- Il tribunale del lavoro di Firenze ha revocato ieri l’apertura della procedura di licenziamento per i 422 lavoratori della Gkn di Campi Bisenzio.
- Il ricorso era stato lanciato dalla Fiom Cgil a fine luglio, per l’assenza da parte dell’azienda di qualsiasi tentativo di mediazione e preavviso sulla questione licenziamenti.
- Con questa sentenza a Gkn viene richiesto di mettere in atto una procedura di confronto con i sindacati e lavoratori, come previsto dal contratto nazionale; l’impresa dovrà inoltre risarcire le spese legali sostenute dai sindacati e pubblicare a sue spese il decreto di condanna su cinque testate nazionali.
Il tribunale del lavoro di Firenze ha revocato ieri l’apertura della procedura di licenziamento per i 422 lavoratori della Gkn di Campi Bisenzio. La multinazionale, controllata dal fondo Melrose, ha violato lo Statuto dei lavoratori: a sentenziarlo è il decreto firmato dalla giudice Anita Maria Brigida Davia, che ferma la procedura a pochi giorni dall’arrivo delle lettere ufficiali di licenziamento.
Il ricorso era stato lanciato dalla Fiom Cgil a fine luglio, per l’assenza da parte dell’azienda di qualsiasi tentativo di mediazione e preavviso sulla questione licenziamenti.
Con questa sentenza a Gkn viene richiesto di mettere in atto una procedura di confronto con i sindacati e lavoratori, come previsto dal contratto nazionale; l’impresa dovrà inoltre risarcire le spese legali sostenute dai sindacati e pubblicare a sue spese il decreto di condanna su cinque testate nazionali.
Come si legge nel testo, infatti, la multinazionale era tenuta a discutere con i sindacati in virtù di un accordo firmato con le Rsu nel luglio 2020.
Licenziamenti premeditati
Secondo quanto trapela da fonti interne, nell’udienza sul ricorso del 9 settembre, l’azienda si era giustificata affermando che l’intenzione di licenziare non era premeditata e che quindi il preavviso non poteva essere dato con largo anticipo.
Il giudice, al contrario, ha accertato questa premeditazione e l’arrivo del licenziamento dopo una «lunga fase di analisi» da parte di Gkn. Non solo, l’impresa aveva anche calcolato il momento più conveniente in cui chiudere i battenti, chiedendo ai sindacati di accordare un giorno di chiusura per il 9 luglio a causa del venir meno dell’ordinativo di un cliente.
Il piano, infatti, era quello di chiudere la fabbrica in assenza dei lavoratori, in modo da evitare qualsiasi problema.
Battaglia aperta
Gli operai e la Fiom hanno accolto positivamente la decisione del giudice ma la battaglia resta ancora aperta. Questa sentenza, infatti, blocca la procedura di licenziamento avviata da Gkn il 9 luglio ma non ferma la possibilità di aprirne una nuova rispettando i dovuti preavvisi.
Gkn da parte sua ha fatto sapere che darà «immediata esecuzione» alla revoca, ci tiene però a precisare con non si tratta di mera «acquiescenza» e che un’ulteriore «impugnazione» della sentenza rimane possibile.
Certo è che adesso tutte le parti in gioco avranno un po’ di tempo per riorganizzarsi. «Per quanto ci riguarda abbiamo fatto tutto quello che potevamo, adesso però è il momento della politica, che deve fare il suo mestiere e intervenire in maniera chiara», afferma il segretario nazionale della Fiom, Michele De Palma.
Netto anche il Collettivo di fabbrica dei lavoratori Gkn: «Ci dicono che abbiamo vinto il ricorso per condotta antisindacale. Vedremo le conseguenze pratiche. La palla ripassa ancora più pesante al governo. Non osate far ripartire quelle lettere. Cambiate la legge subito».
Il vero argine normativo alla chiusura dello stabilimento, infatti, sarebbe una legge anti delocalizzazione, su cui il governo si sta confrontando ormai da metà agosto e che ha scatenato le ire del presidente di Confindustria Carlo Bonomi.
Il vuoto normativo è stato sottolineato, in particolare, dal gruppo Giuristi democratici che, insieme ai lavoratori, ha rivolto al governo una serie di richieste precise per porre un freno alle chiusure degli stabilimenti industriali nel nostro paese.
«A oggi, di fatto, anche se uno stabilimento è produttivo e “sano” non ci sono strumenti per impedire a una multinazionale di chiuderlo. L’unico appiglio legale è l’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori che permette di impugnare una condotta antisindacale e aprire una procedura di licenziamento più equa. Ma non ci sono limiti sulla chiusura», spiega l’avvocato di Giuristi democratici, Paolo Solimeno.
Anche dal mondo accademico si sottolinea l’importanza dell’iniziativa.
«Se l’articolo 28 era indirizzato in primo luogo contro la repressione nelle fabbriche, questa sentenza dimostra come lo Statuto – talvolta accusato di essere uno strumento antiquato da chi vuole riformarlo – dia ancora prova di vitalità. D’altra parte sono ancora più evidenti i vuoti normativi sulle cosiddette delocalizzazioni», afferma lo storico del lavoro Bruno Settis.
Lo stallo del governo
Per il momento, infatti, sulla questione delocalizzazione il governo è fermo. L’iniziale proposta di legge da parte del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e della viceministra allo Sviluppo economico Alessandra Todde, secondo le bozze circolate in agosto, prevedeva sanzioni pari al 2 per cento del fatturato dell’ultimo esercizio dell’azienda che imponeva la chiusura e l’inserimento in una “black list” (che vieta per 3 anni l’accesso a finanziamenti o incentivi pubblici). Entrambi i punti sono poi spariti dal testo per privilegiare aspetti più procedurali di gestione delle chiusure aziendali. Questa vittoria in tribunale adesso lascia un tempo di discussione più lungo anche al governo sulla proposta della legge anti delocalizzazioni. Per gli operai di Gkn, e non solo, è tempo che non va sprecato.
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