- Il due volte presidente chiarisce di aver accettato la rielezione come riconoscimento alla centralità del parlamento invece che per effetto della sua paralisi. Intanto i leader ragionano sul rimpasto di governo.
- I compiti a casa per il parlamento e per l’esecutivo: «Non possiamo permetterci ritardi, né incertezze».
- Il presidente chiede che la riforma del Csm giunga «con immediatezza a compimento», «superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all’Ordine giudiziario».
Se le forze politiche sono state giudicate irrimediabilmente «sconfitte» per aver rieletto per la seconda volta il presidente della Repubblica uscente, nel discorso del giuramento, il due volte presidente Sergio Mattarella ribalta la lettura e santifica, a parole, la centralità del parlamento: spiega il suo sì, dopo aver pronunciato per quindici volte un no sostanziale al bis, perché non ha «inteso» sottrarsi alla chiamata del parlamento «massima espressione» della «volontà popolare».
Insomma la sua rielezione, dopo giorni «travagliati per tutti, anche per me» – aggiunge a braccio, come farà con un omaggio a Monica Vitti, la grande attrice scomparsa mercoledì – è stata una risposta alle attese del paese; attese che «sarebbero state fortemente compromesse dal prolungarsi di uno stato di profonda incertezza politica e di tensioni», «non possiamo permetterci ritardi, né incertezze». Al governo «proiettato a superare» l’emergenza, «ponendo le basi di una nuova stagione di crescita sostenibile del paese e dell’Europa», il presidente che lo ha inventato esprime «un convinto» e tuttavia asciutto «ringraziamento e gli auguri di buon lavoro».
Per quaranta minuti Mattarella parla dunque al paese attraverso il «suo» parlamento, quello che la scorsa settimana lo ha invocato sin dal primo voto, mentre i leader politici si impantanavano. E il parlamento gli tributa cinquantadue applausi e una standing ovation finale.
Quattro minuti di tutti in piedi, alla fine si convince anche Fratelli d’Italia, unica forza che non lo ha votato: Giorgia Meloni legge alcune «bacchettate» del discorso (verso i magistrati e il governo) una «significativa discontinuità con il presidente precedente», che però era sempre lui. Mattarella, eletto dal centrosinistra nel primo mandato, oggi ha conquistato praticamente tutti: la senatrice di Forza Italia Maria Rizzotti, per dire di un partito che al primo giro non l’aveva votato, ieri sfilava in Transatlantico drappeggiata in un foulard tricolore griffato Laura Biagiotti, e con vertiginoso sandalo in tinta.
FdI invece non si alza quando entra in aula Mario Draghi. Il premier, pure applaudito, non raccoglie lo stesso calore. Lui a sua volta indossa un’espressione indecifrabile mentre siede fra il ministro Luigi Di Maio e la ministra Luciana Lamorgese. L’aula tributa un omaggio anche a Pier Ferdinando Casini, unico vero mancato presidente della Repubblica.
Ma al colpo d’occhio, Draghi, che più tardi vedrà respinte le sue dimissioni di prassi, è una sfinge: e chi è presente prima, al breve incontro con Mattarella, con il presidente della Consulta Giuliano Amato (altro capo dello stato mancato) e con i presidenti di Camera e Senato (Maria Elisabetta Casellati è la grande sconfitta della scorsa settimana), riferisce di un premier particolarmente silenzioso. In serata invece Draghi e Mattarella, al Quirinale, si chiuderanno in un colloquio di più di mezz’ora.
L’ipotesi del rimpasto
Del resto in Transatlantico, archiviata la partita del Quirinale con il disastro del centrodestra, ci si interroga su come andrà avanti il governo. La parola «rimpasto» rimbalza fra i capannelli. Al tormento della Lega – Matteo Salvini, oggi assente perché positivo al tampone, in piena trattativa per il Colle ha chiesto nuovi ministeri – corrisponde un Pd che, viene spiegato da fonti del Nazareno si offre come «il perno della stabilità» dunque promette «responsabilità e sostegno a Draghi».
Mattarella un anno fa ha affidato a un «tecnico» l’uscita dall’emergenza del paese. Oggi però riconosce ai partiti un ruolo centrale, del resto scolpito nella Costituzione, nel favorire «con nuove regole una stagione di partecipazione», unico riferimento a una nuova legge elettorale, perché «senza partiti coinvolgenti, così come senza corpi sociali intermedi, il cittadino si scopre solo e più indifeso». E al governo chiede che il parlamento sia «sempre posto in condizione di poter esaminare e valutare con tempi adeguati» i provvedimenti.
C’è un altro passaggio che piace ai grandi elettori perché suona come una rivendicazione del ruolo della politica: «Poteri economici sovranazionali, tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico». «Non compete a me indicare percorsi riformatori da seguire», dice, eppure tutti si spellano le mani quando sferza i magistrati e chiede che la riforma del Csm giunga «con immediatezza a compimento», «superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all’Ordine giudiziario».
Il Mattarella «sociale» prende gli applausi di tutti quando parla di anziani, medici in prima linea e forze dell’ordine: più da sinistra quando parla di razzismo, antisemitismo, precarietà del lavoro e del dovere di «ascoltare la voce degli studenti», che invece vengono manganellati nelle strade del paese; più da destra quando chiede di combattere «la tratta e la schiavitù degli esseri umani». Tutti in piedi quando ricorda la «tragedia del giovane Lorenzo Parelli, entrato in fabbrica per un progetto scuola/lavoro». E nel finale omaggio al presidente del parlamento europeo David Sassoli, come lui cattolico democratico, scomparso lo scorso 11 gennaio.
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