Gli affanni del settore agricolo non aiutano il ministro che vede assottigliarsi la schiera dei fedelissimi. Dentro FdI torna in auge la vecchia guardia con il gabbiano Rampelli. E Mantovano sogna il Quirinale
Quando i fedelissimi iniziano a riposizionarsi, vuole dire che qualcosa è cambiato. Se ne è accorto Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, finito sempre più ai margini di Fratelli d’Italia. Prima decideva, spostava pedine a ogni livello. Oggi deve muoversi con circospezione.
Gradi di separazione
La rottura sentimentale con Arianna Meloni, plenipotenziaria del partito, non è stata indolore dal punto di vista emotivo. E nemmeno politicamente. Se l’ex compagna ha detto: «Per Lollo mi butterei nel Tevere», in realtà la carriera politica del ministro rischia di «annegare»», per usare un’espressione spietata usata da un deputato del partito durante una chiacchierata in Transatlantico. Un segnale del cordone costruito intorno a Lollobrigida è stata la nomina del nuovo portavoce, Gennaro Borriello. È finito al Masaf dopo che il suo nome è stato caldeggiato da palazzo Chigi.
Borriello, infatti, era la figura-chiave che concordava le presenze in radio e in tv dei meloniani. Decisione che, come è noto, passa sotto la supervisione del gran visir della propaganda meloniana, il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari.
Il nuovo portavoce non è dunque un uomo di Lollobrigida come Paolo Signorelli, una vita per la fiamma, prima di essere travolto dalla diffusione delle chat con Fabrizio Piscitelli, capoultrà noto con il nome di Diabolik. Borriello viene dal Publitalia, Cdp, prima di avvicinarsi alla comunicazione prettamente politica. Con l’apprezzamento di Fazzolari, uno che – come raccontato da palazzo Chigi – «non ha mai un diverbio con Meloni».
Lollobrigida ha pur sempre un ministero di peso tra le mani. Ma anche quello sta diventando fonte di problemi. I numeri dello scorso anno, il suo primo al Masaf, non sono stati dei migliori per l’agricoltura: è andata in controtendenza rispetto all’economia nazionale con un calo della produzione dell’1,8 per cento e un aumento della disoccupazione del 2,4 per cento.
In Europa la contrazione della produzione è stata in media dello 0,4 per cento. Anche il settore del vino, fiore all’occhiello del made in Italy agricolo, ha subito una pesante battuta d’arresto. Le cause sono varie, come siccità e alluvioni, ma i numeri non aiutano Lollobrigida a lustrare la propria immagine.
Addirittura l’ippica gli sta sfuggendo di mano. Il ministro ha voluto istituire un’apposita consulta per un settore che nell’ambito del Masaf ha un peso specifico notevole. Le cose, è il caso di dire, stanno andando al piccolo trotto. E di recente la consulta ha perso pezzi con le dimissioni di Anita Carelli.
Il motivo? «Non si vede la riforma che serve al settore», spiega a Domani. Mancano i soldi e il comparto si dirige verso il tracollo finale. La partita è stata affidata al sottosegretario all’Agricoltura, Giacomo Patrizio La Pietra, ma il dossier fa inevitabilmente capo al numero uno del Masaf. La mancanza di risultati viene addossata sulle sue spalle oltre le effettive responsabilità.
Il personale è politico
Si addensano poi questioni che intersecano rapporti personali e politici. Lollobrigida ha rischiato la collisione con Coldiretti, con cui c’è sempre stata un’ottima intesa. La scintilla è stata innescata da un suo fedelissimo, l’assessore al Bilancio della regione Lazio, Giancarlo Righini, entrato in rotta di collisione con la branca regionale dell’associazione degli agricoltori. Il nodo era una dote economica non stanziata.
La protesta stava travolgendo appunto Righini con conseguenze a catena sull’amministrazione guidata da Francesco Rocca. L’operazione è stata portata a fari spenti all’interno del partito di Giorgia Meloni anche nemici di Lollobrigida che ambiscono a rimescolare le carte della giunta. Il peggio è stato congiurato con un fondo da 84 milioni, grazie alla mediazione dei vertici nazionali di Coldiretti, tra cui il presidente Ettore Prandini.
Ma nel mosaico politico sono tanti i fedelissimi in via di riposizionamento. Tra questi il deputato e responsabile Turismo di FdI, Gianluca Caramanna, che ora dialoga con Meloni, non più con Lollobrigida. Stesso discorso per Manlio Messina, vicecapogruppo alla Camera e uomo forte del partito in Sicilia, che ha accesso direttamente al confronto con le sorelle Meloni. E a cascata altri nomi, come quello del viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, ha gradualmente compreso che per contare occorre parlare con i vertici di Fratelli d’Italia. E «Lollo» non ne fa più parte.
