Altro che tempesta passeggera. Il caso Sangiuliano ha trascinato palazzo Chigi in uno psicodramma fatto di errori di comunicazione e sindrome da accerchiamento. Il disastro provocato dallo stillicidio di rivelazioni di Maria Rosaria Boccia ha avuto un effetto diretto su Giorgia Meloni: se già prima la fiducia della premier nei confronti di soggetti esterni rispetto alla sua famiglia e alla ristretta cerchia di fedelissimi era ai minimi termini, ora si è arrivati alla caccia alle streghe. O meglio, alla caccia alle talpe.

Così, ieri, ecco l’ennesimo inciampo. La Stampa ha rivelato che Meloni ha allontanato i poliziotti deputati a piantonare il suo ufficio a palazzo Chigi. A metà giornata l’ufficio stampa della premier ha definito la notizia «priva di fondamento» e sostenuto che «la sicurezza del primo piano rimane affidata agli agenti di polizia di palazzo Chigi».

Immediata come un post su Instagram di Boccia, è arrivata però la clamorosa smentita del sindacato di polizia Silp Cgil. «Abbiamo appreso dalla stampa, e successivamente verificato, che le poliziotte e i poliziotti in servizio all’Ispettorato di palazzo Chigi sono stati allontanati», ha scritto il segretario generale Pietro Colapietro, «probabilmente per mancanza di fiducia nei loro confronti.

Meloni sul suo piano vorrebbe soltanto la scorta, ma non può essere lei a decidere chi e come deve garantire la propria sicurezza. Si tratta di una cosa gravissima». È infine seguita la precisazione che suona come una parziale ammissione: Meloni ha chiesto «di rivalutare la presenza di un agente di polizia destinato esclusivamente agli accompagnamenti in ascensore».

Peggio di così non si poteva fare a livello di comunicazione. La notizia ha scatenato le opposizioni, con Matteo Renzi, il Movimento 5 stelle e il Pd alla carica per chiedere spiegazioni di questo nuovo maldestro passo falso di Meloni, che da agosto non trova pace: prima con le dichiarazioni che avallavano una fantomatica cospirazione delle toghe a carico della sorella Arianna e ora con i dieci giorni di passione intorno all’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.

A guardare bene, gli errori comunicativi hanno avuto un crescendo di confusione paragonabile solo alla débâcle dell’ormai famigerata conferenza stampa a Cutro. Tutto è cominciato con la decisione di Meloni di metterci la faccia, intervenendo in difesa del suo ministro alla trasmissione di Paolo Del Debbio per poi essere smentita in diretta da Boccia.

Poi la scelta di tenere nel limbo Sangiuliano anche davanti all’evidenza, rifiutando le sue prime dimissioni ma costringendolo a sottoporsi all’imbarazzante intervista al Tg1. Infine, la dimostrazione tangibile che Meloni si sente costretta in un fortino assediato, con l’allontanamento della polizia. Una sequela di errori, leggerezze e sottovalutazioni inaspettate da parte di una premier che, durante il Consiglio dei ministri di ripresa dei lavori, aveva parlato dell’importanza di comunicare «di più e meglio».

Il nuovo comunicatore

Archiviato il tentativo, fallito, di farsi consigliare da un giornalista esperto come Mario Sechi, la premier aveva deciso di riportare la gestione del dossier comunicazione “in famiglia” promuovendo nel ruolo di consigliere strategico l’amico e sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Ora, dopo questi giorni di fuoco, l’orientamento di Palazzo Chigi sarebbe quello di trovare un nuovo esperto esterno in grado di gestire la crisi. Fazzolari rimarrebbe al suo posto di regista della comunicazione politica, il nuovo profilo dovrebbe invece evitare che altri “casi Boccia” esplodano.

Più facile a dirsi che a farsi, perché il profilo di alto livello che Meloni sta cercando è difficile da identificare. Tra i nomi collaterali al partito (che sono sempre la scelta preferita della premier) non spuntano persone all’altezza di un ruolo del genere, e, al di fuori, nessuno si è mostrato disposto a caricarsi di un compito tanto gravoso. Reso ancora più complicato dalla necessità di districarsi nella fitta rete costituita dal “cerchio magico” della premier, composto, oltre che da Fazzolari, dalla sorella Arianna, dalla segretaria Patrizia Scurti, dalla storica portavoce Giovanna Ianniello e da pochi altri fedelissimi.

Dopotutto è anche questo uno dei motivi che ha convinto Sechi, mai davvero entrato in sintonia con il cordone sanitario meloniano, a traslocare alla direzione di Libero. Un riflesso di questo “effetto respingente” di Meloni & co. lo si vede anche in altre posizioni strategiche.

L’ex cognato e ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida fatica a trovare un capo dell’ufficio stampa dopo l’addio di Paolo Signorelli, costretto a lasciare per le sue chat con il defunto Fabrizio “Diabolik” Piscitelli. E anche in altri ministeri, come quello della Giustizia, si è assistito a un avvicendamento.

A oggi, dunque, a Roma si registra un fuggi fuggi di comunicatori e spin doctor avvicinati informalmente dallo staff presidenziale. Proprio questa penuria di figure all’altezza è ormai un’emergenza per il governo, soprattutto per le caselle appannaggio di Fratelli d’Italia. Anche per questo Meloni sarebbe intenzionata a tenere ad interim le deleghe del dimissionario Raffaele Fitto, affidandole ai suoi sottosegretari, e per sostituire Sangiuliano ha scelto la soluzione lampo di Alessandro Giuli, tra i profili più stimati provenienti dalla destra e già “bollinato” come fedele.

La lista di nomi presentabili, senza imbarazzanti rapporti col passato legato alla Fiamma e con curriculum all’altezza, è praticamente finita. Il criterio di selezione basato sulla fedeltà, anche ideologica, sta mostrando tutti i suoi limiti.

Dopo due anni di governo e mentre si comincia a discutere una Finanziaria che si preannuncia molto complicata, la fotografia è quella di una premier ossessionata dal timore di complotti e asserragliata a palazzo Chigi, circondata dai suoi fedelissimi e preoccupata che i poliziotti della sicurezza origlino alla sua porta e spifferino ai nemici i suoi segreti.

In realtà – se spifferi ci saranno – rischiano di provenire proprio dalle leggerezze inaccettabili commesse dal suo ministro della Cultura. Che ha permesso a Maria Rosaria Boccia di tenere sotto scacco la premier e, secondo alcune sue allusioni, anche le persone a lei più vicine.

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