Verrebbe da scomodare un Bennato d’annata, attorno al dibattito sul centro. «E nel nome del progresso, il dibattito sia aperto. Parleranno tutti quanti, dotti, medici e sapienti!». E, peraltro, la discussione attorno al centro, alle sue prospettive e alla sua identità non è solo una questione italiana.

Ne abbiamo discusso la scorsa settimana a Bruxelles al congresso del Partito Democratico Europeo, la famiglia politica continentale che sotto la nuova insegna dei Democrats raggruppa i centristi riformatori europeisti.

Un bagno di realtà 

Bisognerebbe portare la riflessione politica fuori dai ballon d’essai del circuito politico-mediatico, per farla immergere dentro un salutare bagno di realtà. Forse così potremmo rispondere non astrattamente, né tatticamente, alla domanda se oggi ci sia bisogno di una politica centrista nel nostro panorama.

Ci soccorre, in questo, l’ultimo rapporto del Censis. Che ci dice di come, davanti alle grandi trasformazioni che stiamo vivendo, l’Italia stia silenziosamente scegliendo un galleggiamento senza meta in cui individui, famiglie e imprese stanno perdendo la manualità alla crescita e si infilano in una spirale di frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto e smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole.

Mentre non cresciamo più, e decidiamo al tempo stesso di non fare più figli come ieri e di rifiutare ogni processo di immigrazione regolata (salvo poi condonare tutto con il solito decreto flussi), nella nostra società traspaiono avversioni evidenti rispetto ai valori fondanti che ci hanno condotto sino a qui.

Di fronte alle tre rivoluzioni contemporanee che stiamo vivendo (quella tecnologico-digitale, quella energetica-ambientale, quella geopolitica che ha riportato la guerra in Europa e nel Mediterraneo), di fronte al grande spaesamento della crisi globale le risposte della politica sulle due polarità segnano contemporaneamente tre fenomeni.

La destra si sta trasformando dal modello conservatore liberale a quello nazionalista sovranista, spinto dalla dimensione identitaria anti-occidentale di Aleksandr Dugin e dall’individualismo spinto del nuovo Oppenheimer, quell’Elon Musk che fonda sul libertarismo tecnologico e sul transumanesimo distopico il modello del futuro.

La sinistra ha abbandonato la sua modernizzazione, abbracciata dopo il crollo del Muro di Berlino, per ricercare dentro una nuova dinamica classista innaffiata da lampi di wokismo una sua nuova identità, che la porta a puntare a rappresentare con radicalità pezzi minoritari della società e a vivere dentro la sindrome del “ritorno nella placenta”, rinunciando a porsi il tema della rappresentanza generale e della modernità.

Condensazione 

Dentro questa compressione si produce la sterilità della politica, che genera disaffezione, fuga dalle urne, astensionismo consapevole in attesa che maturino tempi nuovi e diversi.

È qui che si gioca la partita del centro. È per questo che, come abbiamo detto a Bruxelles, «al centro sta la risposta». Non dentro una sindrome da galleggiamento eterno, da mediazione permanente, da terzopolismo subalterno da scegliere come surrogato quando si sono provati i primi due. Ma al contrario, con la capacità di riformare nel profondo le strutture che oggi non assicurano giustizia sociale, crescita della scala sociale, opportunità e prospettive.

Viviamo tempi che fanno della cupezza e dell’ansia la cifra del nostro quotidiano. La politica non può arrendersi a questo, ma al contrario – essendo l’organizzazione della speranza – deve ricostruire le ragioni della fiducia e della promessa di un domani migliore e più giusto.

È attorno a queste coordinate che si può costruire la convergenza sui contenuti e la capacità di costruire il processo di “condensazione” dei frammenti che oggi galleggiano come monadi nello spazio e che nella risposta a questo bisogno di rappresentanza di una società ansiosa e spiazzata devono trovare la loro capacità di costruzione di qualcosa di nuovo.

E un modo anche per assicurare che il nuovo centrosinistra nasca non da alchimie, da infiniti e stucchevoli dibattiti sulle alleanze costruite solo nell’ottica del potere, ma abbia la capacità di acciuffare quella modernità che non può essere lasciata alla destra e che sappia recuperare – per riprendere una riflessione che torna nel circuito – la rappresentanza dei meriti e dei bisogni. Perché se non riesci a parlare alla parte di società che punta al merito, non puoi nemmeno aiutare la parte di società che vive nel bisogno.

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