Il presidente della Cei mette in guardia da tentativi di riforma che rompono la coesione sociale. Sulla guerra in Ucraina: «Trovare insieme alle parti in causa una pace giusta e sicura»
Il presidente dei vescovi italiani, Matteo Zuppi, ha espresso la preoccupazione della chiesa per il rischio che venga meno un quadro istituzionale in grado di garantire la tenuta del sistema paese e dei principi di coesione sociale che lo caratterizzano. Nel pomeriggio di lunedì, infatti, l’arcivescovo di Bologna ha aperto i lavori del consiglio episcopale permanente, in corso a Roma fino al 20.
Oltre al richiamo a governo e parlamento affinché non si mandi in frantumi il già fragile equilibrio economico e sociale del Paese, una parte considerevole dell’ introduzione del presidente della Cei è stata dedicata allo stato di salute della chiesa italiana, di cui il cardinale ha descritto il declino segnato da vecchiaia, nostalgia per mitiche età dell’oro in realtà mai esistite, divisioni interne, paure e difficoltà a misurarsi con i tempi che stiamo vivendo.
Zuppi, che nel corso della mattinata era stato ricevuto dal papa, ha poi riaffermato la priorità dell’impegno in favore della pace da parte della chiesa.
Pace giusta e sicura
Anzi, in proposito ha detto: «La chiesa è sempre Maria sotto la croce dei suoi figli: non può abituarsi al buio e crede alla luce anche quando ci sono solo le tenebre. L’empatia e la pietà femminili prevalgono su tutto, su ogni valutazione pur indispensabile relativa ad aggressori e aggrediti, a ragioni e torti»; quindi ha insistito su un principio di base: «La storia esige di trovare un quadro nuovo, un paradigma differente, coinvolgendo la comunità internazionale per trovare insieme alle parti in causa una pace giusta e sicura». In questo quadro, secondo Zuppi, un ruolo essenziale spetta all’Europa.
Guardando all’Italia, poi, ha parlato anche della crisi di un «mondo giovanile» sempre più disorientato: «Non dimentichiamo – ha osservato in proposito il cardinale – che ha sofferto più di altre generazioni le conseguenze psicologiche e sociali della pandemia e mostra ora diversi sintomi di un disagio esistenziale segnato da un futuro avvolto nell’incertezza e da un presente avaro di punti di riferimento».
Sul versante opposto, quello di una popolazione italiana che sta invecchiando vertiginosamente, il capo della Cei ha ribadito che «serve un nuovo welfare», capace di sostenere «questa grande fascia della popolazione, soprattutto quella non autosufficiente. In quest’ottica, è necessario continuare a lavorare – società civile, enti ecclesiali e Istituzioni – per concretizzare la riforma delineata con la Legge Delega del marzo 2023 e a non tradire le attese di persone, famiglie e operatori».
Un quadro generale venato di pessimismo, caratterizzato dalla visione di una società che resta incapace di affrontare le sfide del presente, quello tracciato da Zuppi, cui si accompagna e fa da corollario l’immagine di un cattolicesimo ripiegato su se stesso piuttosto fermo anche rispetto a quel cammino sinodale cui il papa ha chiamato la chiesa universale.
È anche vero che il presidente dei vescovi come gran parte dei suoi confratelli, non si pronuncia mai apertamente su nessuno dei temi affrontati in questi mesi da tante chiese nazionali: dal diaconato femminile, ai “viri probati”, al ruolo dei laici nelle strutture ecclesiali.
Sul piano politico, in ogni caso, il giudizio espresso dal presidente della Cei è netto: «Suscita preoccupazione la tenuta del sistema paese, in particolare di quelle aree che ormai da tempo fanno i conti con la crisi economica e sociale, con lo spopolamento e con la carenza di servizi.
Non venga meno un quadro istituzionale che possa favorire uno sviluppo unitario, secondo i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale. Su questo versante, la nostra attenzione è stata costante e resterà vigile, nella consapevolezza che il paese non crescerà, se non insieme, come peraltro già ricordato in passato».
Il riferimento del cardinale è al convulso e confuso dibattito sulle riforme istituzionali in corso nel paese, dall’autonomia differenziata al premierato, tenendo anche conto che la chiesa, dalla conferenza episcopale alla Santa Sede, ha visto sempre nella figura del presidente della Repubblica, così come inquadrato dalla Costituzione, e quindi nell’unità politica del paese, due riferimenti imprescindibili.
Senilità ecclesiale
Sul piano interno, quello della vita ecclesiale, invece, Zuppi ha affermato: «Non si può gestire il presente con una cultura del declino, quasi si trattasse solo di mettere insieme forze diminuite, di ridurre spazi e impegno o di agoniche chiamate al combattimento».
«Riandare nostalgicamente al passato non è fare storia - ha aggiunto - perché questa ha una robusta connessione con il senso del futuro. Guardare al passato è una tentazione facile con l’avanzare dell’età, forse facile in un Paese anziano come l’Italia o in una chiesa dove non poche persone sono avanti negli anni. Sì, guardare continuamente con nostalgia al passato è espressione di una senilità ecclesiale», anzi è «la tentazione della nostalgia di una presunta età dell’oro, quella prima del Concilio per taluni, dopo il Vaticano II per altri».
«Ma nella chiesa non c’è mai una mitica età dell’oro. I credenti non possono guardare al passato e lamentarsi del presente della chiesa o di quello del paese», il loro dovere è quello di essere segno di speranza nella società italiana.
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