Società italiane segnalate dagli investigatori finanziari dell’antiriciclaggio. Parcelle che sfiorano i 700mila euro da misteriose aziende bulgare, collegate a una mega truffa di monete virtuali da 4 miliardi di dollari. Quasi un milione da società commissariate dallo Stato come Condotte e Inso di Firenze. A leggere le nuove carte degli investigatori antiriciclaggio della Uif della Banca d’Italia è evidente che Luca Di Donna, amico di Giuseppe Conte ed ex socio dello studio di Guido Alpa, è un avvocato intraprendente. Non solo perché in pochi anni è riuscito a moltiplicare i suoi guadagni, quasi in contemporanea all’ascesa politica del suo amico. Ma perché, scopre oggi Domani, dai suoi conti correnti passano centinaia di migliaia di euro che arrivano anche dall’estero, e che sono finiti nel mirino di una serie di segnalazioni sospette.

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I documenti rivelano business inediti del legale, finito qualche tempo fa sulle prime pagine perché accusato di traffico di influenze dal pool di magistrati anticorruzione di Roma. I pm hanno messo sotto la lente d’ingrandimento gli affari che di Di Donna ha chiuso durante l’emergenza sanitaria, intermediando partite di mascherine e chiedendo – secondo l’accusa - una percentuale ad alcuni imprenditori interessati al business. Imprenditori che hanno accusato Di Donna di vantare entrature con Conte in persona e nella struttura commissariale di Domenico Arcuri, deputata alla gestione operativa del contrasto alla pandemia scatenata dal Covid-19. L’avvocato ha sempre negato di aver “trafficato” il nome dell’ex premier, e dal suo entourage spiegano ancora a Domani che gli accusatori si sono inventati circostanze false e bugie «che verranno presto dimostrate davanti agli inquirenti».

I clienti bulgari

Al di là della vicenda giudiziaria di cui bisogna ancora valutare contorni e responsabilità, i documenti dell’autorità antiriciclaggio arrivate in procura a Roma evidenziano molte nuove movimentazioni. Flussi di denaro dai quali emergerebbero diverse anomalie, sostengono i detective. A partire dalle relazioni con aziende estere, in particolare quelle in Bulgaria.

Andiamo con ordine, partendo dall’anno 2018. Il 16 luglio il governo Conte Uno, con Lega e Cinquestelle alleati, si è insediato da appena un mese. Lo stesso giorno Di Donna beneficiava di un bonifico proveniente da Sofia: 321 mila euro versati dalla B&N Consult Eood. Non è stato l’unico pagamento: quattro mesi più tardi, a fine novembre, ecco arrivare sul conto del legale una nuova dazione di quasi 365mila euro. «Causale “final payment on success fee», si legge nel report. Tradotto: «Pagamento finale per obiettivo raggiunto». Di quale obiettivo si tratti non è specificato. In pratica nell’arco di cento giorni l’amico del presidente del consiglio «ha quindi complessivamente ricevuto dalla B&N Consult 685.786 euro, presumibilmente a titolo di pagamento di prestazioni», scrivono gli investigatori finanziari.

Ma a chi fa capo questa società bulgara specializzata in consulenze e e intermediazioni commerciali che paga parcelle sostanziose all’ex amico («non ho più frequentazioni con lui», ha detto Conte) del capo dei 5 Stelle? Nei documenti risultano diverse modifiche nell’assetto azionario della B&N: fino a giugno 2017 era controllata da una seconda società, di proprietà di una tale Irina Dilkinska; successivamente è subentrato un uomo nato nel 1982 che di cognome fa Boychev. Impossibile risalire a un suo identikit. L’antiriciclaggio segnala soltanto che ha alcuni precedenti di polizia per frode.

La truffa del secolo

Ma in realtà, secondo scambi informativi tra investigatori italiani e esteri, la B&N «sarebbe riconducibile a Ruzha Ignatov». Un nome sconosciuto in Italia, ma celebre in Bulgaria, Gran Bretagna e Usa. Perché porta dritto dritto dentro la più grande frode mai realizzata con le monete virtuali. Una truffa dalla bellezza di 4 miliardi di dollari attuata seguendo il celebre schema “Ponzi”, che premia i primi investitori di un progetto con grandi guadagni in brevissimo tempo, a tutto discapito dei nuovi che accorrono una volta saputo del promettente business. A quel punto i profitti svaniranno, e resteranno solo le perdite milionarie che trasformano gli investitori minori in truffati.

