- Dopo le accuse anonime ai pm per i tre inciampi giudiziari del governo (casi Santanchè, Delmastro, La Russa) era difficile che non arrivasse una risposta all’altezza della provocazione.
- L’Anm è compatta: intervenire sulle riforme «è un dovere», non «un’interferenza» ma «la pretesa di essere ascoltati perché portatori di conoscenze ed esperienze proprie del nostro ruolo», «non rinunceremo mai a far sentire la nostra voce».
- Meloni ha calato la carta della rissa alla ricerca di una exit strategy dall’accerchiamento dei guai dei suoi, per rimandare il momento in cui dovrà decidere chi sacrificare.
Giorgia Meloni ha cercato lo scontro per due giorni, per interposte fonti anonime, e alla fine ce l’ha fatta. Attaccare le toghe per un presunto «ruolo attivo di opposizione» è «un’accusa pesantissima che colpisce al cuore la magistratura», un attacco «ancora più insidioso perché lasciato a fonti anonime di Palazzo Chigi», è la replica a palle incatenate del presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati Giuseppe Santalucia. Toni durissimi. I tre comunicati anonimi di Palazzo Chigi e via Arenula che alludono a un complotto dei magistrati contro il governo gli fanno pensare che – la lingua batte dove il dente duole – le riforme della giustizia, la separazione delle carriere e le altre minacciate à la carte dal ministro Nordio per salvare il suo sottosegretario – siano una «punizione».
Dopo le accuse anonime ai pm per i tre inciampi giudiziari del governo (casi Santanchè, Delmastro, La Russa) era difficile che non arrivasse una risposta all’altezza della provocazione. E lo scontro istituzionale è innescato, «lo subiamo senza volerlo», dice Santalucia. L’Anm è compatta: intervenire sulle riforme «è un dovere», non «un’interferenza» ma «la pretesa di essere ascoltati perché portatori di conoscenze ed esperienze proprie del nostro ruolo», «non rinunceremo mai a far sentire la nostra voce».
Ecco fatto: Meloni ha calato la carta della rissa alla ricerca di una exit strategy dall’accerchiamento dei guai dei suoi, per rimandare il momento in cui dovrà decidere chi sacrificare. Ha sbagliato la misura - neanche le tradizionali firme garantiste la seguono - perché fa professione di garantismo ma in queste ore le si rimpone, come un mal di stomaco, il passato. Quello giustizialista, di Bibbiano; ma anche quello della decenza dimenticata: ieri in rete impazzava il suo commento ruvido a Beppe Grillo contro la ragazza che ha denunciato di stupro il figlio. Per la vicenda simile in cui è finito Ignazio La Russa, oggi le è mancata la voce. Meloni ha sbagliato la misura perché non è Berlusconi, che pure prova a imitare.
E perché ha attaccato a testa bassa senza calcolare le conseguenze. La prima è quella di stracciarsi da sola la maschera moderata che si stava costruendo in Europa: si rivela una forsennata che spinge le istituzioni al frontale pur di salvare i suoi da comunque ineluttabili destini.
La premier furiosa
L’attacco di Santalucia arriva in una mattinata in cui la premier viene descritta come furiosa per la nuova conferma che la ministra Daniela Santanchè l’ha presa in giro. Lo ha scoperto dai giornali, anche stavolta: l’operazione con cui la ministra prova a pagare il debito con il fisco per la società Visibilia, grazie all’indiretta riscossione dei proventi del Twiga, è di giugno.
Ci scusiamo dell’autocitazione, ma lo ha rivelato ieri, ancora una volta, Giovanni Tizian su Domani. Era giugno, solo un mese fa. In più notizie di stampa cominciano a dare per certa che Santanchè, benché non raggiunta da avviso di garanzia, era consapevole dell’inchiesta sul suo conto, praticamente dal momento in cui l’inchiesta, pure secretata, è iniziata.
Meloni ci è cascata con tutte le scarpe: ha ceduto alle garanzie di chi ha spinto per un posto di Santanchè nel governo, anzi quel posto al Turismo. Innanzitutto Ignazio La Russa, che ora si trova infognato in un guaio non solo (si fa per dire) per le accuse al figlio, ma per la sua inascoltabile autodifesa. Ieri il rebus di palazzo era la tempistica con cui la ministra sarà accompagnata alla porta.
Le opposizioni si dispongono a votare un’inutile mozione di sfiducia, utile solo a ricompattare la maggioranza. In realtà il Pd spera che Meloni tenga l’ex protetta al suo posto: la polemica è assicurata. Ma se salta la ministra per un eventuale rinvio a giudizio, come, in caso analogo, salvare il sottosegretario Delmastro? La premier deve inventarsi qualcosa. L’asticella di palazzo Chigi era ferma sul rinvio a giudizio, ora la retromarcia è in corso.
Per confondere le acque, il forzista Maurizio Gasparri rispolvera toni da anni ruggenti berlusconiani: «La magistratura attenta alla Costituzione». Giuseppe Conte ci sguazza: la premier «nascondendosi dietro lo schermo delle “fonti Chigi”, conduce un gravissimo attacco ai magistrati». Lo scontro è servito. Il Pd cerca di attenuare l’impatto: la premier «non incendi il clima politico. Una nuova guerra tra poteri distruggerebbe le nostre istituzioni». «Meloni si occupa solo dei guai giudiziari dei suoi», chiosa Elly Schlein. Ma il piano ormai è inclinato, ed è stata la premier a inclinarlo.
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