nel passato recente hanno considerato la vaccinazione obbligatoria come un retaggio del passato, dunque superabile. Una visione miope che provoca sciagure, che è diventata di moda soprattutto in seguito alla regionalizzazione della sanità che ha moltiplicato i decisori su un tema delicato. I danni di queste politiche oramai sono sotto gli occhi di tutti».
Ma se con le buone non si riuscisse a raggiungere quella soglia minima di sicurezza?
«Allora dovremmo prendere provvedimenti adeguati. Questo virus è una brutta bestia».
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