«Chisseneimporta» è stata la lapidaria risposta di Giorgia Meloni detta Giorgia al quesito della giornalista Monica Maggioni relativo alla eventuale sconfitta nel probabile referendum contro il premierato.

No, la presidente del Consiglio non si dimetterà. Scelta istituzionalmente legittima, soprattutto se sia i suoi fastidiosamente zelanti sostenitori in parlamento sia gli affannati opinionisti da salotti e dehors avranno evitato di trasformare il referendum costituzionale in un molto meno costituzionale plebiscito.

Però, una volta che «la madre di tutte le riforme» venisse colpita a morte, la presidente del Consiglio che l’ha fortemente voluta, costantemente sostenuta, senza riserve accompagnata, infine, esposta al voto, ha il dovere di farsi carico delle conseguenze politiche-istituzionali e degli orfani.

No, non mi riferisco principalmente ai capigruppo di Fratelli d’Italia alla Camera e al Senato e alle loro prese di posizione sempre pancia a terra sul premierato irrinunciabile. E neppure alla ministra per le Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati. Affari loro su quali somme dovranno tirare dal loro indiscutibile e granitico impegno che non ha prodotto un testo a prova di referendum, ovvero che rispondesse soddisfacentemente alla evidentissima massima aspirazione del “popolo” italiano: eleggere il capo del governo.

Meno che mai mi curo delle ripercussioni sullo status e sul prestigio dei giuristi di corte e di cortile che hanno avallato, elogiato e promosso il testo poi bocciato. Qualcuno sarà così spudorato da sostenere che con alcune riformette da loro proposte la sorte referendaria sarebbe stata diversa.

Abbandono alle loro non magnifiche elucubrazioni tutti i commentatori che ripeteranno il logoro ritornello sul conservatorismo costituzionale della sinistra, che non vuole la cosiddetta “democrazia decidente”, dei cantori della Costituzione più bella del mondo (che, contrappasso, proprio l’inventore della qualifica voleva cambiare, rendere più bella con, udite, udite, le riforme di Matteo Renzi).

Gli elettori italiani

No, le mie dolorose (sì, esagero un po’, ovvero faccio il furbo) preoccupazioni riguardano gli elettori italiani in generale, non soltanto gli indomiti patrioti del premierato.

Una notevole parte di costoro, già perplessi dalla transizione dal presidenzialismo indicato nel programma elettorale di Fratelli d’Italia allo sconosciuto premierato, perduta la madre di tutte le riforme, si sentiranno, più che orfani, addirittura traditi.

A Giorgia non le importa più nulla di risolvere il Grande Problema del sistema politico italiano, l’instabilità dei governi? Vuole soltanto, la presidente Meloni, tirare a campare per conquistare il record di unico governo italiano durato tutta la legislatura? Il paradosso è che se il governo Meloni durasse davvero fino al termine della legislatura costituirebbe una potente smentita della diagnosi sull’ineluttabile instabilità dei governi italiani a causa dei meccanismi costituzionali.

Un’altra parte di elettori, non saprei dire se meno patrioti di quelli che votano Fratelli d’Italia, rimarrà molto delusa se con il suo «chisseneimporta» la presidente del Consiglio, da un lato, ponesse la pietra tombale non solo sul premierato, ma anche su alcune semplici, ma efficaci, correttivi come il voto di sfiducia costruttivo e, dall’altro, lasciasse approvare l’autonomia regionale distruttiva, oops, chiedo scusa, differenziata.

Insomma, anche senza aspettare l’esito referendario ci sarebbe molto da fare. Suggerirei di cambiare atteggiamento e espressione da «chisseneimporta» a (Giorgia conosce l’inglese e alla Garbatella lo usano correntemente) “I care”. Le istituzioni italiane sono perfezionabili.

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