Le ultime scosse telluriche campo largo sognato da Elly Schlein hanno messo in chiaro alla leader del Pd che è arrivato il momento delle scelte: il Movimento 5 Stelle o Italia Viva. E la scelta, sia in ottica elettorale che di consenso interno, appare già presa.

La dimostrazione che la strategia del no ai veti non può essere di lungo termine è arrivata dalla Liguria: nella corsa alla regione dove si vota il 27 e il 28 ottobre – il primo possibile banco di prova di una alleanza vincente – l’accordo non è mai davvero nato. Italia Viva si era mossa per entrare in coalizione con una lista civica, ma il feeling mai esistito con Giuseppe Conte non si è creato nemmeno nell’ottica di una sfida locale con un candidato come Andrea Orlando, su cui c’era l’accordo di tutti. Fino a quando, ieri, Matteo Renzi dall’assemblea nazionale di Italia Viva ha dovuto gettare la spugna: «Stiamo fuori dalla campagna elettorale».

L’effetto politico per Schlein è quello di un ultimatum forte e chiaro, che non arriva solo da Conte ma anche dall’area di sinistra con Avs. Il leader Cinque stelle al Corriere della Sera ha circostanziato una critica chiara alla segretaria dem: «Ha di fatto restituito centralità politica a Renzi, che è un fattore divisivo e ha sempre voluto distruggere il M5S». Poi ha dato la sua chiave di lettura: Renzi è una «tigre di carta» e «non è solo la mia comunità che non accetterebbe questo abbraccio mortale. Gli stessi elettori del Pd, quando mi fermano per strada, mi chiedono di tenere fuori Renzi per non inquinare il progetto politico che stiamo costruendo». Tradotto: Italia Viva potrà pure portare in dote il suo 2 per cento, ma rischia di far perdere il doppio perché indigesto non solo ai grillini, ma anche ai democratici che da lui sono stati già traditi una volta.

Ancora più categorico è stato il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, che a L’attimo fuggente ha detto che «Si può dire che non vogliamo Renzi nel campo largo» e ancora «per vincere le elezioni serve credibilità: oggi Pd, M5S e Avs sono molto più vicine (dal punto di vista del peso elettorale ndr) al centrodestra di quanto non lo fossero le sgangherate e frantumate coalizioni del 2022».

Le scelte

Insomma, i paletti intorno a Schlein li stanno già fissando i suoi alleati, ora però tocca a lei assumerne la maternità politica dicendo una parola chiara. La segretaria, infatti, è davanti a un bivio. Può decidere di chiudere il cantiere aperto verso tutti - compresa una figura difficilmente digeribile come quella di Renzi - e assumere la leadership politica di una opposizione tutta ancora da costruire ma finalmente delimitata nel perimetro. Un interrogativo ancora aperto è dove si collocherà Carlo Calenda e la sua Azione, che nelle ultime settimane ha perso alcuni nomi di peso ma tutti ex esponenti di centrodestra, quindi – paradossalmente – ora sarebbe più libero di scegliere il campo largo, dove non subirebbe gli stessi veti di Renzi. Calenda al Corriere della Sera ha sottolineato che per ora ne rimarrà fuori perché «non c'è chiarezza di fondo, non si sa chi ne fa parte». Tuttavia, nell’attuale bipolarismo, anche a lui toccherà fare una scelta.

L’alternativa per Schlein è quella di tergiversare ancora, ascoltando le sirene di Italia Viva. Anche ieri l’ex premier, sempre abile nella costruzione politica, ha dato la sua contro-interpretazione delle mosse di Conte: «Quello che è successo in Liguria dimostra che la posizione di Conte ha vinto rispetto alle aperture di Schlein. È una contraddizione che oggi esiste sulla leadership del centrosinistra. È evidente che Conte utilizza Italia Viva per attaccare la leadership di Schlein». L’allarme alla segretaria sulla contendibilità della leadership è suggestiva, ma per ora i numeri parlano chiaro: l’ultimo sondaggio di Euromedia research colloca il Pd al 23,5 per cento, i Cinque stelle al 10,5 per cento e Avs al 5 per cento. Azione, se mai si aggiungesse, è al 3,4 per cento. Se è vero che le percentuali da sole non bastano per vedersi riconosciuta incontestabilmente la guida politica, Schlein è stata comunque abile negli ultimi mesi a intestarsi la suggestione del campo largo e a riaprire uno spazio di opposizione – a partire dal tema della sanità – che sta pagando.

I problemi

Se e quando arriverà il no finale a Renzi nel campo largo, lo scenario sarà più chiaro ma molti problemi rimarranno sul tavolo.

Dentro il Pd le correnti continuano a muoversi e riposizionarsi e Schlein sa che, anche nel suo partito, non tutti sposerebbero di buon grado una alleanza strutturale coi Cinque stelle. Lo stesso accade anche nei Cinque stelle, dove – alla prova dei fatti – è più forte l’istinto di distinguersi dai dem che formare un fronte unitario. Prova ne sono le ultime mosse parlamentari e in Vigilanza Rai. Sul disegno di legge Lavoro alla Camera il Pd è rimasto in aula, il M5s invece è uscito, con uno strascico di commenti al vetriolo tra gli esponenti dei due partiti. L’inverso è accaduto sulle nomine della tv pubblica, nonostante gli accordi di agosto: il Pd è finito in solitaria sull’Aventino per il rinnovo del cda di viale Mazzini, i Cinque stelle sono rimasti al tavolo insieme ad Avs e si sono assicurati i due eletti in quota opposizioni.

Sempre aperto, infine, è il fronte delle armi in Ucraina, che presto o tardi rischia di spaccare trasversalmente sia la maggioranza che l’opposizione.

In politica, però, c’è il tempo delle strategie e quello del realismo: manca meno di un mese alle regionali in Liguria da cui Renzi è stato escluso e quelle sono il primo banco di prova del campo largo. Il candidato dem Andrea Orlando ha il sostegno del M5S, Avs e di Azione, confluita in una civica. Se sarà un successo, sarebbe il piede giusto con cui battezzare un campo forse un po’ meno largo senza Iv, ma di certo più solido.

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