- «Accordo chiuso, si va su Zinga». Nel primo pomeriggio questo messaggio rimbalzava sui cellulari di molti notabili del Pd romano. Nel tardo pomeriggio, dalle stesse fonti dilagava la prudenza.
- Anche fra democratici il racconto di queste ore si tinge di ottimismo o pessimismo a seconda della vicinanza a Roberto Gualtieri, l’altro possibile candidato.
- Tuttavia l’ex segretario del Pd oggi alla presidenza del Lazio è pronto a candidarsi a sindaco di Roma come avversario (ma alleato al secondo turno) dell’ex nemica Raggi. Ma i rapporti col Movimento sono delicati.
«Accordo chiuso, si va su Zinga». Nel primo pomeriggio questo messaggio rimbalzava sui cellulari di molti notabili del Pd romano. Il tam tam democratico dava per definitivo il sì di Nicola Zingaretti alla corsa per il Campidoglio, e c’era chi ipotizzava ad horas l’annuncio della rinuncia dell’ex ministro Roberto Gualtieri. Nel tardo pomeriggio, dalle stesse fonti dilagava la prudenza sotto forma di una pioggerella fredda di dubbi. Anche fra democratici il racconto di queste ore si tinge di ottimismo o pessimismo a seconda della vicinanza a Roberto Gualtieri, l’altro possibile candidato.
Che ha congelato il suo lancio all’arrivo del nuovo segretario – su sua richiesta – e in queste ore di incertezza deve accettare il fatto e restare silente in attesa degli eventi. Finendo per fare la parte della seconda scelta, in caso la corsa di Zingaretti non si dovesse materializzare. Ieri si è dimesso il tesoriere del Pd romano, Claudio Mancini, uomo molto vicino all’ex ministro dell’Economia. C’è chi lo interpreta come un gesto non amichevole verso il presidente della regione.
Le condizioni
Tutti gli indizi portano a un suo sì. La trattativa con i Cinque stelle della regione è chiusa e i patti offerti sarebbero in tre punti. Il primo: le due assessore grilline hanno promesso «lealtà», e già non è poco perché se Roberta Lombardi è stata un’alleanzista della prima ora, è pur vero che era circolata la notizia di una lettera di dimissioni già scritta da parte di Valentina Corrado, pronta a essere consegnata il giorno in cui Zingaretti avesse sciolto la riserva. Ma, è l’altra condizione, i Cinque stelle farebbero comunque campagna elettorale per Raggi, dunque – ed è la terza – Zingaretti dovrebbe chiarire di combattere contro le destre e tendere la mano per il secondo turno: chi vince sostiene l’altro. Quest’ultima è la condizione più difficile per il presidente del Pd che da anni è stato il controcanto della sindaca.
Non ci sarebbe dunque un problema di tenuta della giunta, il Pd ha la maggioranza alla Pisana, e il presidente «non è incompatibile, ma ineleggibile» – la formula che viene ripetuta – il che vuol dire che potrebbe dimettersi solo al momento dell’elezione, o poco prima. Anche per garantire la gestione della regione durante la fase finale dei vaccini, e tacitare le contestazioni da destra.
Sulle spalle di Zingaretti c’è la responsabilità anche di una scelta nazionale. Francesco Boccia, ex ministro per gli Affari regionali lavora a chiudere alleanze con il M5s per le amministrative, ovunque possibile. A Napoli l’obiettivo è a un passo, sia che il candidato sia il presidente della Camera, Roberto Fico, sia l’ex ministro Gaetano Manfredi; a Torino anche, a Bologna è probabile, almeno se vincerà la primarie Matteo Lepore. Dei 14 capoluoghi che vanno al voto è già stretta l’alleanza a Varese e il Pd conta di ottenere altrettanto almeno nella metà dei casi. E dove non ci si riuscirà, il modello è quello delle scorse regionali pugliesi: a sfidare Michele Emiliano c’era l’irriducibile Antonella Laricchia, vicina ad Alessandro Di Battista, e l’alleanza impossibile al voto poi si è trasformata in un ingresso in giunta dei Cinque stelle, grazie ai tanti grillini che invece l’accordo lo volevano fare.
Così potrebbe andare a Roma. Ma Roma è Roma, e Raggi non sembra affatto propensa ad ascoltare un’ipotesi di questo tipo. Ieri però l’ex premier Giuseppe Conte, uno dei protagonisti attivi della trattativa romana, da Torino ha dato un’indicazione: «Chiederò un confronto con tutte le anime che hanno dato il loro contributo nell’esperienza del governo Conte 2, e dall’esito di tale confronto dipenderanno anche le scelte sui territori», e quindi, «qualora emergessero chiusure di parte, in particolare da parte del Pd, che negassero questa prospettiva il Movimento 5 stelle metterà in campo le migliori risorse possibili». Si scrive Torino, ma si legge Roma.
Dal Pd nazionale queste parole vengono interpretate come «un altro passo in avanti a conferma di una linea condivisa, che vale anche sui territori». Ma l’attuale debolezza di Conte nel movimento non gli consente di poter offrire garanzie granitiche.
Intanto ieri l’alleanza romana ha varato la carta d’intenti e il regolamento per le primarie. Manca solo il regolamento per le sfide nei municipi. Se fosse Zingaretti il candidato le primarie sfumerebbero per assenza di sfidanti. Se fosse Gualtieri invece Monica Cirinnà si aggiungerebbe agli altri che hanno annunciato la loro partecipazione (Giovanni Caudo, Paolo Ciani, Tobia Zevi). La data per la presentazione delle candidature è slittata dal 20 maggio, a un mese esatto da quella fissata per il voto, al 25. Questo weekend era presentato come quello della scelta di Zingaretti. Ora viene indicata come decisiva la prossima settimana.
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