La crisi energetica impoverisce tanti ma gonfia i profitti delle aziende energetiche. La tassa sui profitti record c’è, ma resta ancora da pagare. Verdi e SI ne fanno una battaglia politica e presentano oggi un esposto alla procura di Roma. Il resto d’Europa ci osserva. Intanto le esportazioni sono da record come i profitti
«Quello che non è tollerabile è che in questa situazione, con la gran parte delle famiglie e del sistema produttivo in difficoltà, ci sia un settore che elude un provvedimento del governo». Il primo grande j’accuse era arrivato dallo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi, durante la conferenza stampa del 4 agosto. La tassa sugli extraprofitti coniata dal suo governo avrebbe dovuto portare già entro fine giugno dieci miliardi di euro dalle aziende energetiche alle casse dello stato, eppure stando alle cifre esposte dal governo stesso soltanto uno di quei miliardi è effettivamente arrivato.
Oggi Verdi e Sinistra italiana presentano in procura un esposto, che porta in calce la richiesta «di aprire un’indagine e verificare se siano stati commessi reati di evasione e frode fiscale». Intanto l’eurodeputata verde Eleonora Evi, che firma l’esposto assieme al compagno di partito Angelo Bonelli e a Nicola Fratoianni di SI, solleva anche il caso delle esportazioni da record che le aziende italiane hanno portato avanti proprio nei mesi nei quali l’Ue ci raccomandava di riempire le riserve. In piena crisi del gas, con i prezzi lievitati e la Russia che ha tagliato le forniture, mentre tante famiglie si preparano a dover tagliare i consumi, una delle operazioni più difficili da mettere a segno pare essere intaccare i profitti di pochi.
I soldi che non arrivano
Secondo i calcoli del governo, tra ottobre del 2021 e marzo del 2022 le società energetiche hanno realizzato 40 miliardi di extraprofitti. L’esposto di Verdi e SI fa riferimento anche ai bilanci delle società, e riporta che nell’ultimo trimestre del 2021 gli utili di Eni si sono impennati del 3870 per cento (cioè due miliardi di euro) rispetto al periodo precedente; «sempre Eni nel primo trimestre del 2022 ha conseguito un utile del + 670 per cento, per 7 miliardi di euro».
A marzo è stata approvata una tassa del 25 per cento sugli utili extra. «Una cifra che già in partenza era ridicola», commenta l’eurodeputata Evi: «Fosse per Verdi e sinistra, gli extraprofitti andrebbero restituiti per intero». Inoltre la tassa del 25 per cento non ha avuto vita facile: sono piovute accuse di incostituzionalità e contenziosi, come hanno rivelato quest’estate i tecnici del ministero dell’Economia. Intanto il 30 giugno, che era la prima data-soglia per i versamenti allo Stato da parte delle aziende, è arrivato solo uno dei dieci miliardi attesi per quella data. Fine giugno era la data per corrispondere la prima tranche: un acconto che corrisponde al 40 per cento della cifra totale da versare, che va saldata entro fine novembre 2022.
«È mia intenzione che paghino tutto, e non escludo che se dovessimo restare senza risposta dalle grandi società elettriche il governo possa prendere altri provvedimenti», aveva detto Draghi il 4 agosto, quando si era trovato con nove miliardi in meno in cassa e sotto il tiro dei contenziosi delle aziende. Sempre a inizio agosto, il governo ha inserito una norma ad hoc per accelerare la raccolta della imposta sugli extra profitti. «Cosa aspettano ancora le aziende? Forse le elezioni», commenta Evi. L’esposto in procura serve a «riportare il dibattito elettorale su temi come questi, perché di extraprofitti quasi nessuno parla».
Profitti ed esportazioni
Mentre in Italia la tassa sugli extraprofitti viene di fatto boicottata, nel resto d’Europa nella società civile c’è chi la agogna. In Germania, con i protocolli di allerta attualmente in vigore nel paese, le aziende possono ora introdurre un supplemento ai prezzi che ricade in bolletta sui consumatori; il che scatena reazioni a sinistra e tra le associazioni di consumatori. Sui quotidiani tedeschi c’è chi invoca una tassa sugli extraprofitti, e il primo a opporsi è il ministro delle Finanze liberale (e liberista) Christian Lindner, che chiama in causa «dubbi sulla costituzionalità». Chi invece spinge per la tassa evoca che «così ha già fatto l’Italia», peccato che pure da noi quel prelievo resti per ora in gran parte irrealizzato.
C’è poi un altro dato che colpisce, ed è quello del boom di esportazioni. I dati del ministero dello Sviluppo economico ci raccontano che nei primi cinque mesi del 2022 – in piena crisi energetica, e con l’Ue che ci chiedeva di riempire le nostre riserve in vista dell’inverno – c’è stato un boom di esportazioni di gas dall’Italia, contestualmente ai prezzi alti e al taglio delle forniture russe. Stando ai dati del ministero, rielaborati da Altreconomia, tra gennaio e maggio sono stati venduti all’estero 1.467 milioni di metri cubi equivalenti (Smc), il che non solo è superiore alla stessa produzione interna (1.368 milioni) ma equivale al 578 per cento in più rispetto ai 254 milioni di Smc del 2021. Insomma, un volume inedito, anche se si comparano questi dati agli ultimi quindici anni.
Secondo l’analisi del think tank Ecco, le esportazioni vanno verso est Europa, Austria, Germania.
Se si fa una ricerca incrociata dal lato tedesco, però, si vede che anche dalle parti di Berlino, nel paese che è epicentro della crisi del gas in questa fase e che subisce i tagli alle forniture da parte della Russia, c’è stato un boom di esportazioni. «Già nel secondo trimestre, le esportazioni di energia elettrica dalla Germania alla Francia sono aumentate di quasi sei volte rispetto all'anno precedente», come riporta Tagesspiegel.
Anche su questo punto i Verdi danno battaglia, e sempre Evi parla di «una becera operazione di mercato per cogliere le opportunità di guadagno dei prezzi alti: l’aumento delle esportazioni è avvenuto in un semestre di bollette impazzite, dietro queste operazioni non c’è solidarietà ma speculazione».
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