Intervista al porporato che ieri si è dovuto dimettere. «Ho detto al papa: perché mi fai questo? Ho dato i soldi a mio fratello solo perché ho comprato dalla sua società infissi per le nunziature in Egitto e Cuba». Il nuovo filone investigativo parte dalla compravendita di un palazzo a Londra.
- Becciu si è dimesso da prefetto delle Cause dei Santi e ha rinunciato ai diritti cardinalizi. Papa Francesco gli contesta condotte scorrette nell’utilizzo dei soldi della segreteria di Stato
- Il cardinale ha dato a una ditta del fratello centinaia di migliaia di euro: «Ho comprato da lui degli infissi per le nunziature di Cuba e dell’Egitto»
- Soldi anche a una cooperativa sarda di un altro fratello: «Gestisce un panificio che ha avuto fondi dalla Cei, lo ho segnalato ma è tutto rendicontato».
«Ho detto al papa: ma perché mi fai questo? Davanti a tutto il mondo poi? Mi ha detto che avrei dato soldi ai miei fratelli. Io non vedo reati, sono sicuro che la verità verrà fuori». Il cardinale Angelo Becciu parla a fatica. É appena tornato a casa dall’incontro con Francesco, che ha accettato le sue immediate dimissioni da prefetto della Congregazione dei Santi. Non solo: dal porporato di Pattada ha ottenuto anche la rinuncia ai diritti del cardinalato. Che riguardano anche il possibile l’ingresso nel prossimo conclave o, nel caso, eventuali scudi da possibili interrogatori e processi penali. Un evento inaudito che sta terremotando, ancora una volta, le fondamenta del Vaticano.
«Resto cardinale, ma se c’è il conclave forse non posso entrare. Nel nostro incontro il Santo Padre mi ha spiegato che avrei favorito i miei fratelli e le loro aziende con i soldi della Segreteria di Stato, ma io posso spiegare. Reati di certo non ce ne sono».
L’ex numero due del segretario di Stato Pietro Parolin è stato travolto da un nuovo filone dell’inchiesta partita un anno fa dalla compravendita di un palazzo a Londra, nella centralissima Sloane Avenue, di proprietà della Segreteria di Stato.
Acquisizione voluta proprio da Becciu, al tempo Sostituto a Palazzo apostolico, e dai suoi uomini di fiducia: secondo i promotori di Giustizia e gli investigatori l’affare avrebbe non solo causato uno enorme sperpero di denaro proveniente dai fondi dell’Obolo di San Pietro, cioè i soldi della beneficenza raccolti dai papi, ma anche l’arricchimento indebito di finanzieri come Raffaele Mincione o Gianluigi Torzi, indagati per vari reati insieme a monsignor Mauro Carlino, per anni segretario personale di Becciu, l’altro fedelissimo del cardinale, monsignor Alberto Perlasca, e alcuni funzionari laici della Segreteria di Stato.
Becciu finora era stato solo sfiorato dall’inchiesta. Ma alcuni testimoni avrebbero dato pochi giorni fa nuovo impulso alle indagini. Gli uomini della gendarmeria avrebbero puntato non solo sul giallo dell’immobile londinese e sulle società offshore in cui ha investito il Vaticano per lustri, ma su nuove piste investigative.
In particolare su somme ingenti che sarebbero partiti dalla Segreteria di Stato e finite in alcune società offshore in Centro america. E denari finiti a una srl specializzata in porte e infissi e una cooperativa in Sardegna. Riconducibili, entrambe, a due fratelli del cardinale nato a Pattada, nel sassarese.
La cooperativa Spes, il cui responsabile legale è Tonino Becciu, produce pane per gli indigenti, e da tempo è finanziata dalla Caritas di Ozieri, diocesi che è all’interno della provincia di Sassari, con i fondi della Conferenza episcopale italiana provenienti dall’8 per mille.
Secondo l’Espresso, ben 600 mila euro tra il 2013 e il 2015. Soldi arrivati, Becciu non lo nega, grazie alle sue esplicite richieste. «Confermo, anche perché è tutto rendicontato. Che male c’é?».
Non solo: secondo gli investigatori altri 100 mila euro sarebbero arrivati alla Spes di Tonino direttamente dai fondi della Segreteria di Stato. «Errato: io da sostituto non ho mai dato i denari alla cooperativa di mio fratello, ma alla Caritas di Ozieri. Ho appena chiamato il vescovo che tra l’altro mi ha detto che quei soldi sono ancora in cassa in diocesi», dice Becciu.
Leggendo le carte dell’accusa la questione, anche se potrebbe non avere profili penali, sembra mostrare evidenti questioni di opportunità. «Come sostituto avevo a disposizione un fondo con cui, senza dover rendere conto a nessuno, potevo aiutare vari enti e associazioni caritatevoli. Perché non dovrei dare una mano anche alle Caritas sarde come quella di Ozieri?».
Di sicuro Becciu ha favorito pure gli affari di un altro suo fratello, Mario: secondo le analisi bancarie degli investigatori, la srl specializzata in porte e finestre di Francesco Becciu avrebbe ottenuto commesse da centinaia di migliaia di euro. Grazie ai buoni uffici del parente. Soldi arrivati dalle casseforti delle nunziature e, dunque, dalla segreteria di Stato che ne finanzia le spese.
Becciu conferma: «Vero: il nunzio in Egitto conosceva mio fratello, e così lui ha fatto lavori per circa 140mila euro per cambiare gli infissi della sede, ma anche qui francamente non vedo il reato».
Il conflitto d’interessi è però grande come una casa. Anche perché è lo stesso Becciu ad aver comprato gli infissi del fratello per ammodernare la nunziatura di Cuba, dove è stato di stanza dal 2009 al 2011: «Ma scusi non conoscevo nessun altro, era ovvio usassi la ditta di mio fratello. Poi i lavori non li ho nemmeno terminati io, ma il nunzio che mi è succeduto. Che è stato talmente contento del servizio che, quando è stato spedito nella nunziatura egiziana, lo ha richiamato». Il cardinale parla, probabilmente, di Bruno Musarò, oggi arcivescovo ad Abari.
Per il cardinale a cui papa Francesco ha levato ogni diritto e la prefettura, lui non ha «rubato un euro. Non so se sono indagato, ma se mi mandano a processo mi difenderò».
Vedremo. L’inchiesta prosegue, e nuovi testimoni potrebbero essere sentiti presto. Perché la vicenda dei fratelli di Becciu è solo la punta di un iceberg gigantesco, e sotto il Cupolone sono in molti a sostenere che dimissioni così fragorose sono dovute anche ad altre questioni. Ancora segrete.
© Riproduzione riservata