Il mega raggiro era stato organizzato proprio dalla Ignatova, attraverso un’altra sua società, la OneCoin. La donna è stata ribattezzata in un podcast della BBC “The missing Cryptoqueen”, l’introvabile regina delle criptovalute: dal 2017, anno della prima inchiesta negli Stati Uniti contro di lei, è infatti scomparsa dalla circolazione. Dove sia finita nessuno lo sa. L’enigma ha alimentato leggende e sospetti: qualcuno crede che sia nascosta in qualche atollo con il malloppo miliardario, altri temono che i clan della mafia russa abbiano regolato i conti con una socia ingombrante. Solo supposizioni.

Il processo in Usa

Sotto processo oggi a New York c’è comunque finito suo fratello Konstantin Ignatov, che ha preso in mano OneCoin dopo la scomparsa di Ruja. Ignatov è stato arrestato il 6 marzo 2019 all’aeroporto di Los Angeles, accusato di cospirazione per frode telematica tramite «uno schema piramidale internazionale che prevedeva la commercializzazione di una criptovaluta fraudolenta chiamata “OneCoin”», si legge negli atti della causa “Ignatov contro Stati Uniti d’America”. Alla sorella, fondatrice e mente di OneCoin, si contestano anche il riciclaggio di denaro. La sentenza è attesa per maggio 2022.

Gli atti del processo di New York consultati da Domani rivelano che la misteriosa B&N Consult che ha pagato consulenze a Di Donna è proprio tra le società sospettate di essere crocevia dei soldi della truffa architettata dalla “Cryptoqueen”. Agli atti del processo è allegato anche un contratto tra la B&N e una delle holding che fanno capo a uno degli imputati, Mark Scott, sodale degli Ignatov.

In un passaggio del documento dell’accusa si legge che Scott tramite una decina di conti intestati ad aziende ha riversato quasi 400 milioni (tra dollari e euro) in un fondo alle Cayman, le isole note per essere il paradiso degli evasori e dei riciclatori di denaro. Tra queste imprese, si legge nello stesso documento, c’è anche la bulgara B&N Consult.

Non solo: secondo l’antiriciclaggio la B&N Consult, «che come visto è riconducibile alla sig.ra Ignatova, ha girato fondi a soggetti compiacenti che a loro volta li hanno impiegati a favore di un importante studio legale che avrebbe dovuto percepire la somma di 1,06 milioni di dollari per lo svolgimento di attività di difesa legale di Konstantin Ignatov, a seguito del suo arresto e della causa contro gli Stati Uniti». Konstantin è stato arrestato nel 2019. Dunque B&N, quando ha pagato di Donna alla fine del 2018, era ancora in rapporto con la famiglia della “Cryptoqueen”.

«Nessun mistero»

In Italia OneCoin era stata sanzionata dall’Autorità garante del mercato con sanzioni per oltre 2 milioni di euro. Era il 2017, due anni più tardi interverrà anche la Guardia di finanza con sequestri a raffica. Secondo persone vicine a Di Donna contattate da Domani, si tratta di normali parcelle professionali che la “OneCoin” avrebbe pagato a Di Donna. «L’avvocato non sapeva nulla della vicenda della presunta truffa miliardaria degli Ignatov. Ha ricevuto, insieme a Guido Alpa e allo studio legale di Federico Tedeschini, dalla società bulgara l’incarico di difenderla nella causa di fronte all’Antitrust e in altri procedimenti giudiziari in Italia».

Dallo studio Di Donna evidenziano pure che il compenso è così alto «perché poi sarebbe stato diviso tra tutto il collegio difensivo». In pratica i soldi ricevuti dalla B&V, che sembra dunque davvero un braccio operativo della OneCoin, sono finiti anche ad Alpa, Tedeschini, collaboratori vari e traduttori. Perché i bulgari si sono rivolti proprio a Di Donna? «Non solo a lui, ma ad altri due grandi studi legali. Una proposta arrivata prima che Conte diventasse premier. È importante sottolineare che se l’antiriciclaggio deve fare il suo lavoro» concludono dallo studio Di Donna «la caccia alle streghe contro chi, sbagliando, viene definito dai giornali un “fedelissimo” di Conte rischia di fare a pezzi due principi sacrosanti. Quello del diritto di tutti alla difesa. E quello degli avvocati di non essere confusi con le vicende giudiziarie dei loro clienti. Sennò siamo alla barbarie».

 

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