- Ill.mo presidente del Senato della Repubblica italiana, Le «scrivo la presente, che spero leggerà». Mi rivolgo a Lei, quale seconda carica dello stato, per rivolgerLe un appello, accorato, e condividere una Sua recente azione politica.
- Durante una recente dichiarazione politica, ha sostenuto che la nascita del Movimento sociale italiano (Msi) andava celebrata, ricordata, analizzata.
- Sono d’accordo con Lei e rifuggo dalle critiche che troppo rapidamente Le sono state rivolte per tale proposta.
Ill.mo presidente del Senato della Repubblica italiana,
Egregio senatore Ignazio La Russa,
Le «scrivo la presente, che spero leggerà». Mi rivolgo a Lei, quale seconda carica dello stato, per rivolgerLe un appello, accorato, e condividere una Sua recente azione politica. Che trova in realtà reiterati episodi, coerenti con la Sua illustre e longeva storia politica e che la segnano puntualmente distinguendola.
Lei, tra l’altro, durante una recente dichiarazione politica, ha sostenuto che la nascita del Movimento sociale italiano (Msi) andava celebrata, ricordata, analizzata. Sono d’accordo con Lei e rifuggo dalle critiche che troppo rapidamente Le sono state rivolte per tale proposta.
La nascita e la storia del Msi
Il Msi nacque per ricordare i “fasti” del ventennio e la “fiamma”, che con il tempo divenne anche sinonimo del partito, il quale non nascose (quasi) mai le eufemistiche simpatie per il passato e il «non rinnegare e non restaurare» fu solo una formula retorica per galleggiare sull’onda della democrazia, traendo vantaggio dalle sue generose concessioni. E anche la scelta della «via democratica» fu un tormento, sistematicamente smentita da tentazioni, reducismo, revanchismo e disconoscimento della storia patria. Costruita con il sangue di tutti, ma in cui i vinti combattevano dalla parte sbagliata.
Del resto, Pno Romualdi, Giorgio Almirante, Augusto De Marsanich, Arturo Michelini, Pino Rauti, tutti segretari del Msi e tutti giovani aderenti, furono volontari della “repubblica” sociale di Salò. Una macchiettistica rappresentazione di uno stato – e di una patria – distrutte dal fascismo, al soldo, al servizio e in combutta con le truppe hitleriane. Cui i “repubblichini” offrirono servigi, collaborazionismo, delazioni, viltà e rabbia omicida.
In cambio di qualche misera prebenda razziata come sciacalli predatori e mercenari, a scapito della popolazione civile inerme e straziata da quattro lustri di ricerca di un “posto al sole”. Grazie alle truppe angloamericane, e al contributo cruciale dei resistenti italiani – giovani partigiani di ogni fede politica, credenti e atei – venne la primavera, il 25 aprile del 1945. E qualcuno, come Gian Carlo Pajetta disse esattamente, «Noi con i fascisti abbiamo finito di parlare il 25 aprile 1945!».
E credo che in parte si sbagliasse, posto che di fascismo e di rischio dittature di ogni risma, colore e ideologia, bisogna parlare, sempre. Perché la democrazia si rinnova, e i suoi valori vanno trasmessi alle giovani generazioni.
Pagine buie della Repubblica
Il Movimento sociale italiano nella storia italiana è associato a pagine buie della repubblica; dalle sue fila venivano, e rientrarono, gli “ordinovisti”, sue coperture ebbero collaboratori di nemici della repubblica nella buia pagina della strategia della tensione, quella che dal 12 dicembre del 1969 al 1974 – e oltre – mirava a disarcionare la democrazia, giovane, e a produrre uno scenario simile a quello dei colonnelli greci e della Spagna di Franco o del Portogallo di Salazar.
Ma, al netto di commendevoli cedimenti e pagine meste e oscure, la democrazia e le sue istituzioni ressero, e le minacce più o meno velate, e i tentativi di golpe furono respinti dai partiti dell’arco costituzionale. Quelli cioè che votarono la Carta in quel 22 dicembre del 1947, nata dall’antifascismo, dalla Resistenza, i cui valori permettono a tutti noi di confrontarci liberamente, e senza rischio di ritorsioni.
