I più gentili parlano di un avvertimento, ma c’è chi inizia già a utilizzare il termine “minaccia” oppure fa apertamente riferimento all’ultimo post di Beppe Grillo come a una «dichiarazione di guerra». L’espressione non è forse tra le più felici visto lo scacchiere geopolitico attuale, ma il fondatore del Movimento 5 stelle non è andato per il sottile. E ha sottolineato in un appello agli iscritti quali sono per lui le linee rosse. L’intervento ha il tono moderato di una riflessione, ma il contenuto è durissimo, e il destinatario vero è uno solo: Giuseppe Conte.

No alla deroga al secondo mandato, no al cambiamento del simbolo e no a un nuovo nome per il Movimento che ha creato: Grillo – che dopo una breve parentesi da Elevato stavolta si firma «Garante e custode dei valori fondamentali dell’azione politica del MoVimento 5 Stelle», un titolo di cui non sembrava aver avuto finora bisogno – annienta tutte le istanze che attivisti, parlamentari e vertici del partito avrebbero voluto portare all’assemblea costituente. La risposta non ha tardato ad arrivare, in un video di presentazione della costituente di un Conte in versione Alberto Angela ripreso in un parco.

Scontro in assemblea

Che l’appuntamento del 4 ottobre, anniversario della fondazione nel giorno di San Francesco, sarebbe stato un gioco al massacro tra fondatore e presidente era un esito che iniziava a delinearsi. Le parole di Grillo mettono un ulteriore carico sulle settimane che mancano all’assemblea. La chiusura è totale: «Questi tre nostri pilastri non sono in nessun modo negoziabili, e non possono essere modificati a piacimento. Sono il cuore pulsante del MoVimento 5 Stelle, il nostro faro nella tempesta».

Ma Grillo rischia di infilarsi in un vicolo cieco: i vertici di via Campo Marzio ribaltano la sua fuga in avanti in prevaricazione. «Non ci sono gerarchie, io stesso mi metto da parte» dice Conte. «Potremo discutere di tutto, anche del simbolo, della denominazione e delle regole consolidate. Non possiamo ammettere che alcuni decidano arbitrariamente e preventivamente di cosa si può discutere, com’è successo in passato». E continua ricordando a Grillo le sue giravolte: «In passato il simbolo è stato cambiato, e anche la regola del doppio mandato, ricordate il mandato 0?».

Insomma, l’atteggiamento dispotico del fondatore non può soffocare l’afflato democratico della comunità di cui Conte si fa difensore. Come possa muoversi ora Grillo è difficile da dire. Il fondatore si muove in un contesto sfavorevole, regolamentato dallo statuto di Conte. In più, le armi a disposizione di Grillo sono poche e spuntate, i suoi sostenitori ormai si contano sulle dita di una mano e c’è già chi lo accusa di «dogmatismo» e chi evoca il ruolo di un garante «a tempo».

La disaffezione al comico la fa ormai da padrona nel suo partito. Soprattutto dopo che il fondatore ha cancellato con un colpo di spugna le speranze di chi è rimasto nell’orbita del partito nella speranza di poter agguantare un altro mandato: da Roberto Fico a Paola Taverna, i volti più noti della prima generazione di parlamentari Cinque stelle e anche gli ultimi ad aver avuto un rapporto personale con il comico. Ora non possono che sperare in Conte, che pure sull’apertura al secondo mandato non si è mai esposto troppo: prima per non contraddire Grillo, poi anche per convenienza personale.

I duri e puri degli inizi non gli devono la loro carriera politica e c’è chi li indica come pericolo per la tendenza accentratrice del presidente. A Grillo, oltre ai parlamentari al primo mandato – che però non hanno praticamente rapporti con il fondatore ma che con il limite dei mandati hanno più possibilità di essere rieletti – restano fedeli i (pochi) attivisti della prima ora rimasti nonostante tutte le peripezie del Movimento. Ma non sarà con il loro sostegno che il comico potrà vincere questa battaglia, nonostante i delegati che parteciperanno all’assemblea dovrebbero essere scelti a estrazione.

Anche l’altra carta che il fondatore ha ancora in mano, quella della proprietà del simbolo, è depotenziata: nell’ultima querelle legale a proposito, infatti, un tribunale di Genova ha decretato che il simbolo è utilizzabile sia dalla nuova associazione del Movimento legata a Conte, sia da Grillo. E allora, per paradosso, potrebbero arrivare a presentarsi alle prossime elezioni due liste M5s con lo stesso simbolo: si tratta però di un’ipotesi che non conviene a nessuno. Ma il fondatore è imprevedibile.

Così, c’è chi giura che Grillo sia pronto ad andarsene sbattendo la porta: «È un artista e un padre padrone. Non accetterebbe mai di vedere snaturata la sua creatura, piuttosto uccide il Movimento», magari togliendo la legittimazione a Conte. Qualcun altro lo vede invece meno pronto a dar battaglia, considerata anche la spada di Damocle che ancora pende sul suo capo fino alla risoluzione della vicenda giudiziaria di suo figlio Ciro.

E allora si potrebbe trovare un nuovo compromesso con Conte, mantenendo in piedi un rapporto che continua a portare benefici a entrambe le parti: sempre che dall’altra parte ci sia la disponibilità a trattare e trovare un accordo, come fu quando i gruppi parlamentari accettarono il contratto di consulenza per il fondatore.

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