Parlamento, Corte costituzionale, mass media. Due anni di governo del centrodestra mostrano l’inizio di un percorso illiberale. Può certamente essere rallentato e addirittura fermato anche grazie ai liberali coerenti
Non sono persona che cede facilmente agli allarmismi. Non credo all’esistenza di una troppo sbandierata crisi della democrazia. I dati oramai ampiamente disponibili, provenienti da più fonti e da diverse agenzie di ricerca, evidenziano che nessun sistema politico diventato democratico nel secondo Dopoguerra ha perso la sua democrazia, con l’eccezione del Venezuela.
Vedo, però, che fanno spesso la loro comparsa una pluralità di problemi di funzionamento, di maggiore o minore gravità, un po’ in tutte le democrazie contemporanee. Nessuno di quei problemi è insuperabile; nessuno ha portato al crollo del regime democratico.
Tuttavia, in un (in)certo numero di casi, è facile constatare e comprovare che ne risulta ridotta la qualità di quelle specifiche democrazie. Dalla storia (sic) ho anche imparato che troppo spesso i democratici, politici e studiosi, hanno sottovalutato i problemi, si sono dimostrati troppo permissivi, non hanno reagito tempestivamente e con adeguato vigore. Proprio per tutte queste ragioni, ritengo opportuno non gridare “al lupo al lupo”, ma esplorare se esistano tracce dell’avvicinarsi del lupo qui in Italia.
Piegare il parlamento
Mi attenderei che questa esplorazione si giovasse in particolare del contributo degli studiosi, dei commentatori, dei politici che si definiscono liberali e che chiedono a tutti prove di liberalismo.
Se viene colpito il principio fondamentale delle democrazie liberali che si chiama separazione delle istituzioni per cui a qualche istituzione si consente di invadere e occupare la sfera di autonomia delle altre, c’è un grosso rischio democratico.
Nessun governo dovrebbe mai piegare il parlamento, assemblea nella quale ha la maggioranza, attraverso l’eccesso di decretazione d’urgenza per di più accompagnato dalla micidiale richiesta del voto di fiducia che non solo vanifica qualsiasi emendamento, ma impedisce la discussione sul merito.
So che questa pratica ha radici profonde, mai adeguatamente recise. So anche che alcuni presidenti della Repubblica e qualche sentenza della Corte costituzionale hanno vanamente cercato rimedio. Però, constato che nei suoi due anni di vita il governo Meloni vi ha già fatto ricorso in maniera smodata, superiore a quella di tutti i suoi predecessori.
Aggiungo che non è compito del parlamento “fare” le leggi, ma controllare, emendare, migliorare le leggi del governo, tutto questo reso impossibile dalla tagliola “decreto più voto di fiducia”.
Il premierato
Cinque giudici costituzionali sono eletti dal parlamento, che, ancora una volta, può significare, senza scandalo alcuno, dalla maggioranza parlamentare. Il discorso diventa inevitabilmente valutativo ovvero incentrato sul curriculum e sulla competenza delle candidature. Il solo pensare di eleggere chi ha avuto il ruolo fondamentale nella stesura di un disegno di legge costituzionale sul quale molto probabilissimamente vi sarà una richiesta di referendum per “proteggerlo”, mi pare riprovevole.
Gli inglesi affermerebbero “it’s simply done”. Poiché lampante è il conflitto di interessi, semplicemente non s’ha da fare. Ricordo anche che il premierato, «madre di tutte le riforme», espressione di Giorgia Meloni sulla quale meditare, ridimensiona significativamente i poteri del presidente della Repubblica di agire come “freno e contrappeso”, compito cruciale nell’ottica liberale, all’esercizio del potere di governo.
Il quarto potere
Nelle democrazie da tempo esiste un quarto potere, in senso lato, i mass media. Attraverso di loro, i cittadini si informano e, in generale, ma anche di volta in volta, nasce, si manifesta, opera l’opinione pubblica.
Governi che querelano giornali e giornalisti, che li intimidiscono, come più volte fatto dal governo Meloni, mirano a rendere più difficoltosa la formazione di un’opinione pubblica adeguatamente informata. Ancora peggio, naturalmente, quando la maggioranza governativa va a occupare armi e bagagli l’azienda Rai che in quanto pubblica dovrebbe offrire informazione imparziale e pluralista.
Ho segnalato quello che, a mio parere, è l’inizio di un percorso illiberale. Può certamente essere rallentato e addirittura fermato anche grazie ai liberali coerenti. Così, sperabilmente, sia.
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