Come avveniva, appunto, durante la dittatura nata nel 1922, che uccise Gobetti, Gramsci, mandò nei lager migliaia di italiani, ebrei e non, e mai fu rinnegata dal Msi. Solo Gianfranco Fini condannò il fascismo quale «male assoluto», sebbene detto in forma più arabesca.
L’imparzialità
In nessuno dei paesi europei che hanno conosciuto il nazifascismo, il principale partito di destra siede tra i banchi del governo senza aver rinnegato pubblicamente l’esperienza dittatoriale. Nessuno in Francia celebra Vichy né in Germania il Terzo Reich, e se lo fa non ricopre cariche politiche o istituzionali.
Lei, egregio presidente, continua a mescolare i piani, presumo involontariamente, a condannare i partigiani di via Rasella – che compirono un atto di Resistenza - e associarli alla vile rappresaglia nazista sostenuta dai camerati, e quasi evoca la legge del taglione e inconsapevolmente richiama il “sangue chiama sangue” pronunciato da Benito Mussolini; un duce bravo con la retorica, ma scarso di memoria, tanto da dimenticare che lui volle l’«entrata in guerra», lui urlava e incitava in piazza Venezia, lui volle le leggi fascistissime, le leggi razziali e la Rsi.
Lei, signor presidente, ricopre un ruolo istituzionale e non dovrebbe prestarsi alla propaganda politica, alla polemica quotidiana quasi fosse (ancora) un capo partito; lo scranno del Senato che fu guidato da Meuccio Ruini, Cesare Merzagora, Amintore Fanfani, Francesco Cossiga e Giovanni Spadolini non può essere la sezione partitica e voce narrante della controstoria della repubblica italiana.
Penso che il 26 dicembre, come Lei certamente converrà, andrebbe considerata una data cruciale nella storia della repubblica, ricordata ogni anno, con convegni, seminari, pubblicazioni, opere teatrali e cinematografiche. Sostenute finanziariamente dalla presidenza del Senato, magari con delle borse di studio per studenti e studentesse particolarmente meritevoli di illustrare i fasti del Msi, le sue opere e omissioni. Parlare del Msi per chiarire, ancora, chi furono le parti in causa, con quali ruoli, e con quali responsabilità.
Fascismo da rinnegare
La fulgida storia del Movimento sociale italiano merita attenzione, molta. Più di quella che ha avuto negli ultimi due decenni almeno. E credo che Lei sia stato troppo parco, se mi consente, nel ricordare soltanto il voto decisivo nell’elezione del presidente Giovanni Leone. Andrebbe anche considerato il ruolo missino nel varo del governo Tambroni del 1960 e delle conseguenti giornate antifasciste nell’estate di Genova, città medaglia d’oro dove il Msi convocò provocatoriamente il suo congresso.
Andrebbero riprese, criticamente, le promiscuità, la vicinanza ad ambiente terroristici, l’autorizzazione a procedere della Camera contro Almirante accusato di ricostituzione del partito fascista, il ruolo di Ordine nuovo, il “12 dicembre 1969”, i moti di Reggio Calabria, il sostegno da fiancheggiatore morale di atti di violenza pubblica e privata, singola e collettiva – come l’omicidio Marino nel 1973 - che contribuirono a fare negli anni Sessanta e Settanta strame del confronto democratico, nella malcelata intenzione di riscoprire i fasti del passato del fascismo “buono”.
Una rassegna, peraltro non esaustiva, che dovrebbe certamente essere scolpita nei corsi di storia ed educazione civica.
Una giornata del ricordo delle azioni del Msi e della sua storia sarebbe certamente meritoria per ridare coscienza di sé al paese. Inoltre, questa proposta sarebbe un unicum nel panorama europeo perché – almeno a mia conoscenza – di nessun altro partito postfascista è mai stato celebrato il compleanno, la nascita. Tantomeno promosso dalla seconda carica dello stato.
Confidando nella Sua azione volta a promuovere la memoria storica,
Le porgo distinti saluti,
Gianluca Passarelli
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