Gabbiani in volo
Per un Lollobrigida che cala, inesorabile, c’è un Fabio Rampelli in risalita poderosa. Domani lo aveva già raccontato: il vicepresidente della Camera ha spiccato di nuovo il volo, da buon gabbiano come la storica corrente del Msi che ha capeggiato.
È diretto verso i lidi più importanti di Fratelli d’Italia, ben consapevole che c’è un limite invalicabile: «La leadership è di Giorgia», ripete a chi cerca di strappargli qualche battuta al vetriolo nei confronti della guida del partito. Oggi non conviene mettersi in una posizione scomoda. «Era noto un rapporto tutt’altro che idilliaco con Lollobrigida», raccontano dal partito.
Rampelli ha smentito di essere pronto alla corsa da sindaco di Roma per sfidare Roberto Gualtieri alle prossime comunali. Obiettivo che però è nella sua mente, confidano da via della Scrofa.
Romanzo Quirinale
Rampelli si gode la sua seconda giovinezza esattamente come il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, di cui si raccontano di «ambizioni quirinalizie». Il pretoriano del melonismo si muove nei palazzi tessendo la tela per arrivare allo sdoganamento definitivo degli uomini della fiamma: la conquista del Colle. Il carattere spigoloso può rappresentare un problema, benché alla fine sia l’uomo delle mediazioni della premier.
Mantovano vuole essere l’alter ego di Giorgio Napolitano, l’ex comunista che ha espugnato il fattore K che teneva lontano dall’apice delle istituzioni gli ex comunisti. Il fedelissimo di Meloni beneficia di ottime sponde dentro le mura vaticane. Anche se sul punto nessuno azzarda una parola: «Il presidente della Repubblica è Sergio Mattarella».
Mentre di contro un altro big di Fratelli d’Italia, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha un rapporto quantomeno altalenante con i vertici del partito. Il co-fondatore paga i suoi trascorsi da battitore libero, seppure nell’alveo di centrodestra, che per i puristi alla Mantovano o alla Fazzolari sono uno stigma. I contrasti sulle varie nomine, per ultima quella sul comandante dei carabinieri, non hanno riportato in auge Crosetto.
Fiamma e cultura
Nel silenzio dei compromessi parlamentari, invece, il ministro Luca Ciriani sopravanza posizioni. Forte del suo aplomb friulano, è stato mandato in avanscoperta, in un’intervista al Foglio, a dire l’indicibile: la fiamma prima o poi sarà spenta nel simbolo. Certo, sono seguite frotte di distinguo per evitare reazioni scomposte tra i più nostalgici. Il messaggio nella bottiglia è stato lanciato.
E se alcuni dei grandi vecchi sono in risalita, di contro Alessandro Giuli è segnalato in crollo nelle gerarchie. Del resto fin dalla nomina a ministro della Cultura non è mai stato in auge nel governo. La sua “santa protettrice” è la sorella Antonella Giuli, oggi in forza all’ufficio stampa della Camera, che vanta un legame di ferro con Arianna Meloni.
Ma l’erede di Gennaro Sangiuliano al Collegio romano ne sta passando di tutti i colori. Ed è stufo. Prima il caso di Francesco Spano, il capo di gabinetto nominato e costretto alle dimissioni in poco tempo per le consulenze del marito al Maxxi, ora i tagli al settore della Cultura nell’ambito dei fondi per la Coesione.
Repubblica ha rivelato i malumori di Giuli, che non è intenzionato a fare il controcanto quotidiano, non vuole ergersi al ruolo di “nuovo Fini”, quando era diventato l’idolo delle opposizioni a Silvio Berlusconi. Ma è deciso a portare avanti la sua missione: fare cultura a destra. Le dimissioni non sarebbero un tabù. Chi lo conosce spiega che non è certo un tipo attaccato alla poltrona. «Un lavoro ce l’ha», dice chi gli è più vicino.
Accomunato a Giuli, nella discesa delle preferenze interne, è il responsabile Organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli. La sconfitta alle ultime regionali è stata in parte addebitata sul suo conto, in asse con il suo sodale, il viceministro delle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, che in Emilia-Romagna si è eclissato.
A dispetto delle intenzioni iniziali circolate su una sua candidatura. La loro stella si è appannata, dunque. Ma sempre meno rispetto al ministro delle Politiche del mare, Nello Musumeci. Le sue intemperanze verbali sono fonte di quotidiani malumori a palazzo Chigi.
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